«I giorni indimenticabili della vita d'un uomo sono 5 o 6 in tutto. Gli altri fanno solo volume»

Questa citazione, originariamente coniata da Ennio Flaiano, giornalista e scrittore di successo del Novecento, oltre che storico collaboratore di Federico Fellini, fu la battuta conclusiva del primo lungometraggio di Leonardo Pieraccioni, dal titolo emblematico “I laureati”, che vedeva il regista e attore toscano protagonista insieme a Maria Grazia Cucinotta. Il mio film preferito della sua cinematografia, che conobbe l’apice con il seguente lavoro, “Il ciclone”.
Il primo capitolo, però, mi ha lasciato il segno. E, oltre a lanciare Pieraccioni nell’immaginario collettivo nazionale, contribuì a consolidare la fama ormai acquisita dell’attrice siciliana. Un cognome che qualunque italiano conosce e attribuisce immediatamente alla diva di Messina. Negli anni ’70, però, un suo omonimo si prese il suo momento di gloria nel mondo del calcio, seppur sconosciuto alla maggior parte degli appassionati.
La storia che sto per raccontarvi è quella di Franco Cucinotta, che divenne il primo calciatore italiano a fregiarsi del titolo di capocannoniere della Coppa dei Campioni, odierna Champions League. Un record non da poco, eppure mai menzionato quando si parla di statistiche ad alti livelli.

IL SICILIANO DI SVIZZERA
Franco nasce a Novara di Sicilia, splendido borgo della provincia messinese, nel lontano 1952. All’età di 8 anni, la famiglia, come tante del Meridione dell’epoca, emigra e lo fa a Montreux, in Svizzera. Un passaggio non solo emotivo, ma anche climatico: passare dalle miti temperature sicule al freddo delle Alpi non è semplice, ma il periodo storico lo richiede. Il padre si dà da fare come addetto alle macchine che impastano il cemento, mentre in lui cresce la passione per il calcio. Da ragazzino stravede per l’Inter, seguendo le gesta di Jair e Mazzola, ma apprezzando più di ogni altro Giacinto Facchetti, che definirà in un’intervista «sportivo ideale, ricco di personalità». Se il numero 3 era il suo mito, sul campo aveva un solo scopo: segnare più che poteva. Nel Montreux di propose come ala-centravanti, formandosi nel calcio elvetico ma non dimenticando mai le sue origini italiane. A 18 anni, arriva la prima grande occasione: Roger Vonlanthen, che ebbe un trascorso da calciatore anche in Italia negli anni ’50 con Inter e Alessandria, gli diede l’occasione di misurarsi con il Losanna, squadra militante nella massima serie svizzera. La prima stagione mette a segno 8 gol, ma soprattutto ha la grandissima opportunità nell’estate del 1971 di giocare con la casacca del suo club in Italia. In quel periodo, esiste la Coppa delle Alpi, manifestazione organizzata congiuntamente dalle federazioni dei due Paesi confinanti, a cui aderiscono varie squadre dei due tornei. In quella edizione, il Losanna viene inserito nel gruppo con Varese e Verona.
In Lombardia rimedia una sconfitta di misura, ma nella città scaligera fa emergere il suo talento: sotto nel primo tempo a causa di un penalty trasformato da Clerici, l’attaccante peloritano si prende la squadra sulle spalle e nei 12 minuti iniziali della ripresa ribalta l’incontro, siglando una doppietta che varrà il successo per i suoi. La sua ascesa al calcio elvetico prosegue anche nella successiva stagione, con altri 9 gol. In quella fase, però, non tutti i calciatori erano professionisti. Ed è così che deve accompagnare la sua passione per il football al lavoro, alternando l’attività di montatore di termosifoni a commerciante di articoli sportivi.
Nel 1974 passa al Sion, e in due anni segna 25 gol: stavolta, le possibilità di trasformare la passione della vita in lavoro sono alte. E l’amore per l’Italia è travolgente, tanto che il Varese, che lo aveva affrontato qualche anno prima, decise di provarci. Vi era però un piccolo problema burocratico, un dettagliuccio: dopo la clamorosa sconfitta della Nazionale contro la Corea del Nord ai Mondiali del 1966, per dare uno scossone al movimento, la Federazione presieduta da Artemio Franchi impose il blocco all’arrivo di calciatori da altri Paesi. Attenzione, non il blocco degli stranieri come giornalisticamente viene spesso detto: in realtà, era vietato il tesseramento di qualunque calciatore appartenente ad una Federazione estera, compresi gli italiani come Franco.
Per questi ultimi, era consentita una sola eccezione: potevano tornare, ma solo a patto di disputare una stagione in ambito dilettantistico, per poi passare ai professionisti. Ed è questa la formula che la società biancorossa propone, ma l’attaccante ha un’alternativa di tutto rispetto: lo Zurigo, club top del movimento svizzero, gli offre un contratto da professionista, permettendogli di poter arrivare a guadagnare tra campo e premi una cifra attorno agli 80 mila franchi dell’epoca. Pur amando in modo viscerale il Bel Paese, Cucinotta non se la sente di rischiare e accetta la corte del club detentore del titolo di campione nazionale, che sborsa la bellezza di 250 mila franchi al Sion per accoglierlo tra le sue fila nell’estate del 1976, pronti per una stagione che avrebbe sfiorato la leggenda.

CUCINOTTA AL TOP
È l’occasione che aspettava da una vita. Emigrato dal Sud, è finalmente diventato un calciatore. Una storia di un’altra epoca. Adesso, però, arriva il difficile: dimostrare di valere quel traguardo raggiunto. E lui non si lascia scappare l’opportunità della vita: comincia a segnare a raffica, guadagnandosi l’affettuoso appellativo “Cuci” che la tifoseria dello Zurigo gli riserva, cosa che vale solo per i calciatori che si fanno amare davvero. Diventa un idolo per quel popolo, al punto che la Federazione lo accoglierebbe a braccia aperte nella propria Nazionale, ma Franco, pur apprezzando il gesto, gentilmente rifiuta la cittadinanza svizzera. Semplicemente perché vuole l’Italia, il Paese che gli ha dato i natali e che lui ama più di tutto. E finalmente, anche la Penisola si accorge di lui. Se in campionato segna con una continuità impressionante, è in Coppa dei Campioni che offre il meglio. Sedicesimi di finale, debutto in quel di Glasgow contro i Rangers. Un calciatore appena diventato professionista, a 24 anni, sul palcoscenico più importante del calcio europeo.
E lui non si fa attendere: un compagno imbastisce un’azione sulla sinistra e scaglia un tiro che colpisce il palo, ma lui è lesto sulla ribattuta e di sinistro appoggia in rete per il vantaggio. Impazzisce di felicità, già solo quel gol rappresenta il coronamento di un percorso che ha attraversato tutta l’Italia e oltre. Gli scozzesi pareggeranno i conti, ma nella gara di ritorno una rete di Martinelli in avvio permette al suo Zurigo di fare un passo verso la strada che porta a Roma, teatro della finale della manifestazione.
Ed è anche questa la molla che spinge Cucinotta a dare ancora più del suo solito: vuole a tutti i costi giocare nella Capitale, per dimostrare al calcio italiano che vale la pena puntare su di lui, che serve cambiare le regole federali per fare in modo che anche le nostre squadre possano godere delle sue prodezze e che anche la Nazionale, da lui tanto ricercata, possa tenerlo in considerazione.
Il percorso è lungo, ma il sorteggio degli ottavi di finale è benevolo: scansati i campioni in carica del Bayern Monaco, l’avversario designato è il TPS, squadra finlandese. L’andata si gioca in Svizzera, e dopo 17 minuti Cucinotta spacca il match, spalancando il successo per 2-0. A novembre, nel match di ritorno, è un’altra sua zampata al 70’ a chiudere partita e qualificazione: lo Zurigo è ai quarti di finale. La competizione si ferma e riparte a marzo del 1977, e in quei mesi l’attaccante messinese continua a segnare valanghe di gol in campionato. In Italia si comincia a parlare con sempre più frequenza di lui, al punto che qualcuno lo accosta ad un mostro sacro: Pietro Anastasi, suo corregionale, micidiale attaccante juventino che quella estate si era appena trasferito all’Inter.
Alla vigilia dei quarti di finale, La Stampa titola «L’Anastasi di Svizzera»: è il miglior momento della sua carriera. Contro il Dresda, squadra all’epoca facente parte della Germania-Est, la partita di andata viene vinta per 2-1, con il suo solito marchio di fabbrica. La gara di ritorno si preannuncia infuocata.

IL SOGNO SFIORATO DELLA COPPA CAMPIONI
16 marzo 1977.
Fino a quel momento, è la partita più importante della vita calcistica di Cucinotta. E lo sarà anche dopo.
I tedeschi hanno tutte le intenzioni di ribaltare l’esito dell’incontro, e al 18’ vanno avanti: Schade su rigore fissa l’1-0. Serve allora il miglior calciatore di quella edizione per rimettere a posto il match e scaricare la paura: al 37’, Cucinotta conquista palla sulla trequarti spalle alla porta, è mobile, attrae e affronta un avversario nell’uno contro uno, poi ha l’illuminazione. Di esterno destro serve un compagno piazzato al limite dell’area, ma in realtà è più una carambola, perché lui anticipa sia il compagno che il difensore avversario, e dai 16 metri scaglia un sinistro rasoterra e angolatissimo imparabile.
Si va negli spogliatoi sul pareggio.
Nella ripresa, il Dresda vola e mette ancora più paura: al 52’, Kreische colpisce e un difensore e l’estremo difensore Grob provano a scacciare la sfera, ma secondo il direttore di gara ha varcato la linea di porta. Ci mancava il gol-non gol degli anni ’70! Per gli svizzeri, però, l’ombra di un’eliminazione si palesa al 63’, quando arriva la rete che non ti aspetti: ancora Kreische firma il 3-1 e affonda la retroguardia elvetica. Sembra finita, ma la paura dura appena sessanta secondi, perché sull’azione successiva il portiere dei locali non trattiene un tiro e sulla corta ribattuta arriva Peter Risi, che insacca. È 3-2, e per la regola del gol fuori casa lo Zurigo sarebbe in semifinale.
La partita è nervosa e lo stesso Cucinotta rimedia un cartellino giallo pesantissimo: salterà l’eventuale andata gara di andata del turno successivo.
Eventualità che si trasforma in certezza al triplice fischio: lo Zurigo, dopo 13 anni, è tra le prime 4 d’Europa, traguardo che il calcio elvetico ha raggiunto tre volte nella propria storia. Bando alla squalifica: si fa festa con i compagni tutta la notte, ha scelto questo mestiere proprio per notti come queste.
E festa fu.
Qualche giorno dopo annuncia il matrimonio con la sua compagna Anne Marie, ragazza di Sion con cui convolerà a nozze il 2 luglio dello stesso anno. Quell’anno che continua a regalargli soddisfazioni individuali pesantissime: saranno 28 i gol stagionali segnati nel massimo campionato svizzero. Ma è l’Europa il grande show dell’anno. E la speranza del sogno romano sembra aumentare nella sfida di andata contro il colosso Liverpool. Si gioca in Svizzera, e dopo 3 minuti, sotto lo sguardo dello squalificato Cucinotta, l’eroe di Dresda, sempre Risi, trasforma un calcio di rigore che fa impazzire il pubblico. Peccato che sulla strada per la finale stava nascendo l’era dei ragazzi terribili di Paisley, una delle squadre più vincenti del gioco del calcio: al 15’ pareggia i conti e nella ripresa al 67’ i Reds conducono 3-1. Stavolta, è finita davvero: altro che Nedved o Leao, il vero rimpianto è Cucinotta, almeno per lo Zurigo. La gara di ritorno non fa testo: altro tris rifilato dagli inglesi, e il sogno italiano sfuma, con i britannici che alzeranno la prima coppa della loro storia nell’atto conclusivo del torneo. In campionato lo Zurigo chiude terzo in classifica, ma Cucinotta vince il titolo dei marcatori. Non solo della Lega Nazionale, ma soprattutto quello della Coppa dei Campioni: con 5 reti, l’albo d’oro vede il primo italiano primeggiare in questa classifica, al pari di un mostro sacro quale Gerd Muller, anch’egli autore di 5 marcature.
È il suo anno di grazia, e lui ebbe sempre spazio nel cuore per l’Italia. Come dichiarò alla stampa italiana, lo inorgogliva il fatto che i lavoratori italiani in Svizzera fossero fieri di lui. E ne avevano tutte le ragioni.

L’ADDIO AL CALCIO
La stagione strepitosa non trovò sbocchi per una convocazione in Nazionale; nonostante ciò, lui continuava a restare fermo sulle sue decisioni. Nel 1978, dopo un’altra stagione in doppia cifra, lascia lo Zurigo: il Chiasso fa sul serio e da neopromossa vuole vincere il campionato, sborsando 400 mila franchi per il suo tesseramento. «Dovrò fare tanti gol»: questo il suo commento dopo l’esoso esborso, con l’ambizione di trovare spazio in Italia, magari alla Juventus di Trapattoni che lui agogna e di cui le cronache dell’epoca danno come affare destinato ad andare in porto alla riapertura delle frontiere.

«Certo che mi piacerebbe giocare in Italia e voglio subito dire che non si deve pensare che il calcio svizzero sia tutta una cosa da ridere, come probabilmente si crede dalle vostre parti. Evidentemente, qui esiste un netto divario tra le squadre più note e tutte le altre, ma posso assicurare che non è facile giocare qui, non è facile andare in gol. lo ho segnato 108 reti in campionato in questi anni e vi assicuro che sono tante. In Italia, saranno tre o quattro i centravanti al mio livello. C'è sicuramente posto anche per me, la squadra che dovesse prendere Cucinotta non avrebbe certo a pentirsene».
Quel calciatore che ha dovuto sgomitare per arrivare al professionismo, adesso ha preso consapevolezza dei suoi mezzi, ma sa anche che il momento è quello: non si può attendere oltre, ha 26 anni e il tempo stringe.
La sua apertura, però, non trova sbocchi: le norme federali continuano imperterrite a rimanere in vigore fino al 1980 e nel concreto quell’accostamento alla squadra bianconera rimarrà solo una sirena di fantamercato. Nel Ticino fa come al solito il suo, ma dopo una stagione accetta la corte del Servette, in cui milita tra il 1979 e il 1981. Le porte della Serie A si riaprono ma niente da fare: il treno per Cucinotta sembra passato, e chiuderà la carriera al Sion, nel 1985.
Una vita ad attendere la Serie A e la Nazionale: nessuna delle due arriverà, ma è riuscito comunque ad incidere il suo nome nella storia del calcio italiano.
Dopo di lui, solo in due riusciranno a vincere la classifica marcatori della massima competizione continentale, entrambi militando nella Juventus: Paolo Rossi nel 1982/83, che insieme a Platini trascinò la Signora fino alla finale clamorosamente persa contro l’Amburgo, e Alex Del Piero nel 1997/98, anche lui sconfitto in finale dal Real Madrid. Lasciato il calcio, si dedicò ad attività in ambito assicurativo e finanziario. Ma quel ragazzo nato in Sicilia ed emigrato in Svizzera può dire comunque di avercela fatta, pur essendo stato snobbato (colpevolmente) dal nostro calcio dell’epoca: nessuno potrà fregiarsi del titolo di primo capocannoniere italiano della Coppa dei Campioni/Champions League.

Nessuno tranne Franco Cucinotta, quel biondo ragazzo siciliano emigrato in Svizzera.

 

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