Nel Napoli c’è aria di cambiamento
(Articolo fantasioso, ironico e autoironico, nessuno se ne senta offeso)


Quando le cose vanno bene, solo pochi sono in grado di resistere alla tentazione di credere che sia tutto merito loro.
Forte di questa mia convinzione, e cioè che il Napoli stia attraversando una fase molto positiva non solo per meriti sportivi, ma anche per un fattore senza il quale nulla nella vita ha speranza di riuscire, ovvero il fattore C, ho deciso, ieri sera, di fare quello che normalmente non faccio: cioè vedere una partita di Champions di una squadra italiana che non sia la Juventus.

I motivi che mi hanno spinto a questo gesto autolesionistico sono più di uno. Il primo ovviamente era quello di gufare e di sperare che il Napoli perdesse, per poter quindi avere la possibilità di passare una serata in allegria, dopo anni e anni di serate di depressione regalate dalla Juve.
So che non mi crederete, e purtroppo, avendo il Napoli vinto, non ho la possibilità di affermarlo con certezza, ma solo a livello ipotetico, ma sono intimamente convinto che qualora la mia speranza si fosse concretizzata e davvero il Napoli avesse perso, facendo a livello europeo una gran figura di M****, in fondo in fondo un po’ mi sarebbe anche dispiaciuto…
Alzino la mano quelli che credono che un po’ mi sarebbe dispiaciuto…

AHAHAHAH MA MANCO MORTO!! Illusi! Non farei mai il tifo per il Napoli. Ma nemmeno se in uno scenario apocalittico da “Sopravvissuti” fosse l’ultima squadra con l’ultimo componente ancora in grado di giocare. Nemmeno in quel caso potrei mai fare il tifo per il Napoli.
Naturalmente il mio discorso riguarda solo il calcio, e rientra nel sano sfottò che da sempre anima i bar sport di tutto il mondo. I tifosi dell’Atalanta, che in massa si sono ritrovati a mettere a ferro e fuoco le vie del centro di Napoli coi loro gemellati dell’Eintracht, sono degli imbecilli, questo va da sé.

Tornando seri, oltre alla legittima speranza di trarne divertimento, l’altra motivazione era quella di soddisfare la mia curiosità di vedere questo famoso bel gioco di cui tanto si parla. Questo miracolo di Spalletti, che, me lo ricordo bene, tutti (gli interisti forse un po’ meno) deridevano, dopo il fallimento nerazzurro.
Da questo punto di vista, mi spiace dirlo, ma Spalletti non mi ha impressionato per niente.
Come spesso capita a coloro che vengono immeritatamente additati come geni, Spalletti mi è sembrato vittima del personaggio che gli altri gli hanno disegnato addosso. Dopo questa inaspettata valanga di successi e di vittorie, sembra quasi una di quelle persone che fraintese, ricevono applausi e complimenti per il motivo sbagliato.
Non c'è nulla di più tragico che essere applauditi perché fraintesi. Perché a quel punto davanti a te si apre un bivio: chiarire l'equivoco e quindi rinunciare ai complimenti, agli elogi, agli applausi, al calore e l'ammirazione dei tifosi, oppure far finta di credere e sostenere quello che le persone hanno frainteso, anche se in realtà non è assolutamente ciò che pensi. In questo secondo caso sai che prima o poi verrai smascherato, e i nodi prima o poi arriveranno al pettine.
Non sono mai momenti di gran divertimento quelli in cui la gente si riprende dall’ubriacatura, e si rende conto che il re è nudo. Che tu e le cose che andavi sostenendo altro non erano che idiozie e banalità spacciate per il solito calcio moderno. Tra l’altro, sarebbe davvero cosa graditissima se qualcuno si degnasse di spiegarmi cosa diamine significhi questo caspita di calcio moderno.
Moderno è un aggettivo che descrive in arte le pitture della fine dell’800, non mi sembra che mi sentirei granché gratificato se qualcuno mi definisse “Moderno”. Un oggetto di modernariato, per intenderci, è il Juke Box… non mi sembra che rappresenti esattamente l’ultimissimo grido…

Questo Napoli, checché ne diciate, mi è parso una squadra poco più che mediocre, con amnesie difensive tutt’altro che veniali, risolte più a botta di fattore C che di applicazione. Ho però notato un cambiamento radicale dell’ambiente e delle persone. Cambiamento a cui è difficile non attribuire nessuna influenza positiva. Uno Spalletti trasfigurato, passeggia su e giù nell’area a lui destinata, come fosse sul lungomare. Si disinteressa completamente della partita, dedicandosi a tempo pieno alla sua passione ritrovata per la poesia, e quando arriva l’ispirazione non c’è nulla che lo possa separare, distrarre dal verso che arriva. La partita diventa un fastidioso obbligo, una distrazione da cui affrancarsi. Spalletti, novello artista, come Duchamp, riesce con la sua fantasia a conferire valore artistico ad un orinatoio ben fissato al muro centrale dello spogliatoio; sempre Spalletti, nuovo Manzoni (Piero) che con le sue lattine di “merda d’autore” risveglia nelle menti inizialmente ottenebrate dei calciatori, così come nel presidente, l’inquietudine e la curiosità di chiedersi se davvero nella lattina che reca quella scritta ci sia un escremento oppure, chissà.
Spalletti, l’Andy Warhol del calcio, che dopo Marilyn Monroe e Mao Tsè-Tung, riscopre un nuovo soggetto, e in esso riesce a risvegliare il senso artistico sopito: stiamo ovviamente parlando di colui che quando Spalletti arrivò a Napoli era tutt’altro che un campione di sobrietà e signorilità. Egli, tutti l’abbiam capito, rispondeva e risponde tutt’ora al nome di Aurelio De Laurentiis, personaggio a suo tempo quanto più lontano dall'essere schivo e riservato fosse umanamente possibile, oggi anche lui, contagiato dal Lucianone nazionale, tutto estro e arte applicata alla scienza inesatta del pallone.
Il buon Aurelio, che fin quando frequentava il benzinaio tosco partenopeo (Sarri n.d.r.), rivolgendosi ai giornalisti non riusciva a fare di meglio che dire testualmente, “Siete delle m***”, ora, plasmato nelle mani del Canova di Certaldo, si esprime come il Manzoni (Alessandro). Il vero miracolo di Spalletti è questo! Un tirchio di livello planetario, l’unico a giocarsela alla pari con Lotito, trasformato in un generoso mecenate, amante del bello.

Osservando con maggior attenzione, non fatico a trovare anche in alcuni giocatori vezzi estetici qualche mese fa sconosciuti.
Prendiamo Mario Rui, ad esempio. Ogni movimento del corpo, e della testa in particolare, hanno l’effetto di smuovere una folta capigliatura, curatissima. In ogni inquadratura, anche quelle dove il buon Mario appare solo sullo sfondo e tutt’altro che a fuoco, egli è sempre perfetto. Ma non solo nella capigliatura. Ogni volta che la telecamera l’inquadra ha sempre lo stesso sguardo furente, con occhi che non concedono il minimo rilassamento, un po’ Johnny Depp, un po’ D’Artagnan, pronto alla tenzone.
L’influenza sul giocatore da parte di Spalletti è innegabile. Castel Volturno, che un tempo era un postaccio dove persino le pantegane accampavano mille scuse per non frequentarlo, con l’avvento di Spalletti è diventato luogo di ritrovo di intellettuali. Addirittura, in coincidenza con il vernissage di una personale di Meret, è stato inaugurato un caffè letterario dove si discute di tutto, fuorché di calcio, un po’ come il BAR VxL. Sempre a Castel Volturno hanno aperto una scuola di portamento, e forse finalmente persino Osimhen riuscirà a camminare dritto senza che i passerotti che hanno fatto il nido sopra la sua testa patiscano il mal di mare.
Corsi di estetica e di buone maniere per tutti, questo è il segreto di Spalletti. Chissà se qualche frequentatore della Continassa trovi modo di far sapere ad Allegri che oltre all’ippica e allo sci c’è anche altro…