Al Comicon ci porti tu!  Il tono è ultimativo e non lascia scampo. Guarda, non è neanche per le due ore di autostrada ma è che non sopporto di guidare nel traffico caotico di Napoli, purtroppo lo conosco benissimo. E poi anche se inevitabilmente ti potrò sembrare scontato e stereotipato ma la confusione senza soluzione di continuità che c’è “sempre” in quella città è lontana anni luce dal mio essere che è, all’opposto,  taciturno, tranquillo, razionale; assistere a quel perpetuo e quotidiano andirivieni fra realtà e sceneggiata, tipico della napoletanità, non lo sopporto, non mi è mai piaciuto, non mi piace tuttora e non mi piacerà mai; danzare sul filo della teatralità non fa per me!

Sì, lo so e me l’hai sempre detto e ricordato che “Napoli non mi piace” e neanche capisco il perché, visto che ci hai pure vissuto e la nonna era una napoletana verace. Comunque, ti piaccia o no, sei l’unico genitore ad avere la fortuna di essere in pensione e gli altri papà, che sono tutti lavorativamente impegnati, non sono disponibili; quindi, come se fossimo in una puntata del “grande fratello” ti abbiamo nominato e non ti puoi sottrarre!
OK, vi porto…sono troppo stanco mentalmente e so che degenererei continuando ulteriormente nella discussione, per cui accetto la sentenza e depongo vigliaccamente le armi.
Si va…

Trovo inspiegabilmente poco traffico e, sempre più incredulo, agevolmente anche il parcheggio, per di più semideserto, vicino a Piazza Garibaldi; anche la metropolitana è vuota e davanti all’ingresso della Mostra d’Oltremare  abbandono i pargoli al loro triste destino di Gamer mettendo loro, come unico paletto, l’ora di ritorno: ci vediamo alle 7 qui e non tardate neanche un minuto, intesi?
Mentre aspetto la rassicurazione di rito guardo il Maradona e dalla visione spiccano le tristi putrelle di acciaio che stanno lì a sorreggerlo. E’ lì ad un passo e in un inaspettato flashback mi rivedo seduto in curva A, sotto un diluvio biblico, a vedere Napoli-Santos 2 a 3 con doppiette di Pelè ed Altafini.
Dura solo un attimo, poi torno in me e vado a riprendere la metro “direzione macchina”. Ma perché sbaglio fermata come un rimbambito? Mi sorprendo sul marciapiede della metro di Montesanto e riconosco con naturalezza, dopo quasi cinquant’anni e come se questi non fossero mai passati, quella vampata di calore umido che subito mi avvolge. Le scale mobili, ricolme di gente che parla con un tono di voce troppo alto, mi trascinano fuori e mi ritrovo all’esterno, nella piazzetta.
Cammino neanche avessi un percorso mentale prestabilito. La Pignasecca mi accoglie e mi indica imperiosa di rendere omaggio al suo indiscusso re, ed io ubbidiente m’avvicino ad i banchi  “do Frungillo” ed alle sue ceste, sempre uguali, ripiene di frutta e verdura. Il vocione del titolare mi scuote improvviso: “O’ maresciallo ha mandato te? Salutammillo (salutalo da parte mia)! Che t’aggia dà (cosa desideri?)?”
M’allontano dai banchi del fruttivendolo ed il profumo del pane del forno di don Gaetano si mischia con quello che viene fuori dalla rosticceria di Fiorenzano; non devo lasciarmi affascinare da zeppole (le prozie delle attuali frittelle di alghe) e panzarotti (crocchette di patate), quello street food, cioè, che  provi avidamente a mangiare appena esce dai padelloni colmi di olio bollente e che ti ustionerà sicuramente dita e bocca.
Niente distrazioni, papà mi ha assegnato un compito: devo prendere un palatone (pezzo di pane cafone dalla forma allungata cotto nel forno a legna) altrimenti ‘o maresciallo s’arrabbia! Allungo un po’ e salgo per via Tarsia.
Ma il Teatro Bracco che fine ha fatto? No, per grazia di Dio sta ancora lì anche se sommerso dalle vetrine e dalle luci di negozi di abbigliamento che vendono a poco prezzo quell’orribile mercanzia made in PRC. A malapena, fra la gente accalcata, riesco a scorgere la locandina che annuncia la Prima di “Non ti pago” che sarà messa in scena dalla compagnia di Luisa Conte e Nino Veglia e sono sicuro che la signora Luisa, che è “anche” la mamma di Brigida, amica del cuore di mia sorella, ci darà i biglietti come aveva promesso.
Faccio la Salita di Tarsia e lì vicino c’è il magistrale, il Margherita di Savoia e chissà Antonella a che ora uscirà da scuola o se è già a casa. In pochi minuti sbuco su via Toledo. Mi fermo al Bar Gallina e mi faccio dare un cono nocciola e torroncino. Il gelataio mi chiede se anche oggi lo voglio “arrevutato (girato)” ed al mio convinto “si!!!” lo passa nella granella di noccioline tritate che aderiscono al gelato in perfetto connubio.
Cammino lentamente gustando il cono e faccio durare anni quelle poche decine di metri che devo percorrere. Vedo mamma che dal balcone del secondo piano, controlla cogli occhi l’orologio di Piazza Spirito Santo, poi  agita le braccia e con questo movimento di saluto mi fa capire che mi ha visto arrivare e che va a calare la pasta…lo sa, mangio qualsiasi cosa senza fare problemi, ma odio trovare la pasta a tavola!
Ancora qualche metro e sarò sotto casa di nonna Ida; sto quasi davanti all’immenso portone ma voglio evitare di sbattere la testa contro il paniere che davanti a me dondola come un batacchio impazzito. Don Alfonso, il titolare della “pizzeria 900”, attratto dallo svolazzare del cesto, caccia appena la testa fuori dal suo negozio, guarda in su, e domanda alla Nonna: Signora De Stefano, avete messo il biglietto? Vulite a me (volete me?)? Certo che vuole te, c’è da chiederselo?
Quella casa del secondo piano di via Roma, angolo Spaccanapoli, è immensa ma dev’esserlo per forza! Mamma, la mia mamma, ha 6 sorelle e quattro fratelli e già solo loro, in totale, sono 11; e poi c’è la nonna Ida (che in verità si chiamerebbe Filomena)…e la mamma della nonna Ida, cioè nonna Carmela (la mia bis) e poi, col suo grembiule blu e rosso ed i capelli grigi, c’è Angelina che nonno Francesco ha portato a casa per toglierla dalla povertà e dalla solitudine, che è tanto buona e gentile con tutti. Non ha nessun compito preciso, tuttavia il suo aiuto è sempre grandissimo come le sue rare preziosissime parole perché aggiungono serenità in casa; non l’ho mai, mai, sentita gridare. E poi ci sono, alla rinfusa, generi e nuore, fidanzati e fidanzate, zie e zii, nipoti e pronipoti… insomma una folla di parenti strana ed immensa, per me che non ci sono abituato, che incredibilmente riesce a convivere in quella pazzesca, continua, ammuina.
Mamma, la mia, non ama quella confusione; quando può si rintana in un angolo, il più quieto possibile, a leggere un libro riuscendo così a rilassarsi ed a rasserenarsi; papà no! Lui si crogiola in quel chiasso infernale, quel chiamarsi a voce alta, quello stare quasi in simbiosi ed è pure sempre in movimento, mai fermo. Scendo a prendergli le sigarette e dal balcone mi segue con lo sguardo come per rassicurarmi: non aver paura di attraversare, dai sei quasi a Piazza Carità, sei arrivato! Papà, ci vado dal tabaccaio, ma le Nazionali te le porto quando torno.
Continuo a scendere via Roma e prima ancora di arrivarci sento il profumo di crema ai fiori d’arancio delle sfogliatelle di Pintauro; sono goloso da sempre ma la regina della pasticceria napoletana non è tra i miei dolci preferiti; però stavolta il suo inconfondibile profumo si attacca sui vestiti e non mi lascia più. Attraverso la Galleria Umbero I° e faccio via santa Brigida e, come al solito, davanti al bar Pippone ci sono i bagarini che vendono i biglietti per la partita di domenica prossima e come sempre approfittano del tifo viscerale dei tifosi del Napoli: “tremila lire, a curva B a tremilaaaaa, vene a Juveeeentusss”. Via Monteoliveto e poi su verso Piazza del Gesù e poi ancora dritto verso San Biagio dei librai; Mezzocannone e la Federico II° e la mia facoltà è alla fine della strada, quasi su Corso Umberto I°.
Per istinto mi avvicino allo scalone e da lontano scorgo, una dopo l’altra, Mariolina, Nunzia, Pasqualina e Flavia. Si avvicinano, mi baciano tutte sulla guancia e le loro labbra fresche mi danno sollievo insieme ad una gioia incontrollata ed anche questo odioso mal di testa che ho da qualche ora sui affievolisce un po’.
Svaniscono subito cosi come sono apparse. Fa ancora un bel caldo tiepido e non sento la stanchezza anche se mi sembra che sto camminando da anni.
Scendo giù per il Rettifilo, attento a non farmi travolgere dalla folla. Non sono io che scelgo dove andare… vado come se fossi telecomandato.
I Quattro Palazzi ed ancora avanti sino al Trianon; non posso non fermarmi a mangiare una margherita! Mi siedo, raccomandando al cameriere di fare in fretta ed in un istante, sul lunghissimo tavolone di marmo che occupo da solo, si materializza la mia pizza. Come mi succede sempre ne lascio un poco nel piatto; non mi piace tantissimo la pizza, non ne sono innamorato, sarà perché la mia metà napoletana, anch’essa, è decisamente atipica. Pago, esco e riprendo a muovermi seguendo persone ed odori.
Mi immergo a Forcella e nella Duchesca, ma scopro che ormai non ho più paura come invece mi capitava tanti anni fa… sono quasi un uomo ormai. Guardo l’orologio e scopro preoccupato che sono le sei; devo correre fra la folla, devo fare in fretta, ormai non mi resta più tanto tempo. Riesco a prendere la metropolitana al volo e devo inarcarmi per non restare schiacciato tra le porte; 20 minuti della corsa metro e sono un’altra volta davanti alla stazione di Campi Flegrei… che strano: ho cercato nelle tasche anche prima lo smartphone ma non l’ho trovato ed adesso invece è tornato diligentemente al suo posto di sempre, è davvero molto strano ma finalmente posso un’altra volta comunicare coi ragazzi.
Non ce n’è bisogno perché mi raggiungono senza fare nemmeno un minuto di ritardo e mi ringraziano pure di avergli consentito una giornata così, programmata e desiderata da tanto tempo. Parlano tutti insieme ancora sovraeccitati dalla nuova esperienza appena vissuta e si scambiano impressioni e considerazioni; senza accorgerci del tempo che trascorre siamo un’altra volta in macchina e loro continuano a chiacchierare. Loro, io invece sto tutto il tempo zitto.
Non ho più mal di testa, ma sento i riflessi lenti ed il cervello è come se l’avessi poggiato sulla bambagia: gli stimoli mi arrivano attutiti, stanchi del lungo viaggio. Ripenso alla giornata trascorsa e mi chiedo se l’ho vissuta o se l’ho semplicemente ricordata. 150…160…sto correndo troppo! Premo dolcemente il pedale del freno e riduco la velocità. Non li devo far spaventare, devo tornare razionale e per fortuna ci riesco.

Faccio il giro e li accompagno, uno ad uno, a casa. Restiamo soli io e mio figlio.
Una raffica di ansioso amor filiale mi investe: Non ti senti bene? Ti vedo strano! Sei Stanco? Scusaci se abbiamo approfittato! Tranquillo, va tutto bene. Meno male, m’ero preoccupato. Scusa, ti dico solo un’altra cosa e poi sto zitto: non ho capito se è il mio naso che non funziona tanto bene ma mi sembra che i tuoi vestiti, boh, non ne sono certo, ma è come se dai tuoi vestiti, che so, venissero insieme profumo di pizza e sfogliatelle. Mi sbaglio?
Non lo so, può darsi… sono un po’ confuso anch’io e poi lo sai che Napoli mi fa sempre uno strano effetto.
Mi sconvolge.