“La bellezza non è una qualità delle cose stesse: essa esiste soltanto nella mente che le contempla ed ogni mente percepisce una diversa bellezza.”

Quante volte, anche inconsapevolmente, abbiamo citato David Hume, filosofo scozzese vissuto nel XVIII secolo, appartenente alla corrente dell’empirismo, ovvero di quella filosofia che si poneva come obiettivo fondare una scienza sperimentale, considerando l’esperienza l’unico vero fondamento della conoscenza oggettiva. Da ciò il conflitto fra empiristi e razionalisti, che invece sono convinti di poter studiare, a partire dalla ragione, e senza bisogno dell’esperienza, tutto ciò che concerne il reale. Anche nel calcio, soprattutto negli ultimi anni, abbiamo assistito ad una disputa che si è fatta via via più enigmatica, fra gli empiristi, convinti che non esistano tattiche o schemi in grado di cambiare più di tanto l’alchimia di una squadra, e i razionalisti, ovvero coloro che, attraverso la ricerca del cosiddetto “bel calcio”, hanno sempre tentato di rivoluzionare gli equilibri di questo sport. Proverò, tramite questo articolo, a ripercorrere alcune delle migliori squadre del passato e del presente, alcune a sostegno, altre contro la tesi del “bel gioco”.

I primi “visionari”
Per trovare un primo accenno di rivoluzione dobbiamo andare negli anni ’70, quando l’Ajax di Rinus Michels lasciò letteralmente a bocca aperta il mondo del calcio, con la sua intuizione che verrà in seguito denominata “calcio totale”: un modo di giocare che non si basava su posizione fisse per i calciatori, che potevano spaziare in ogni zona del campo; inoltre fu uno dei primi ad applicare la “trappola del fuorigioco”. La sua abilità lo portò ad ottenere risultati esaltanti prima con il suo Ajax, in cui aveva consumato l’intera carriera da calciatore, e che sotto la sua guida tecnica riuscì ad alzare la sua prima Coppa dei Campioni, poi con il Barcellona, in seguito con l’Olanda, quell’Olanda denominata “Arancia Meccanica”, chiaro riferimento al film di Stanley Kubrick, che sfiorò, nel 1974, il colpaccio mondiale, schiantandosi contro l’empirismo della Germania Ovest.
Tutte le tre squadre che ho citato avevano come calciatore di punta un ragazzo, che all’Ajax aveva solo diciannove anni, e che sarebbe diventato, grazie alla sua abilità nel rivestire più ruoli nel campo, uno dei simboli del “totaalvoetbal” (traduzione in olandese della locuzione “calcio totale”), oltre che uno dei migliori interpreti della storia di questo sport: sto ovviamente parlando di Johann Cruyff, il “Pelè bianco”. Johann, già da calciatore, mostrava un’intelligenza fuori dal comune, e non era dunque difficile prevedere che il suo destino sarebbe poi potuto essere in panchina. Con addosso giacca e cravatta “Il profeta del gol”, seguendo lo stesso percorso del padrino Michels, nonché l’itinerario che aveva svolto da calciatore, ottenne risultati straordinari, proseguendo sulle fondamenta gettate dall’ex allenatore, portando il Barcellona a vincere la sua prima Coppa dei Campioni, ai danni della meravigliosa Sampdoria di Vialli e Mancini, con la rete dell’attuale mister dei blaugrana, Ronald Koeman. Anche in Italia abbiamo avuto, tra numerosi allenatori straordinari, un “visionario”, un altro portatore dell’idea del cosiddetto “bel calcio”. Arrigo Sacchi non era un ex calciatore, ha sempre fatto l’allenatore, sin dall'età di 27 anni, con una lunga gavetta che lo ha portato sulla panchina del Milan. Il grande Milan, quello dei tre olandesi, Frank Rijkard, Ruud Gullit e Marco Van Basten, fu in gran parte una sua creatura, plasmata su quegli ideali, introdotti da Michels per primo, di offensività, pressing, trappola del fuorigioco, in una parola dominio assoluto. Uno scudetto e due Coppe dei Campioni nei suoi quattro anni in rossonero, dove guidò una delle più grandi squadre di sempre.

Ai giorni nostri
Veniamo al calcio moderno, e anche in questo caso troviamo tre esempi di “bel calcio”, che hanno rivoluzionato sotto tanti aspetti la visione di questo sport. Nel Barcellona di Johann Cruyff , fra i numerosi fuoriclasse, spiccava un centrocampista, non tra i migliori della squadra, ma dotato di una intelligenza tattica fuori dal comune. Nel 2008 quel calciatore diventa l’allenatore dei blaugrana, succedendo ad un altro mostro sacro come Frank Rijkard, e mettendo in bacheca tre campionati, ma soprattutto tre Champions League. Ovviamente parlo di Pep Guardiola, il cui calcio, il cosiddetto “tiki-taka”, basato sui concetti del possesso prolungato del pallone, allo scopo di tenere costantemente in mano le redini del gioco in fase offensiva, con un recupero immediato in fase di non possesso, è ritenuto da molti esperto l’esempio più casto di “bel gioco” in relazione all’era moderna. Meno vincenti sono state le esperienze in terra tedesca e inglese del tecnico catalano, che però non ha mai messo da parte i suoi principi.
Torniamo però all’Italia, dove, per il percorso svolto, e anche per una curiosa assonanza presente nel cognome, Maurizio Sarri è stato spesso etichettato come l’erede del precedentemente citato Arrigo Sacchi. Impiegato in banca, con la passione per il calcio, decide, con un atto di coraggio, di lasciare la sicurezza economica per dedicarsi alla propria passione, e, spoiler, avrà ragione. Dopo vent’anni di gavetta arriva in A, dove impressiona molto con l’Empoli, che guida verso una salvezza tranquilla. La stagione successiva Aurelio De Laurentis lo designerà come erede di Rapha Benitez, e sarà amore a prima vista, con il suo Napoli che lascerà annichilita l’Italia intera con il “Sarriball”, da cui deriva il termine “sarrismo”, da poco presenti sui nuovi dizionari della nostra lingua (“La concezione del gioco del calcio propugnata dall’allenatore Maurizio Sarri, fondata sulla velocità e la propensione offensiva”). Tuttavia, nonostante la bontà di questa proposta di calcio, il palmares degli azzurri resterà a secco, con Maurizio che dovrà attendere le esperienze successive, seppur più tormentate, con Chelsea e Juventus per arricchirlo con una Europa League ed uno scudetto. Veniamo invece alla squadra che si è resa il vero erede del “totaalvoetbal” propugnato da Rinus Michels: l’Ajax di Erik Ten Hag. Con la sua idea di gioco, basata sul pressing alto, sugli scambi rapidi del pallone e sulle transizioni fulminanti, ha stregato l’Europa, sfiorando la finale della Champions League 2018-19, fermata solo all’ultimo secondo della semifinale contro il Tottenham, dopo aver buttato fuori a suon di gran calcio il Real campione in carica e la Juventus del totem Cristiano Ronaldo.

I conservatori
Fatta eccezione per la formazione di Pep Guardiola, le altre squadre citate hanno raccolto ben poco a livello di trofei, soprattutto in campo europeo. Andiamo invece ad analizzare, a sostegno della tesi opposta, ovvero quella sostenuta dagli empiristi, alcune formazioni capaci di dominare il panorama europeo, pur senza spiccare per il proprio calcio esteticamente abbagliante.
Carlo Ancelotti è ritenuto uno dei migliori allenatori del calcio moderno, e del calcio in generale, e deve gran parte dei suoi successi sportivi al Milan, prima da calciatore, poi da allenatore. Quando siede sulla panchina rossonera vanta poche esperienze significative, fra cui quella fallimentare con la Juventus. Al Milan sarà tutta un’altra storia, e “Re Carlo” porterà a casa due Champions League, di cui una proprio contro i bianconeri, perdendo una finale, nella celeberrima rimonta di Instanbul. Una squadra magnifica, che i rossoneri ricordano ancora con gioia e rimpianto, eppure quasi mai citata quando si fa riferimento alle squadre più grandi di sempre e a quelle che hanno rivoluzionato questo sport.
Dall’altra sponda del Naviglio, nel 2008 l’Inter decide di affidare la panchina a Josè Mourinho, tecnico emergente, forte di due importanti esperienze con il Chelsea e, prima ancora, con il Porto, che guiderà con immenso stupore sul tetto d’Europa. Dopo una prima stagione dove si limita a vincere lo scudetto, l’impresa verrà compiuta nell’annata successiva, dove porterà l’Inter a trionfare in Champions League, dopo quarantacinque anni dall’ultima volta. Una squadra, anche questa, poco celebrata dalla critica, probabilmente perché non esaltante dal punto di vista di un gioco maggiormente incentrato sulla fase difensiva, piuttosto che sul classico “fare un gol in più dell’avversario”.
Una squadra che invece ha fondato un decennio di successi e risultati oltre le aspettative su una filosofia estremamente difensivista è l’Atletico Madrid, con il suo “Cholismo”. Diego Simeone è riuscito a costruire un impero su questa idea di gioco, riuscendo a vincere due Europa League, a strappare la Liga alle due big Barcellona e Real nel 2014, e ha sfiorato in due occasioni la massima competizione europea. Eppure di questa squadra, che ha dato moltissimo a questo sport, si parla poco, e quando lo si fa si utilizza spesso una connotazione negativa, derivante da un modo di giocare ritenuto poco moderno e troppo basato sul classico “catenaccio e contropiede”. Infine impossibile non fare riferimento alla squadra che ha letteralmente colonizzato l’Europa nel decennio appena trascorso: il Real Madrid di Zinedine Zidane, che, arrivato a sedersi su una panchina che raramente aveva provato da calciatore, quasi per caso, è divenuto l’unico tecnico in grado di trionfare tre anni di fila in Champions League. Una squadra fortissima, basata sui singoli, questa l’opinione di molti, che non ci hanno visto l’impatto devastante di altre squadre, come il Barça di Guardiola, il Milan di Sacchi, o l’Ajax di Michels, eppure chi l’ha vista giocare sa bene che non è così, perché per vincere non bastano i campioni, e quella squadra aveva un’alchimia che l’ha resa così perfetta, a prescindere dalla forza dei singoli.

Un calcio “efficace”
La mia rassegna verrà conclusa da queste due squadre, che a mio avviso rappresentano lo spartiacque tra l’estetismo e il pragmatismo che fino ad ora si sono scontrate in questo articolo.
Un nome: Jurgen Klopp, e potrei fermarmi qui, ma non lo farò. Perché Jurgen Klopp ha rivoluzionato il calcio, eccome se lo ha fatto, con il suo “genenpressing”, ovvero il pressing immediatamente successivo alla perdita del possesso, ha portato in alto prima il Borussia Dortmund, strappando il titolo all’imbattibile Bayern Monaco e sfiorando il colpo grosso europeo, e in seguito il Liverpool, rendendola una delle migliori squadre di sempre, e vincendo Champions e campionato, quest’ultimo dopo 30 anni. Quello di Klopp non è un calcio estetico, che ruba gli occhi, ma un calcio tremendamente efficace, a tratti devastante, come dimostrano gare come il 5-2 ai danni della Roma nel 2018, o il 4-0 conto il Barcellona del 2019: e allora io mi chiedo perché questa squadra non andrebbe annoverata tra le migliori, nonché tra le più belle di sempre.
Chiudo con la squadra che più di tutte ha unito gli italiani per ciò che ha mostrato negli ultimi anni, e mi riferisco ovviamente all’Atalanta. Sulla “Dea” c’è poco da dire, se non che ha dimostrato di poter battere ogni squadra, in Italia ed in Europa, grazie ad un calcio meraviglioso, aggressivo e straripante, ma che ha ben poco a che fare con l’idea di bellezza portata in auge da chi crede che il bel calcio risieda solo nel modo in cui si muove il pallone e nel come si dialoga con i compagni, e non magari in una buona fase difensiva, o in una capacità innata nel ripartire in contropiede.

Concludo, come sempre, con una mia considerazione personale. L’idea che mi sono fatto è che non esista un bel calcio, o un brutto calcio, piuttosto un calcio più o meno efficace, che vada valutato in base ai risultati che raggiunge, anche se non unicamente su di questi, perché se è vero che, come afferma Dostoevskij, “La bellezza salverà il mondo” , è anche vero che, ritornando a Hume, ognuno contempla la propria, di bellezza, senza che nessuno abbia in alcun modo il diritto di criticarla, che si vinca o si perda…