“Non si ricordano i giorni, si ricordano gli attimi”                                                                      

13 luglio 2014: al Maracanà di Rio è una data storica, si gioca la finale del campionato del mondo, che deciderà chi succederà alla Spagna, la quale, dopo aver alzato per la prima volta il trofeo al cielo 4 anni prima è stata malamente esclusa dalla competizione, sin dai gironi. I brasiliani aspettano questo momento dal 2007, quando la FIFA sceglie il paese sudamericano come ospitante, ma forse non era proprio la finale che avevano in mente. Già, perché la loro nazionale non c’è, ci sono i rivali di sempre dell’Argentina, e c’è soprattutto la Germania, che, in semifinale ha asfaltato i sogni di una nazione per la quale il calcio ha sempre significato tutto. I tedeschi, però, lo sappiamo, non guardano in faccia nessuno, non l’hanno mai fatto, e vogliono vendicare la sconfitta nella finale del 1986, quando, allo Stadio Azteca di Città del Messico, in cui l’allora Germania Ovest ebbe la peggio, sotto i colpi di Josè Brown, Jorge Valdano e Jorge Burruchaga, diretti dal “Dies”, il vero eroe di quel mondiale, Diego Armando Maradona. Nulla poterono i teutonici, nonostante campioni del calibro di Andreas Brehme, Lothar Matthaus, Karl-Heinze Rumenigge e Rudi Voller, le cui due reti non bastarono ad evitare che la coppa si tingesse, per la seconda volta nella storia, di albiceleste. Esattamente 28 anni dopo la storia si ripete, le due formazioni sono di nuovo faccia a faccia, e il pericolo numero uno per la nazionale guidata da Joakim Low si chiama Lionel Messi, un altro fuoriclasse assoluto, quello che è considerato dal popolo argentino l’unico degno erede del “Pibe de oro”. La Germania, di contro, può contare, come poi è sempre stato nella sua storia, su un collettivo più completo, dove ogni ruolo presenta un calciatore di livello assoluto, e può in ogni istante decidere la partita. Da Manuel Neuer, portiere dimostratosi insuperabile durante la rassegna, a Philip Lahm, il capitano, passando per Mats Hummels e Jerome Boateng in difesa, a Bastian Schweinsteiger e Toni Kroos, padroni del centrocampo, e Mesut Ozil e Thomas Muller, a supporto di Miroslav Klose che, nel corso della spedizione è diventato, con 16 reti, il miglior marcatore della storia dei mondiali. Gli ingredienti sono quelli di un match pronto a restare nella storia, con le firme dei propri campioni: non sarà così, in quanto, nei tempi regolamentari, le reti resteranno immacolate, con due occasioni divorate dai biancocelesti, sulla coscienza di Gonzalo Higuain. La gara verrà decisa al minuto 112, grazie ad una zampata, da parte dell’uomo che non ti aspetti, entrato poco prima del 90’, al posto di “Miro” Klose. Eppure Mario Gotze in fondo in fondo non è l’uomo inaspettato, che nessuno pensava potesse essere decisivo, tutt’altro: stiamo parlando di uno talenti migliori in circolazione che, grazie a questo gol, sembra aver raggiunto la reale consacrazione. Una rete che, per Mario Gotze, ha significato tanto, il momento più alto della sua carriera, ma anche un picco, dal quale, sarebbe stato destinato a colare di lì in poi.

Mario Gotze nasce, il 3 giugno 1992 a Memmingen, in Baviera. Il destino, per i ragazzi bravi a giocare a calcio in quelle zone, è il Bayern Monaco. Stesso destino che attendeva Mario, fino a quando il padre, un professore universitario, decise di accettare il trasferimento nella prestigiosa Università di Dortmund. Così, tutta la famiglia, compreso Mario e i due fratelli, il maggiore e il minore, furono costretti a spostarsi nella città della Renania. Qui continua a inseguire la sua passione più grande, fino a quando non sarà proprio il Borussia Dortmund a ingaggiarlo, nel 2001, per la squadra giovanile. Chiusa la porta del Bayern, sembrava si fosse infranto il sogno di Mario, invece si apre il portone Borussia, che diventerà, per Gotze, più di una casa.
Il suo debutto in prima squadra avverrà a soli 17 anni, il 21 novembre 2009, in una gara di Bundesliga contro il Magonza, terminata 0-0. Sulla panchina giallonera è seduto, in quel periodo, Jurgen Klopp, giovane allenatore con una sola esperienza, proprio con il Magonza, e al suo secondo anno a Dortmund. Jurgen ha un occhio particolarmente sensibile al talento e, dopo avergli fatto assaggiare il campo, pregustandone l’inconfondibile aroma, nella stagione successiva renderà Mario un titolare indiscusso del suo Borussia. Un Borussia sorprendente, che riuscirà a strappare il Masterchale dalle grinfie del Bayern Monaco, a 9 anni dall’ultima vittoria. Gotze, come detto, sarà un protagonista assoluto di questa cavalcata, collezionando, in 33 presenze, 6 gol, ma soprattutto la bellezza di 15 assist, che gli varranno, a fine stagione, il premio di European Golden Boy. Uno dei talenti, se non il talento migliore in circolazione, che comincia a far gola un po’ a tutte le migliori squadre europee. La stagione successiva è tormentata a causa di un infortunio, che lo costringe a saltare metà stagione, ma non gli impedisce di festeggiare il secondo titolo tedesco di fila. Nel 2012-13 il Borussia è ormai una squadra collaudata, un’armata di giovani dal talento indiscusso, come Mats Hummels, Ilkay Gundogan, Marco Reus, Robert Lewandovski e, appunto, Gotze. Così, a dispetto del secondo posto in Bundesliga, dove, stavolta, i ragazzi di Klopp sono costretti a cedere il passo al Bayern Monaco di Heynckes, arriva la finale di Champions League, raggiunta grazie ad uno spettacolare doppio confronto nel quale il Borussia eliminerà il Real Madrid di Cristiano Ronaldo. Gotze quell’anno sarà protagonista assoluto, soprattutto in Champions, dove metterà a referto 2 reti e 10 assist nelle 11 gare disputate, ma sarà costretto a saltare, per infortunio, la finalissima, che i suoi perderanno per 1-2.

Da “Figliol Prodigo” a “Giuda” il passo è breve, ed è il destino che spetta al talento tedesco quando viene ufficializzato il suo approdo al Bayern Monaco, con il quale nei suoi 3 anni a Dortmund ha duellato aspramente, e ai quali adesso ha deciso di unirsi. La prima stagione in Baviera, sotto la guida tecnica di Pep Guardiola, mantiene le premesse, con Gotze che fornirà 10 gol e 9 assist come contributo alla causa, vincendo il titolo. Il tecnico catalano stravede per Mario, che, grazie alla sua grande qualità tecnica, diviene un fulcro dei Bayern Monaco, mostrandosi abile nel rivestire tanto il ruolo di trequartista, quanto quello di “falso nove”, tanto caro a Pep.
Quell’estate si gioca il mondiale e Mario viene convocato, pur non essendo un titolare fisso nello scacchiere di Joakim Low. Tuttavia, come abbiamo visto, anche da subentrato Gotze risulterà decisivo per la sua nazione, segnando una delle reti più importanti di sempre, divenendo l’eroe che consegnerà alla Germania il suo quarto titolo mondiale. Un sogno, in una notte di mezza estate, la prospettiva del mondo ai suoi piedi, ma il destino non ha in serbo questo per lui, ed il declino, da quel 13 luglio, sarà lento e doloroso.
Nella seconda stagione al Bayern, comunque, pur non regalando prestazioni eccezionali, e pur non riuscendo a portare a casa la tanto agognata Champions League, concluderà con 15 gol e 7 assist in 48 presenze fra tutte le competizioni.

La stagione del declino è la successiva, dove scenderà in campo soltanto 21 volte, a causa di diversi problemi fisici. Metterà insieme comunque 6 gol e 4 assist, ma mostrerà un netto calo fisico che, a soli 24 anni, è qualcosa di inspiegabile. Gli infortuni, e le difficoltà fisiche sono riconducibili ad un raro disturbo del metabolismo energetico di Mario, denominato “miopia metabolica”. Infatti, il suo organismo, fornisce una bassa produzione di creatin-chinasi, ovvero un enzima, presente nel tessuto muscolare, capace di trasformare la creatina in fosfocreatina, che permette la sintesi di ATP, indispensabile per la contrazione muscolare. In poche parole, Gotze riscontra difficoltà, oltre nel bruciare grassi, nel ricevere energia e stimoli per la contrazione muscolare, cosa che ne abbassa notevolmente le prestazioni fisiche, rendendolo inoltre soggetto facilmente ad infortuni muscolari.
L’addio di Pep Guardiola, che aveva sempre creduto in lui, coincide anche con il suo ritorno a “casa”, in quella Dortmund che ne aveva per prima ammirato le gesta, e dove Mario spera di poter ritrovare se stesso. Non sarà così, nonostante la parziale risoluzione del problema metabolico, ci sono soltanto sprazzi del vero Mario Gotze, dell’European Golden Boy del 2011, dell’eroe mondiale del 2014: una delusione su tutta la linea.

“Sono stato un Giuda, poi un eroe, poi una delusione, poi quasi fuori dal calcio. Tutto questo in soli quattro anni”.

Queste le amare parole del fantasista, rilasciate nel 2019, durante la sua ultima stagione con il Borussia, che lascerà, stavolta definitivamente, nel 2020. Parole che racchiudono l’odissea di questo talento che, non per colpa sua, si è visto bruciare i sogni, le ambizioni, che aleggiavano su di una carriera fra le più luminose al mondo. A partire dalla stagione in corso Mario si è trasferito in Olanda, al PSV, lasciando il suo paese, quello che grazie al suo gol è salito sul tetto del mondo, lasciando la sua casa, dove prima è stato un idolo, poi un “Giuda”, poi una delusione. In Eredivisie sembra rinato: nonostante le poche gare disputate, soltanto 15, sempre per causa di problemi fisici, ha totalizzato 6 gol e 3 assist, rievocando, seppur in minima parte, le prodezze a cui ci aveva abituato.

“A chi crede nei sogni, basta un gradino per raggiungere le stelle.”

Mario, nei sogni, ci ha sempre creduto, sin da quando lasciò la Baviera per trasferirsi a Dortmund, ci ha creduto quando ha alzato quella coppa, toccando le stelle, salvo essere trascinato in fondo dal fato.
Ma Gotze non molla, continua a sognare, forte del suo talento, che non lo ha mai abbandonato, e, a soli 28 anni, chissà che non abbia ancora voglia di provare a salire quel gradino…