E' volta al termine, qualche giorno fa, la settantunesima edizione del Festival di Sanremo, senza ombra di dubbio la più strana da diversi anni a questa parte. Quale occasione migliore, per far sì che anche io prenda posto al #BarVxL, e, davanti ad un buon caffè, magari decaffeinato per non rischiare di passare la notte in bianco, dire la mia su quello che è stato questo festival e, soprattutto sui suoi protagonisti.
Parto quindi proprio da ciò che ha reso tanto surreale l’evento, ovvero l’assenza di pubblico.
Noi amanti del calcio ormai ci abbiamo fatto l’abitudine, mentre per gli artisti ed ospiti presenti sull’Ariston non deve essere stata una bella sensazione. Tuttavia, un’ottima conduzione è riuscita quasi ad annullare questo fattore e, nonostante alla fine non abbia riscosso un successo eccezionale, ritengo che per i presupposti dai quali si partiva possano dirsi tutti soddisfatti. Amadeus si conferma, sembra condurre in automatico, e non c’è da stupirsi vista la sua esperienza, ma riesce anche a lasciarsi andare a gag simpatiche, forse a volte “un po’ troppo”, con l’amico Fiorello. Lo show man siciliano è la vera anima di questo Sanremo, e ogni sera lo dimostra con esibizioni che vanno dal canoro, all’intrattenimento, al vero e proprio show. Veniamo poi al “nostro” Zlatan Ibrahimovic, che viene ingaggiato da Amadeus per fornire maggiore visibilità anche nel mondo dello sport, riuscendo parzialmente nell’impresa. Lo svedese recita la parte del duro, che ormai ha legato indissolubilmente alla sua immagine, e, pur risultando a volte ripetitivo, colpisce il suo essersi messo in gioco, mostrando anche le debolezze legate ad un’esperienza nuova per lui, abituato ad un altro palco, quello verde. Il monologo finale è banale, ma lascia trasparire una buona dose di sincerità, e indubbiamente riesce a colpire lo spettatore, dunque mi sento di promuovere lo svedese.
Fra gli altri ospiti vorrei analizzare la performance di Achille Lauro. Lasciando da parte la prestazione canora, che è stata volutamente, almeno così mi è parso, messa in secondo piano, i cosiddetti “quadri” sono sicuramente evocativi da un punto di vista visivo, quasi teatrali. Tuttavia, mi sembra che il messaggio sia abbastanza flebile, un semplice replay di ciò che ha messo in scena lo scorso anno, da concorrente, e che era riuscito a ottenere l’effetto sorpresa sperato, a cui però aggiunge ben poco, esaltando e, a mio avviso, a tratti ridicolizzando tematiche sociali ben più profonde. Il suo ossessivo anticonformismo si trasforma alla fine in un conformismo, in un dover necessariamente esagerare per essere se stessi, per poi, nell’ultima serata, andare anche ad enfatizzare le critiche subite, come se non fossero previste nel “pacchetto”. La polemica relativa ai fiori è la goccia che fa traboccare il vaso, l’ennesima “lotta” lanciata nella mischia, così, per il gusto di discutere, su un qualcosa di inesistente, giusto per andare contro una tradizione, soltanto perché ritenuta ormai “passata”.
In rapporto ai cantanti, vorrei analizzarli uno per uno o quasi, ma lo farò in maniera particolare, facendo affidamento su una folle idea che mi è rimbalzata fra una canzone e l’altra. Così, mentre gli artisti si esibivano, provavo a immaginare chi avrebbe potuto rappresentare ognuno di loro fra i club di Serie A… pensate che mi sia fermato lì? Ovviamente no, ho scritto una lista, ed eccomi oggi qui nel folle intento di paragonare ogni cantante in gara con una squadra del nostro campionato.

Un cantante per ogni squadra di Serie A
Parto con un’ovvietà, dettatami dalla matematica, ovvero, essendo 26 gli artisti in gara al Festival, e soltanto 20 i club impegnati in Serie A, ho dovuto “lasciare a casa” 6 cantanti, diciamo quelli per me meno significativi, e che non mi hanno rimandato ad una squadra del nostro campionato, ma non mancherò di citare, alla fine dell’articolo. Ho deciso di scegliere un artista e paragonarlo alla squadra di Serie A, che, non soltanto per classifica e risultati, quanto anche per il suo modo di giocare, la sua storia, i suoi calciatori e l’allenatore, più si avvicina a quello che il cantante ha mostrato durante le 5 serate a Sanremo. La classifica finale verrà ignorata, in quanto mi baserò sui miei giudizi, e dunque sulla mia classifica personale, mentre per la descrizione procederò in ordine alfabetico, per non far prevalere nessuno sugli altri. Cominciamo dunque: un cantante per ogni club di Serie A.

Annalisa – Annalisa  è, ormai, sul palco dell’Ariston, una certezza, essendo giunta alla sua quinta partecipazione al Festival. Anche quest’anno la sua canzone è di buon livello, forse un po’ differente dalla classica ballata degli scorsi anni, più pop, in accordo con l’evoluzione che sta avendo proprio l’artista negli ultimi anni. Tuttavia, ritengo che, seppur meritevole di una posizione d’élite, dunque sicuramente della Top 10, manchi di quello step decisivo per essere considerata da prime due o tre posizioni, nonostante la sua voce lo sia indubbiamente. Mi sembra di star parlando della Roma di Fonseca, che ha cambiato stile, in accordo con il suo tecnico, passando ad un calcio più europeo. I giallorossi hanno una rosa con poco da invidiare alla maggior parte delle concorrenti, e le loro prestazioni riflettono questa situazione: un cammino positivo, che gli permetterà di giungere fra le prime 7, e con un’ampia possibilità di giocare la Champions League la prossima stagione: ma manca quell’allungo, decisivo, che è nelle corde della Roma, e che le permetterebbe di giocarsi lo Scudetto. “9 E MEZZO”

Arisa – Il titolo della canzone sembra una condanna: “Potevi fare di più”. 7 partecipazioni, senza includere quelle come presentatrice, 2 vittorie, una nella categoria giovani, una fra i “Big”. Sulle sue qualità non c’è assolutamente nulla da discutere, tuttavia il pezzo è troppo simile alle canzoni presentate negli ultimi anni, con un testo molto banale, e non mi sembra meritevole di un posto sul podio. Sarebbe stato auspicabile una rivoluzione, un cambio di rotta, un tentativo di rivoluzione, dopo diversi anni al top, fra vittorie e podi, che, almeno fino ad ora, non sembra arrivata. Come per la Juventus, che, da 9 anni davanti a tutti, in questa stagione sta faticando più del previsto: la qualità della rosa bianconera, alla stregua della voce di , è fuori di dubbio, ma serve un cambio generazionale, che parzialmente sta avvenendo, ma necessiterà di qualche anno di transizione e, intanto, per questa stagione, sembra che sia giunto il momento di lasciar posto agli “altri”. “ORA I NOSTRI PERCORSI SONO PIENI DI MINE”

Bugo – Il web a volte sa essere molto meschino. Lui è una delle sue ultime vittime: presentatosi lo scorso anno, con un pezzo davvero di buona qualità, è costretto ad abbandonare la gara anzitempo, causa dissidi con il suo “compagno di avventura”, Morgan. Amadeus gli offre un’altra chance, Cristian torna su quel palco, ad oltre un anno di distanza, con una canzone che a molti non è piaciuta, a me “Invece sì”. Perdonate l’umorismo flebile, ma ritengo il che pezzo di Bugo sia di buona qualità, con un arrangiamento ed un testo leggeri, tipici dell’artista, ma che arrivano al punto. Non al livello del pezzo dello scorso anno, a mio avviso, ma comunque dignitoso, e sicuramente non meritevole delle critiche piovutegli sui social, circa la sua “incapacità”, che avrebbe riscoperto dopo 30 anni di carriera, nel cantare, critiche che non mi sembra di aver visto negli anni passati per artisti, come Elettra Lamborghini, sicuramente indegni, ma forse più amati dall’italiano medio. Torna in A, dopo averla salutata con largo anticipo, anche il Benvento, insieme al suo tecnico, Pippo Inzaghi. Le “Streghe” sono diventate subito oggetto di satira, grazie alla loro partenza negativa, che gli ha permesso di portare a casa il primo punto dopo ben 15 giornate. Stessa sorte per l’ex bomber azzurro che, dopo un paio di esperienze fallimentari con Milan e Bologna, sembrava destinato ad un altro mestiere. Invece, con tanto lavoro, Inzaghi ed il suo Benevento tornano in A, e lo fanno con stile, sorprendendo in pronostici, e preparandosi al finale di stagione con larghe possibilità di “sopravvivere”. “CHE DAVVERO NON CI AVRANNO MAI CAPITI”

Colapesce Dimartino – Forse, a mio avviso, la sorpresa più piacevole. “Musica leggerissima” non è un capolavoro, indubbiamente, ma è una canzone che funziona: ha tutte le carte in regola per sfondare, anche oltre il Festival. Magari non meriterà la vittoria, ma sicuramente il podio, almeno per quanto mi riguarda, nonostante gli apprezzamenti non così dolci e le numerose accuse di plagio a decine di artisti. Critiche piovute anche sul Milan: dai rigori, all’Ibra-dipendenza, al “tanto adesso crollano”, ma i rossoneri sono sempre lì, con il loro “gioco leggerissimo”, semplice, che esalta la giovane età media della squadra. Pioli, così come i due autori del pezzo sanremese, partiva come un tappabuchi, il “normalizzatore” veniva definito, salvo ribaltare completamente una squadra priva di identità, che si candida seriamente allo scudetto. Hanno perso il primato a favore dei cugini, oggettivamente superiori, ma non molleranno, fino alla fine, e con ogni probabilità otterranno il tanto agognato ritorno in Champions League. “IL MAESTRO E’ ANDATO VIA” (MENO MALE)

Ermal Meta – Una delle canzoni migliori. In molti avevano ancora nella testa il pezzo vincitore nel 2017, in coppia con Fabrizio Moro, decisamente più impegnato per testo, arrangiamento e tematica sociale. Ma la canzone è ottima: il testo, pur abbastanza banale, ha il suo perché, e in generale, anche grazie alla sua straordinaria voce, il risultato è quello della “classica ballata sanremese”, che non potrà dire “un milione di cose”, ma resta di valore assoluto. Anche i tifosi della Lazio, oltre agli addetti ai lavori, hanno aumentato le aspettative nei confronti dei biancocelesti, dopo la cavalcata dello scorso anno. La verità è che la squadra di Inzaghi è fra quelle che giocano il miglior calcio in Italia, è ancora in corsa per confermare il piazzamento Champions, ed ha staccato il pass per gli ottavi di finale della competizione, dove nulla sembra poter contro la corazzata dei campioni in carica. Ma il bilancio della Lazio, così come quello di Meta, è nettamente positivo. “CE LO FAREMO BASTARE“(AMMESSO CHE SIA POCO)

Francesca Michielin/Fedez – Non proprio quello che ci si poteva aspettare. La coppia partiva fra i favoriti, per l’ottima “fan-base” di cui gode, forte degli ottimi trascorsi dei due, e del passato della cantante sull’Ariston. Invece la canzone è anonima, con un testo debole, che non colpisce, e solo la straordinaria voce e carisma della Michielin riescono a sollevarla, mentre Fedez si accontenta di trascinarla più grazie al suo bacino di follower, che con le sue prestazioni. Discorso simile per la Fiorentina, che, forte di un’ottima piazza, un presidente solido economicamente ed una rosa fra le migliori del campionato, si trova costretta a lottare per scongiurare una disastrosa retrocessione, non lasciando sonni tranquilli ai tifosi. “CERTI INIZI NON SI MERITANO NEMMENO UNA FINE”

Francesco Renga – Vi svelo in anticipo a chi ho equiparato il percorso di Renga: il Torino. La delusione più grande, quella di un artista di livello assoluto, che ha anche vinto un Festival, ma che ormai sembra arrivato alla frutta, nel suo riproporre ossessivo di canzoni d’amore smielate e ripetitive. Sembrano lontani i tempi del cantante Rock dei “Timoria”, con la sua voce unico punto di appiglio in un mare di confusione. Come il Gallo Belotti, capitano granata, che, nonostante la situazione disastrosa del suo Toro, continua a portare sulle spalle una baracca che, seppur arrivasse alla salvezza, otterrebbe l’ennesimo sospiro di sollievo, dopo un’altra stagione negativa, per un club che merita decisamente di più. “HO COME L’IMPRESSIONE CHE LA SPERANZA ABBIA CAMBIATO UMORE”

Fulminacci – Un giovane ragazzo, al debutto a Sanremo, che, con un pezzo semplice, il quale non avanza chissà quali pretese, riesce a stare nel suo: non “spacca”, ma non si può di certo affermare che sia una delusione. Il giusto mezzo, un testo senza troppi significati intrinseci, ma che funziona, così come l’arrangiamento. Lo stesso lavoro di Claudio Ranieri, alla Sampdoria: gioco semplice, classico, efficace, che non corre grandi rischi, e non ottiene risultati strabilianti, ma si toglie grandi soddisfazioni, come le vittorie raccolte contro big quali Lazio, Atalanta e Inter. “QUANTO VUOI PER TUTTO QUESTO?”

Gaia – Ritorniamo in zona delusione. Sarà che il reggaeton sta ai miei gusti musicali come la pancetta sta nella carbonara, ma questa canzone mi sembra fra le peggiori del torneo. Sicuramente una delle più deludenti, considerando il talento canoro che ha dimostrato, emergendo, negli ultimi anni, e che ha confermato in queste serate. Si consolerà tenendoci compagnia in radio per tutta l’estate grazie ai suoi ritmi latini. Situazione parallela a quella del Cagliari che, nonostante una delle rose più competitive dell’intera Serie A, sta raschiando il fondo, e soltanto il subentro di Semplici sembra in grado di porre rimedio alla situazione di una squadra che, con uomini del livello di Nainggolan, Godin e Joao Pedro, sta seriamente rischiando di ripartire dalla cadetteria. “DISORDINE RARO”

Gio Evan – Devo ammettere di aver apprezzato questo artista, che non conoscevo, ma mi ha decisamente colpito. La canzone non è tra le migliori, anzi, forse fra le peggiori, perché lui non spicca come cantante, ma si è dimostrato un bravissimo poeta: il testo è eccellente, con un susseguirsi di frasi semplici, ma intrise di una straordinaria retorica. Per me rimane il Crotone, fanalino di coda, ma con onore, come stanno dimostrando i calabresi che, seppur con una rosa meno attrezzata delle concorrenti, provano a restare aggrappati alla salvezza, trascinati da Simy e Messias, e adesso anche da Serse Cosmi. “EPPURE LO VOGLIO RIFARE”

Irama – Altra canzone, altro reggaetton. Il testo di è leggermente più solido di quello di Gaia, ma, in definitiva, la canzone non colpisce più di tanto. L’arrangiamento è banalissimo, poco originale, sulla falsa riga dei tormentoni estivi e, a mio avviso, anche poco orecchiabile. Non boccio completamente l’artista, al quale va data la piccola attenuante dell’impossibilità di esibirsi dal vivo, lo pongo sullo stesso livello dell’Udinese che, con una rosa composta da elementi del calibro di Juan Musso, Rodrigo De Paul, Roberto Pereyra e Gerard Deulofeu potrebbe puntare anche alle zone alte della classifica, ma si accontenta si “sguazzare” nel suo brodo, ottenendo una salvezza tranquilla, poche critiche, ma anche pochi complimenti. “CI VESTIREMO DI VERTIGINI”

Rappresentante di Lista – Che bella sorpresa. Anche loro sembravano destinati al ruolo di comparsa e invece, serata dopo serata, si guadagnano credibilità, abbinando un ottimo testo ad un’eccezionale prestazione canora. Non li metto troppo in alto, per me sono il Genoa, che, dopo un inizio turbolento, con l’arrivo Davide Ballardini, si guadagna immediatamente un posto a metà classifica, dando anche numerose grane alle big che incontra (vedi Napoli e Atalanta): alla faccia della comparsa. “URLARE DOPO AVERE PIANTO”

Lo Stato Sociale – La grande sorpresa dell’edizione targata 2017, con il loro inno alla libertà “Una vita in vacanza”, che gli valse il podio. Quest’anno tornano, con un pezzo sicuramente altrettanto interessante, un’altra esibizione da ricordare, che però non colpisce quanto quello dell’ultima volta. Sarà che l’antifona è sempre la stessa: un’indie leggero, che ti trascina, ma con un testo troppo simile al precedente, con le classiche tematiche sociali di anticonformismo ormai trite e ritrite. Interessante l’idea di ridimensionare “do”, il cantante, confermando ancora una volta lo spirito di unità del gruppo, per chi ne dubitasse. Comunque, per me loro rappresentano il Sassuolo, che, con Roberto De Zerbi al timone, mostra un gran calcio, divertente, offensivo, e piacevole agli occhi, ma che forse ogni tanto pecca di cinismo e solidità difensiva, lacune che lasciano trasparire come non i neroverdi non siano ancora pronti per l’Europa. “QUASI ROCK’N ROLL”

Madame – 19 anni, esordio assoluto all’Ariston, completamente mascherati da una ragazza che sprizza talento e personalità da tutti i pori. L’autotune si limita ad accompagnare una “Voce” indiscutibile ed un testo forte, che viene premiato come il migliore, meritatamente aggiungerei. La cover di “Prisencolinesnanciusol”, di Adriano Celentano, è stata la ciliegina sulla torta per il suo percorso sanremese. Storia affine a quella dello Spezia di Vincenzo Italiano, al debutto assoluto invece in Serie A, ma che non subisce minimamente l’impatto della massima serie e, affrontando ogni avversario con coraggio e senza mai snaturare il proprio gioco con proiezione offensiva, continua a giocarsi la salvezza, con un futuro roseo per diversi giovani e per il tecnico, a prescindere dal risultato finale. “MILLE GIRI SULLE GIOSTRE”

Malika Ayane – Malika Ayane è una grande artista, anche lei ormai una costante di questo Festival, e purtroppo pure lei casca nel “tranello” del banale, del riproporre la solita solfa. In realtà ci prova anche a portare un pezzo diverso, però il risultato è un qualcosa a metà fra lo scontato e l’originale, né carne né pesce: peccato, perché potenzialmente era da podio, se non da vittoria finale. Discorso analogo per il Napoli di Ringhio Gattuso, che parte con una delle tre migliori rose del campionato, a mio parere, ma, al lordo dei numerosi infortuni accorsi, non è riuscito a mostrare una propria identità, rimanendo a metà, fra il tentativo del tecnico di proporre un assetto maggiormente offensivo, il 4-2-3-1, che si scontra con la continua necessità italiana di subire un gol in meno dell’avversario, piuttosto che il contrario. “NON E’ MAI DETTO”

Maneskin – Il rock sull’Ariston non è mai scontato. Lo scorso anno fu Piero Pelù a rappresentarlo, quest’anno la giovane band romana. Il loro sound è un rock molto spinto, un misto fra hard rock e heavy metal, che ci fornisce un arrangiamento travolgente, con le chitare elettriche che sembrano in procinto di far crollare il palco. Loro poi sono una forza, si esibiscono, danno spettacolo, e la voce di Damiano David è indiscutibile. Cosa manca allora? Il testo, troppo molle, ripetitivo, non riesce, a mio avviso, a comunicare quello che trasmettono gli strumenti, ed è un vero peccato perché altrimenti staremmo davvero parlando di un capolavoro. La cosa che mi dispiace è che non abbiano fatto parlare di loro tanto per la loro proposta musicale, quanto per i loro look e le loro esibizioni sfrenate, spero però che possano dare nuova linfa al rock italiano. Il paragone è forse il più scontato di tutti: “Zitti e buoni”, quello a cui sono ridotti la maggior parte degli avversari della “Dea”, capace di surclassarli con il proprio gioco “rock”, non esiste un paragone migliore. Ormai anche la rosa di Gasperini è fra le migliori in Italia, con calciatori come Ilicic, Muriel e Gosens che non rappresentano più delle sorprese, e allora manca il passo decisivo, vincere un trofeo, altrimenti sarebbe davvero un peccato per uno dei migliori cicli che il calcio italiano abbia mai conosciuto fra le squadre di provincia. “DIVERSI DA TUTTI”

Max Gazzè – Mi piacerebbe tanto definirlo una sorpresa, ma in fondo so che non lo è. Max Gazzè è ormai una costante di questo Festival, capace ogni anno di portare, seppur sempre in linea con il proprio stile, qualcosa di nuovo, originale, e significativo. Le sue esibizione poi, si mantengono sempre al limite fra il folle e l’esagerato, dalla “Trfluoroperazina Monster Band”, ai “quadri” di Leonardo e Salvador Dalì, fino alla parodia di se stesso nei panni Superman. Vorrei dire che anche il Verona di Ivan Juric sia una sorpresa, ma so bene che non lo è. Anche quest’anno sembrava un candidata alla retrocessione, e invece eccoli lì, non solo salvi, ma vicini alla zona europea, e capaci, con il proprio gioco intensissimo, di infastidire tutte le squadre che affrontano. E’ proprio Ivan Juric il “Farmacista” dell’Hellas, che sembra riuscire, quasi miracolosamente, a mantenere sempre lo stesso ritmo, a prescindere da quali siano gli interpreti (magari ci riuscirebbe anche con i cartonati portati sul palco da Gazzè durante la sua prima esibizione). “ATTNAGLIA QUALSIVOGLIA IMPERFEZIONE”

Noemi - Da Noemi ci si aspetta sempre che possa vincere, perché è una veterana, perché ha una voce straordinaria, ed una gran presenza scenica. La canzone, faccio un discorso simile a quello relativo ad Ermal Meta, è un classico “sanremese”, funziona, anche se il testo può risultare un po’ scontato, e forse nel complesso è, fra i “veterani”, la migliore. Per questo motivo la pongo sullo stesso piano dell’Inter: tanto, troppo criticata per un gioco, il contropiede, che sembra diventato qualcosa di antisportivo, nella ricerca ossessiva del “bel calcio”, analoga alla ossessiva ricerca, in questo Sanremo della “novità”. La verità è che l’Inter, così come , raggiunge il proprio scopo, raggiunge il risultato, e questo conta. “MA FORSE HAI SOLO DATO TUTTO PER SCONTATO”

Orietta Berti – Eletta a regina del web, grazie alle numerose gaffe (diciamo che forse tutte queste avventure non le erano mai accadute nelle sue numerose partecipazioni a questa manifestazioni), ma, lasciando da parte gli scherzi, si conferma intonatissima, e ci scappa anche la polemica sui cosiddetti “microfoni veri o falsi”, mentre la sua canzone, una stupenda dichiarazione d’amore, non è neppure così male, ma forse, stavolta devo ammettere che è sin troppo classica. Una nobile decaduta Orietta, sul palco dell’Ariston, come il Parma nella nostra Serie A, che sembra destinata a scivolare in cadetteria, dopo lo stoico ritorno grazie alle tre promozioni di fila. Ma continua ad essere in gioco. “DA ALLORA TUTTO E’ CAMBIATO”

Willie Peyote – Sicuramente il pezzo che ha più da dire. Il rapper torinese non risparmia nessuno, dalle critiche sulla sua generazione, a quelle sul momento storico in cui grava il nostro paese, con riferimenti al poco impegno nei confronti del mondo dello spettacolo, a favore, ad esempio, dello sport. In generale, il testo assume troppo la forma di una “paternale”, con un insieme di biasimi alla società sin troppo diretti e che finiscono col diventare ripetitivi. Per questo motivo non lo colloco al di sopra del Bologna di Sinisa Mihajlovic, che non si risparmia mai di dare il cento per cento, come richiesto proprio dal mister, ma che alla fine non ottiene i grandi risultati che ci si potrebbe aspettare, pur guadagnandosi la metà classifica. “MAGARI FACCIO DUE PALLEGGI”

Come promesso cito gli altri artisti in gara, a partire dagli Extraliscio che, insieme a Davide Toffolo, ci hanno regalato un ottimo pezzo, e, soprattutto una validissima esibizione, mentre i Coma Cose, oltre a portare una bella canzone, sono stati anche capaci di commuovere l’Italia intera, con il loro amore. Non pervenuti Aiello e Random, non tanto per i loro pezzi, quanto, a mio avviso, per aver dimostrato di credere poco in loro stessi, perdendo di originalità e carattere, ma sono giovani e hanno tutto il tempo per riprovarci. Bene invece sia Fasma che Ghemon che, pur non spiccando sugli altri, all’opposto dei due sopracitati, hanno mantenuto il proprio stile, risultando alla fine assolutamente degni di quel palco.

Spero che il mio articolo, seppur leggermente lungo (ma se avete visto il Festival non ci farete nemmeno troppo caso, vista la durata delle serate) sia riuscito nel doppio intento di intrattenere ed esporre le mie opinioni con originalità.