L’America e il calcio: accostare queste due parole può suonare strano, non di certo un qualcosa che accade tutti i giorni. Ma andiamo con ordine, perché, a voler essere pignoli, l’America rappresenta un continente in cui il calcio è una religione, ancor più di quanto lo sia in Europa, dove è nato. In America, nello specifico nel Sud America, fra Brasile e Argentina su tutti, ma anche ad esempio in Uruguay, il calcio è nato come passione, come necessità, il bisogno di ragazzini che non avevano niente, di avere tutto, con un pallone, spesso di pezza, o una lattina, e i più fortunati di loro, questo “tutto” lo raggiungevano, e lo cavalcano, regalandoci alcuni fra i più grandi campioni della storia, di cui è anche superfluo fare i nomi.
Ma la mia digressione non era atta a sottolineare l’importanza del Sud America come fucina di grandi talenti, quanto ad evidenziare come in realtà il continente americano nel calcio abbia scritto uno dei capitoli più importanti, e come la parte che con il calcio ha ben poco a che vedere è quella rappresentata dagli Stati Uniti d’America. Questo, tuttavia, non sorprende minimamente, se consideriamo che negli “States”, il calcio, ha ben poca rilevanza sino al 1994, anno del mondiale disputato in casa, e in occasione del quale vedrà la luce la Major League Soccer, il massimo campionato di calcio professionistico per club “americani” e canadesi. La nazionale statunitense, invece, nata nel 1885, che fa il suo esordio internazionale nel 1916, e partecipa anche a 10 edizioni della Coppa del Mondo, non è mai stata fra le "grandi" del calcio mondiale. Gli americani spiccano nel Basket, dove sono pressoché imbattibili, nel Football (non quello che intendiamo noi, che invece è il Soccer), nel Baseball, nell’Hockey sul ghiaccio, ed in numerose altre discipline agli antipodi rispetto al calcio. La MLS sta avendo un’enorme crescita, soprattutto dal punto di vista commerciale, avendo ospitato, negli ultimi quindici anni, il finale di carriera di numerosi campioni, quali Thierry Henry, David Beckham, più di recente Zlatan Ibrahimovic, o, se torniamo indietro di qualche anno, Pelè, che fu uno dei primi simboli della riscossa di questo movimento calcistico, che conobbe la luce, come detto, solo diversi anni dopo. Negli ultimi anni, invece, una generazione di ragazzi, nati negli Stati Uniti fra la fine degli anni ’90, poco dopo il mondiale dunque, e i primi anni ’00, sta cercando di affermare il proprio valore anche nel panorama calcistico internazionale. Andiamo a ripercorrere alcuni dei calciatori statunitensi più promettenti sul globo terrestre.

Sergino Dest e i suoi fratelli
Sergino Dest nasce ad Almere, una città di circa 200000 abitanti, nei Paesi Bassi, ma la nazionalità di suo padre, appunto statunitense, gli fornisce il passaporto americano, per la cui nazione sceglie di giocare, affermando di credere fermamente nel potenziale degli “Yanks”. Adocchiato subito, come la maggior parte dei giovani olandesi, dalla fabbrica di talenti Ajax, esordisce in prima squadra appena maggiorenne, prendendosi il posto da titolare sulla fascia destra. Dopo solo due stagioni le antenne delle compagini europee non tardano a virare su di lui, e alla fine è il Barcellona a spuntarla, per una cifra poi nemmeno così alta, circa venti milioni, con Koeman, il quale stravedeva per lui, che, non avendo avuto l’opportunità di allenarlo in nazionale, decide di portarlo in blaugrana. Terzino moderno, offensivo, oltre ad una buona corsa denota un’ottima tecnica di base, sia nel dribbling che nei cross, e rappresenta la “risposta” statunitense al terzino canadese Alphonso Davies. Ma non è solo Dest a colpire, fra i laterali difensivi di marca statunitense: infatti, possiamo annoverare prospetti del calibro di Bryan Reynolds, a lungo seguito anche dalla Juventus, e infine approdato nella capitale, ma anche Reggie Cannon, come Reynolds proveniente dal Dallas, e che ha fatto tappa da settembre in Portogallo, al Boavista. Infine, un americano, nato in Inghilterra, e dunque provvisto di passaporto inglese, Antonee Robinson, attualmente al Fulham, in Premier League.

Tyler Adams, un talento targato Red Bull
Tyler Adams è un talento tutto di marca Red Bull: classe 1999, sin dalla tenera età viene cresciuto nelle giovanili della squadra di New York, di cui l’azienda austriaca è proprietaria, dopo essere stato svezzato in MLS, nella quale disputa 52 gare, approda nel grande calcio europero, in Bundesliga, al RB Lipsia di Julian Negelsmann, squadra interamente forgiata attorno al talento, e di cui diviene subito un uomo cardine. Gioca 40 partite, condite da una rete, fra campionato e Champions League, dimostrandosi fondamentale, grazie alle sue doti fisiche, un grande dinamismo accompagnato da una resistenza pressoché infinita, e tecnica, che gli consentono di ricoprire sia il ruolo di mediano, che di mezz’ala, oltre che di terzino e, all’occorrenza, difensore centrale. Il prototipo del calciatore moderno, duttile, abile fisicamente e tecnicamente, e che ogni squadra vorrebbe avere, ma non finisce qui: la sua unica rete a referto, nei quarti di finale ad eliminazione diretta dello scorso anno contro l’Atletico Madrid, rappresenta anche la prima e unica marcatura ad opera di un calciatore statunitense nei quarti della massima competizione europea, la partita contro il Paris Saint Germain, è la seconda semifinale in cui figura un calciatore americano, dopo DaMarcus Beasley, che affrontò il Milan, nel 2004-05, con la maglia del PSV Eindhoven. Infine, l’esordio con la sua nazionale, avvenuto il 14 novembre 2017, lo ha reso il primo calciatore nato nel 1999 a giocare per gli Yanks (ma in questo articolo scopriremo che non sarà l’ultimo). Insomma, anche i record sono dalla sua, staremo parlando di un predestinato? Non ci resta che scoprirlo…

Weston McKennie: vi presento il “tuttocampista”
Dei giovani di cui parleremo in questo articolo, sicuramente il centrocampista bianconero rappresenta il più noto. Weston McKennie, direttamente dalla scuola di Hogwarts…scusate, volevo dire direttamente dal Texas, mi ha confuso la sua classica esultanza dopo i gol. Bando agli scherzi, sicuramente il giovane centrocampista ha dato nuova linfa alla mediana bianconera, negli ultimi anni apparsa sin troppo scialba. Già, perché se è vero che il grande difetto del centrocampo sabaudo risiede nell’assenza di calciatori di qualità, è indubbio come, una squadra che negli ultimi anni ci ha fatto apprezzare talenti del calibro di Arturo Vidal, o Paul Pogba, centrocampisti capaci di offendere e difendere, oltre che dotati di una innata capacità di inserirsi, avesse il disperato bisogno calciatori di questo tipo. Sembra l’identikit del texano, con le dovute proporzioni ovviamente, ma ciò che ha dimostrato in questi mesi è incontestabile: Weston corre, recupera palloni, si inserisce, segna e fa segnare i compagni. 5 reti e 2 assist, dicevamo, fra i quali spicca la perla al Camp Nou, dove i tifosi blaugrana non si vedono trafiggere tutti giorni con colpi di quella classe, e chi li mette a segno non si può certo definire un calciatore “normale”. Il texano, con un passato in cui già aveva ostentato ottime cose in Germania, con la maglia dello Schalke, si sta dimostrando capace di sopportare una casacca pesante come quella bianconera, e in grado di essere un leader nel centrocampo della “Vecchia Signora”. Sembra disporre di tutte le carte in regola per continuare su questa strada e, se riuscirà a regalare altre “magie” come quella del Camp Nou, potrà anche dire di aver emulato il suo idolo…

Christian Pulisic, la stella cometa
Christian Pulisic, dei calciatori presenti in questa rassegna, è sicuramente il più importante. Non perché sia più forte o abbia maggiori prospettive di suoi connazionali, ma in virtù del fatto che rappresenta il primo talento della cosiddetta “next gen” americana. Nel 2014 viene aggregato alle giovanili del Borussia Dortmund, che i giovani talenti sembra fiutarli come un cane da tartufo: il debutto in prima squadra avviene a soli 17 anni, e pochi mesi più tardi arriva anche la prima gioia, accompagnata dal record: infatti Pulisic è il più giovane marcatore (straniero) di sempre nel campionato teutonico. Il gol e il record non rappresentano però un fuoco di paglia destinato ad esaurirsi. Invero le prestazioni dell’esterno continueranno a lievitare, e insieme ad esse il prezzo del suo cartellino: nel 2019, il Chelsea, già sicuro della cessione del suo fuoriclasse Eden Hazard in direzione Madrid, decide di puntare sul giovane statunitense, sborsando una cifra superiore ai 60 milioni di euro per portarlo a Londra. L’eredità del belga è pesante, ma Christian sembra avere tutto per raccoglierla: parliamo, come già detto, di un esterno offensivo, capace di rivestire anche una posizione più centrale nel campo, dotato di una notevole rapidità, oltre che un’ottima visione di gioco, la quale gli ha consentito, spesso e volentieri, di servire assist pregevoli, e soprattutto di un dribbling ubriacante, con il quale riesce a mettere in seria difficoltà i difensori avversari. In nazionale il debutto avviene sempre nel 2016, anno dell’esordio con i gialloneri, da minorenne, a soli 17 anni, ma nel giro di qualche anno Pulisic è già un veterano: 34 presenze, ufficiali e non, condite da 14 reti, e, il 20 novembre 2018, in occasione di una partita amichevole contro l’Italia, la fascia di capitano al braccio, il più giovane ad indossarla. Christian Pulisic, forse non il migliore, ma sicuramente il più importante.

Giovanni Reyna: il fantasista moderno
Giovanni Reyna è il più giovane della compagnia, essendo nato nel novembre 2002. Figlio d’arte, suo padre, Claudio, è stato uno dei calciatori più importanti della storia degli “Yanks”, con cui può vantare 112 presenze e 8 gol. “Gio”, sembra però essere su di un’altra lunghezza d’onda: stesso ruolo del padre, trequartista, ma capace di giocare a tutto campo, l’altezza (circa 185 cm) lo rende valido anche fisicamente, ma è la tecnica a stupire, in questo ragazzo appena maggiorenne. Cresciuto nelle giovanili del New York City, da gennaio dello scorso anno è sbarcato in Europa, con la maglia del Borussia Dortmund, sempre loro. Meno celebrato di altri compagni, come Haaland o Sancho, è un titolare inamovibile dei gialloneri, con cui ha già collezionato 44 presenze, “farcite” con 5 gol, ma, soprattutto, 8 assist. L’assist è difatti la specialità della casa, che gli ha permesso di detenere un particolare record: Reyna è l’unico calciatore capace di realizzare una “tripletta” (di assist), a partire dal 1992, ovvero dall’anno in cui la Bundesliga ha cominciato a raccogliere questo tipo di dati in maniera ufficiale. Il suo allenatore giovanile si dice colpito soprattutto dal modo in cui usa il corpo, oltre che dalla capacità innata di leggere il gioco. Sicuramente un calciatore da tenere d’occhio con grande attenzione che, avendo già debuttato e timbrato il cartellino in nazionale, insegue le orme del padre, già in procinto di superarle.

Weah e Sargent: i “gemelli del gol”
Velocità sugli esterni, muscoli e qualità a centrocampo, pronti a servire gli attaccanti. Fra quelli che si distinguono in questa fortunata e talentuosa generazione di calciatori statunitensi, ce ne sono due che spiccano: Timothy Weah e Josh Sargent. Il primo, anch’egli figlio d’arte, sopporta un’eredità molto più pesante di quella di Reyna. George Weah è stato uno dei migliori attaccanti della storia, detentore del pallone d’oro 1995, e per Timothy l’impresa di emularlo è decisamente ardua. Le sue caratteristiche, però, hanno portato inevitabilmente al paragone con George: velocità e fisico, abbinati ad una discreta tecnica e fiuto del gol. Fino ad ora non ha raccolto grandi numeri, in termini di segnature, prima con il Paris Saint Germain, poi al Celtic, adesso al Lille, e neppure in nazionale, dove ha messo già in fila 10 presenze, essendo stato il primo calciatore nato negli anni 2000 ad esordire con la maglia degli “Yanks”, ma ha segnato solo una rete. Il tempo è dalla sua parte, così come da quella di Josh Sargent. Nato due giorni prima di Weah, il 20 febbraio, dal 2018 gioca nel Werder Brema, con la cui prima squadra debutta il 7 dicembre, in occasione della vittoria in casa per 3-1 contro il Fortuna Dusseldorf: entra al minuto 76, al posto di Milot Rashica, e, dopo soli 86 secondi, al primo pallone toccato, fa gol. Un facile tap-in sotto porta, ma sicuramente un’importante iniezione di fiducia per un centravanti. Attaccante non altissimo (185 cm), si distingue più per la rapidità, la capacità di attaccare la profondità e la buona tecnica nello stretto, che per la fisicità e la freddezza sotto porta, la quale, a differenza di come potrebbe far pensare il gol-lampo all’esordio, deve necessariamente migliorare. Solo 5 reti nelle successive 39 apparizioni con la maglia del Werder. Migliore il bottino in nazionale, dove è il secondo millennial a esordire, e il quarto marcatore più giovane, in entrambe le statistiche preceduto da Weah, il suo “gemello” del gol, con cui promette di trascinare la nazionale a stelle e striscie.

Si prospetta dunque un futuro roseo per gli “Yanks”, finalmente pronti per un ruolo da protagonisti anche nel “Soccer”, e che, già dal prossimo mondiale, sono certo daranno filo da torcere a chiunque si presenterà sul loro cammino.