Il miglior numero 9 al mondo? Robert Lewandovski diranno molti, Erling Haaland, sarà il pensiero dei “futuristi”, i più romantici potrebbero essere innamorati in maniera indistinta di Zlatan Ibrahimovic e della sua capacità, a 40 anni, di essere ancora decisivo. Il miglior numero 10? Forse Kevin De Bruyne, probabilmente Bruno Fernandes, senza dimenticare Christian Eriksen, nonostante il calo che ha accompagnato il suo arrivo in Serie A. Il gol, uno stile di vita, un trofeo, quel qualcosa che accende la luce negli occhi del centravanti, del rapace, pronto sempre ad aggiornare il proprio score personale. Poi ci sono i fantasisti, da sempre il simbolo di quanto di più bello il calcio possa mostrare, i “buoni” che, con la loro classe immensa servono le taglie ai cacciatori, che non aspettano altro di catturare la propria preda. Un connubio perfetto, quello fra 9 e 10, da sempre nella storia di questo sport, ma cosa succederebbe se esistesse un calciatore “ibrido”, capace di unire l’estro del trequartista, al fiuto dell’attaccante? Semplice, nasce Karim Benzema, il “nove e mezzo”.

Precisamente a Lione, il 19 dicembre 1987, quella Lione che ne sarà la patria calcistica per ben dodici anni, fino al 2009, quando il Real Madrid, nella persona di Florentino Perez, bussa alla porta di Aulas, individuando nel giovane attaccante di origini algerine l’uomo degno di sostenere l’attacco delle “Merengues” per gli anni a venire. L’estate 2009 è caratterizzata dagli acquisti folli di Cristiano Ronaldo e Kakà, fra gli altri, e l’arrivo di un giovane centravanti passa decisamente in secondo piano, dalle parti del Santiago Bernabeu. I primi anni a Madrid non sono entusiasmanti, soprattutto in termini di gol, complice la concorrenza di Gonzalo Higuain, che riveste la stessa posizione in campo del francese, e con il quale si alterna periodicamente. Nel 2013 arriva la svolta, la cessione del “Pipita” al Napoli, lascia spazio a Karim di prendersi il Real.
Benzema ringrazia, e non fa complimenti: tante reti, ma soprattutto un enorme capacità di mettersi al servizio della squadra, di fare la cosa giusta.
Eppure si parla sempre troppo poco di questo ragazzo, e, quando lo si fa non è per esaltarne le prestazioni, ma per metterne sotto la lente d’ingrandimento i problemi, in campo e fuori.
“Quando le masse applaudono, ci si chiede cosa si è fatto di male; quando criticano, ci si chiede cosa si è fatto di bene.”
Emblematico il pensiero di Charles Caleb Colton, scrittore britannico del diciannovesimo secolo, e chissà se Karim avrà pensato a questa citazione, immerso in quel vortice di critiche che sempre lo hanno accompagnato.

Un nemico, per i media, diventato un traditore della patria, quando, nel 2018, afferma di rifiutare di cantare le note della Marsigliese, ritenendole di incitamento alla guerra, e non dimenticando le origini algerine dei genitori. Già in precedenza era stato accusato di aver scelto la nazionale francese “per convenienza”, generando molte polemiche, che ritenevano offensive alcune sue dichiarazioni di amore per l’Algeria, nei confronti dell’identità nazionale, pane quotidiano in Francia.
Un “mercenario del pallone”, così è stato definito, da quando, nel 2015, è stato escluso dalla nazionale francese. La sua ultima apparizione in maglia “bleu” risale all’otto ottobre del 2015, quando venne coinvolto in uno scandalo mai realmente venuto alla luce. Qualche giorno prima della partita, alcuni malviventi entrarono in possesso di un video a luci rosse di Mathieu Valbuena, anch’egli convocato nella Francia. Uno dei ricattatori utilizzò un intermediario, che era un amico di infanzia proprio di Benzema. Inizialmente Karim provò a convincere il compagno a sborsare il denaro richiesto, in seguito, non vedendolo convinto, convenne che potesse lasciar perdere, ignorando l’ipotetico scandalo che ne sarebbe potuto scaturire. Nella telefonata con il suo “amico” pregiudicato la stampa francese, e lo stesso Valbuena, criticarono aspramente i toni del campione, che sembrava schernire il compagno per la situazione venutasi a creare. Un mese dopo venne ufficialmente indagato, cosa che gli costò appunto l’esclusione, che in seguito sarebbe divenuta definitiva, dalla nazionale, mentre non ci fu alcuna conseguenza all’interno del Real. Due anni dopo, nel 2017, la Corte di cassazione francese invalidò l’inchiesta a suo carico, facendolo uscire definitivamente dal caso. Una macchia indelebile nella carriera di Karim, ovviamente enfatizzata da fake news atte a sminuirne l’immagine, e che gli costò l’impossibilità di sollevare la Coppa del Mondo a Parigi, alla quale replicò: “Signor Le Graet-riferito al presidente della federcalcio francese- le chiedo di dimenticarsi di me e di lasciarmi in pace. La Francia è campione del mondo ed è ciò che conta, il resto è futile. La ringrazio”

Parole taglienti, di rammarico: Benzema parla poco, ma quando rilascia delle dichiarazioni, quasi sempre colpisce nel segno. Per il resto lascia parlare il campo, giudice supremo, e i numeri. Numeri che recitano 272 reti e 141 assist in 545 gare, fra campionato e Champions League, che ne fanno il quinto miglior goleador di sempre delle “Merengues”. Sempre a segno nella massima competizione europea, mette la firma nella finale 2017-18, con un gol fondamentale, seppur nato da un paradossale errore di Karius nel rinvio. Il trionfo dello scorso anno in Liga ha il suo volto, quello dei suoi 37 gettoni, marchiati da 21 gol, oltre che 8 assist: soltanto Messi ha fatto meglio in entrambe le statistiche.

Nonostante tutto ciò, il Santiago Bernabeu è sempre pronto a fischiarlo, a ricordargli il peso di quella maglia, a rammentargli che lì, i quella squadra, non si guarda ad una bella giocata, ad un colpo di tacco, un dribbling da fenomeno, o un assist da fantasista, si preferirà sempre il sodo, il tabellino, che, come abbiamo visto, non sempre ha sorriso a Benzema. Gli eroi, a Madrid, sono quelli che buttano la palla dentro, che non si perdono in giocate fini a se stesse, che alzano i trofei, i “Galacticos”, tradotto: Sergio Ramos e Cristiano Ronaldo. Karim, invece, resterà sempre in secondo piano, troppo poco “Galactico”. Costantemente pronto a cercare la giocata migliore per la squadra, a pressare i difensori avversari, liberare spazio per il portoghese, attirando su di sé la marcatura, come un fedele vassallo. Un compito invisibile, che non a tutti risulta facile comprendere, ma imprescindibile, se letto fra le righe.

Alle critiche, che lo accompagnano sin dai primi anni a Madrid, di essere poco cinico, e alla continua ricerca di un nuovo bomber da parte di Florentino Perez, Benzema risponde così:
“Dipende da come vedi il calcio. Un attaccante non è solo il gol, deve partecipare, creare gli spazi, fare assist… Capisco la critica, però io ho un’altra visione del calcio. Voglio segnare di più, chiaramente, però l’importante è la squadra e si deve fare altro. Una punta moderna deve saper passare, muoversi senza palla, segnare e fare assist.”
Un destino, quello di essere sempre sotto esame, beffardo, per un calciatore così, che ha però imparato a convivere con la pressione di quella maglia. Mourinho lo soprannominava “il gatto”, accusandolo di essere innocuo, quieto, capace di esaltarsi solo se spronato a dovere.
“A caccia non si può andare soli, piuttosto ci si va con il gatto se del segugio non si dispone.”
Il portoghese non ci andava per il sottile, ma si ricrederà in seguito, quando, dopo il suo addio, con Ancelotti prima e Zidane poi, Benzema mostrerà anche le qualità positive del “gatto”, come la raffinatezza, l’eleganza, e l’astuzia, trasformandosi in titolare inamovibile, e “centro di gravità permanente” dell’orbita madrilena.

Suo padre, dal canto suo, lo ha sempre persuaso a giocare di più per il gol, a puntare maggiormente al sodo, sin dal Lione, ma Karim non vuole saperne, ha preso in mano la sua carriera e il Real, anche a seguito dell’addio di Cristiano Ronaldo, e non cambierà mai: rimarrà sempre Karim Benzema, il “9 e mezzo”.
E a noi va benissimo così.