“Se volete rendere conto di cosa sia una Rivoluzione, chiamatela Progresso; e se volete capire cosa sia il Progresso, allora chiamatelo Domani.”
Il calcio cambia, si evolve, come è normale che sia, e ogni allenatore prova a capire questi cambiamenti, per anticipare le mosse degli avversari, sovrastandoli dal punto di vista tattico. Quante rivoluzioni ci sono state, seppur graduali, nella storia di questo sport? Molteplici, si pensi al nuovo modo di applicare il fuorigioco introdotto da Arrigo Sacchi, con una linea difensiva altissima, al superamento dei ruoli, per favorire l’occupazione corretta degli spazi, propugnata dal calcio totale, oppure all’introduzione della difesa a zona, ribaltando la concezione di marcatura, che fino ad allora comprendeva soltanto il concetto di “marcare a uomo” il proprio avversario. Eppure, non tutte le rivoluzioni sono state costruttive, e la maggior parte di esse ha dovuto sopportare il peso delle critiche, che hanno rischiato di bloccarne diverse sul nascere. Per fare una rivoluzione ci vuole coraggio, pazienza, è necessario lasciarsi alle spalle il passato, “il giaciglio accogliente”, che ti garantisce sicurezza, ma non ti permette di effettuare il salto di qualità, di ottenere il “progresso”, di carpire il domani, come evidenziato da Victor Hugo. “Roma non fu costruita in un giorno”, e lo stesso vale per le rivoluzioni: la Rivoluzione francese non ebbe certo risultati immediati, ci vollero anni affinché finalmente si raggiungesse una reale uguaglianza, lo stesso vale per le lotte riguardo ai diritti dei neri, o alla parità dei sessi.

Questa lunga introduzione era doverosa, al fine di presentare un argomento che sta dividendo il mondo del calcio: la costruzione dal basso. Da chi difende a spada tratta questa intuizione, ritenendo che in essa si celi il futuro di questo sport, contro coloro i quali, invece, la considerano una maniera stupida, oltre che rischiosa, per creare gioco, continuando a preferirgli il tradizionale rinvio lungo del portiere. Dov’è la ragione? Proviamo a stanare i pro e i contro della costruzione dal basso, andando a vedere quanto questa nuova concezione abbia impattato sugli undici in campo, in particolare sui portieri.

Il portiere-libero
“E’ un solitario. Condannato a guardare la partita da lontano. Senza muoversi dalla porta, attende in solitudine, fra i tre pali, la sua fucilazione. Prima vestiva di nero come l’arbitro. Ora l’arbitro non è più mascherato da corvo e il portiere consola la sua solitudine con la fantasia dei colori”
Questa affermazione, targata Eduardo Galeano, giornalista e scrittore uruguagio, fra i più apprezzati e stimati nella letteratura contemporanea, sicuramente evocativa, attualmente perde di significato. Il ruolo del portiere sta cambiando. Per esser un buon portiere, non basta più saper fare il portiere, è necessaria anche una certa abilità con i piedi: è questa la figura del portiere-libero, con vista sul calcio moderno.
Per ottenere una panoramica completa riguardo l’evoluzione di questo ruolo bisogna fare un salto indietro di quasi 30 anni: è il 1992 quando viene resa ufficiale una nuova regola che vieta al portiere di prendere la sfera con le mani, anche in area di rigore, su un retropassaggio volontario da parte di un suo compagno di squadra. E’ un qualcosa che lascia stordito tutto il mondo del calcio. Il motivo di questa decisione? Troppo spesso si assisteva a “meline” da parte di una squadra che, forte di questa possibilità, scaricava il pallone sull’estremo difensore, evitando rischi e lasciando scorrere il tempo. Emblematica fu, in questo senso, una gara disputata durante gli Europei del 1992, ultima occasione in cui fu possibile attuare questo “stratagemma”, in cui i danesi, padroni di casa e futuri campioni, lasciarono scorrere diversi minuti grazie a continui retropassaggi all’allora numero uno Peter Schmeichel.
Fu una rivoluzione su tutta la linea, e numerosi portieri, la maggior parte, dovettero imparare a giocare il pallone anche con i piedi, mentre gli allenatori furono costretti ad individuare nuovi metodi di costruzione del gioco, che comprendevano anche l’ausilio dell’estremo difensore. Con il tempo i portieri diventarono sempre più abili nella gestione della sfera, venendo allenati sin da ragazzini in questo “nuovo” fondamentale. La rivoluzione vera e propria la stiamo vivendo proprio in questi anni, ma già dal secolo scorso c’era qualcuno che aveva intuito le potenzialità dei portieri nell’avvio dell’azione e, dunque la bontà della costruzione dalla propria area di rigore.
«Mister, e se mi fanno un pallonetto?»
«Beh, se ti fanno un pallonetto, tu applaudi»

Uno stralcio di conversazione fra Andoni Zubizarreta, portiere spagnolo, originario dei Paesi Baschi, approdato a Barcellona dopo cinque stagioni all’Athletic Bilbao, nel 1986, e Johan Cruyff, che si siede sulla panchina blaugrana nel 1988. Il “Profeta” vuole rivoluzionare il calcio, vuole portare avanti l’idea del calcio totale che aveva messo in pratica da calciatore, e per ottenere ciò necessita una rivoluzione intellettuale, oltre che tattica, da parte dei propri calciatori. Tutti i calciatori devono attaccare e difendere, incluso il portiere e Zubizarreta, che ha 27 anni non ha mai sentito nulla di simile, e rimane spiazzato da tale richiesta. Alla fine, l’estremo difensore spagnolo scoprirà l’importanza di saper trattare la sfera anche con i piedi, diventando il primo vero “sweepkeeper”, (portiere-libero). Una rivoluzione prima della rivoluzione, quella di Johan Cruyff, che gli permetterà di vincere tutto in Catalunya.

Oggi, come detto, questa figura diventa sempre più una normalità, e un portiere che si rispetti deve rispondere anche ai compiti del libero. Nel calcio moderno uno dei primi esempi, in questo senso, è rappresentato da Manuel Neuer, che, nato come portiere particolarmente avvezzo a “gite fuori porta” (c’era lui fra i pali quando Dejan Stankovic segnò uno dei gol più belli in carriera contro lo Schalke 04), diviene il prototipo dello “sweeper-keeper”. La sua crescita definitiva la deve a Pep Guardiola, da sempre sostenitore di un’idea di gioco basata sul fraseggio palla a terra, e nella quale anche l’estremo difensore deve fare la sua parte. L’apoteosi, per il portiere tedesco, verrà raggiunta nel 2014, quando sfiorerà il pallone d’oro, grazie alla vittoria del mondiale, dove le sue doti da portiere volante lo rendono un valore aggiunto per la sua nazionale, determinante per il raggiungimento della vittoria finale.
Oggi, come accennato, quasi tutti i migliori interpreti di questo ruolo possiedono un’ottima capacità di giocare con la squadra: Alisson, estremo difensore brasiliano il quale spesso ha ostentato, oltre che abilità nell’impostare, anche una certa dimestichezza con i dribbling, molto rischiosi, che spesso utilizza per eludere il pressing avversario. In questa stagione sta incontrando qualche difficoltà, con alcuni errori non da lui, ma sono sicuro che sia una crisi passeggera per quello che, fino alla scorsa stagione, si è distinto come il numero uno fra i numeri uno.
Un altro portiere brasiliano, Ederson, si è dimostrato un abilissimo con i piedi, rendendosi subito fondamentale per il Manchester City di Guardiola. Non soltanto capacità di impostare, ma anche un piede “delicato” nei rinvii, che spesso si sono trasformati in assist per i compagni. "Questo è un problema che ci portiamo dietro e non ce lo possiamo permettere. Ora sto pensando di far tirare i rigori al nostro portiere Ederson". Cos’ ha risposto il tecnico dei Citizens alla domanda inerente al gran numero di errori dal dischetto, e diffiderei dal fatto che si trattasse di una battuta di spirito…

Tornando indietro di qualche anno, uno dei portieri della “scorsa generazione” che si è distinto, oltre che per gli ottimi riflessi, per l’abilità palla al piede, è stato Edwin Van der Sar, considerato fra i migliori di sempre. Si impose con la maglia dell’Ajax, con cui vinse una Champions League ed una Coppa Uefa, fallì miseramente nelle sue due stagioni alla Juventus, e, dopo un’esperienza al Fulham, sollevò un’altra Champions a Manchester. Estremo difensore capace di avviare l’azione dalla difesa, sia costruendo dal basso, che attraverso precisi lanci per i compagni di squadra, anch’egli rappresenta uno dei primi esempi dell’evoluzione di questo ruolo.

Il miglior interprete al mondo attualmente, nel ruolo di sweeper-keeper però, è considerato all’unanimità Marc-Andrè Ter Stegen. Portiere del Barcellona, si distingue, oltre che per i riflessi fra i pali, per il gran numero di passaggi completati nel corso delle partite, che ne fanno il vero regista arretrato della sua squadra, oltre ad aver fornito anche qualche assist nel corso della scorsa stagione…non male, se si ricordano le critiche che gli furono mosse dopo la rete subita da Florenzi al Camp Nou, nella quale si fece trovare colpevolmente fuori dai pali, ingolosendo l’allora calciatore giallorosso.
Ormai però ogni squadra ed ogni portiere si sta adattando a questa rivoluzione, basti pensare al nostro campionato, con estremi difensori come Thomas Strakosha e Alex Meret che hanno lasciato la titolarità a colleghi forse meno performanti tra i pali, ma più utili nel possesso palla e nell’avvio dell’azione, come Pepe Reina e David Ospina. Ma anche numeri uno come Donnarumma, Handanovic o Szcensy, per citare i tre migliori in Serie A, che non eccellevano sotto questo aspetto, stanno mostrando notevoli miglioramenti.

Costruzione dal basso: croce o delizia?
Come anticipato, questo nuovo fondamentale tattico sta dividendo tutti: dai semplici tifosi, agli opinionisti, passando per i tecnici stessi, ognuno ha la propria visione. Andiamo però ad analizzare quali possano essere i pro e quali invece i contro della costruzione dal basso.
Sicuramente, coloro i quali sostengono questo tipo di impostazione, vi individuano la possibilità di mantenere il possesso del pallone, uscendo dalla propria area tramite una fitta trama di passaggi. Da notare come, nonostante applicazioni di questo schema fossero già presenti negli anni precedenti, è dal 2019 che, con la modifica della regola 16, i difensori possono entrare in area di rigore in occasione del rinvio dal fondo.
Ovviamente l’altra faccia della medaglia è rappresentata dalla possibilità degli attaccanti di alzare il pressing immediatamente successivo al rinvio, mettendo in seria difficoltà gli avversari. Qui sorge la polemica, con diversi opinionisti che reputano folle, a dir poco, rischiare di perdere la palla in situazioni pericolosissime, andando quasi sempre a subire gol: nella mente di molti ci sono gli errori di Bentancur contro il Porto e Musacchio con il Bayern Monaco. Tuttavia, tali infortuni non derivano, a mio modesto avviso, dal tentativo di costruzione dal basso, bensì sono errori basilari, di calciatori con evidenti lacune tecniche, e, soprattutto, senza il necessario carattere per sostenere gare di quel livello.
Spazzare indistintamente la palla significherebbe concedere campo e possesso agli avversari e, alla lunga a subire comunque lo svantaggio, e non mi sembra la soluzione adatta. D’altro canto costruire dal basso non deve diventare un’ossessione, da cui scaturiscano poi errori e gol subiti, e deve basarsi soprattutto su calciatori capaci di sostenerne le esigenze, come difensori e centrocampisti di qualità e il già trattato sweeper-keeper. Il lancio lungo non è un “obbrobrio”, soprattutto se si dispone di centravanti come Lukaku, o centrocampisti come Milinkovic-Savic, che, grazie alla propria fisicità, possono garantire il mantenimento del possesso alla squadra, o portieri in stile Ederson, ma neanche questo deve diventare una soluzione univoca.

Il portiere volante e la costruzione dal basso rappresentano una nuova frontiera per questo sport che, grazie alla superiorità numerica e tattica che ne scaturisce, alla lunga si trasformerà nella normalità per la maggior parte dei club, ma, come ogni rivoluzione, necessita di tempo, e di un margine d’errore, prima di potersi ritenere compiuta.