Un'estate che sembrava soporifera, per quello che riguarda il nostro amato (e odiato) calciomercato, si è trasformata, nel giro di una settimana, in una sessione di fuoco. Il clima, c’è da dirlo, ha indubbiamente contribuito, ma più di tutto ci hanno pensato i soldi, che tutto muovono, e tutto possono, che provengano dal Qatar, oppure dalla Russia, poco importa. Sicuramente non derivano dalla nostra Italia, dove la situazione, che già non era particolarmente florida, è crollata vertiginosamente a causa della pandemia, mettendo a serio rischio diverse società. Le trattative che hanno letteralmente allibito il mondo del calcio sono state, su tutte, due: quella che ha visto il trascinatore dell’Inter, e miglior calciatore della scorsa stagione di Serie A, Romelu Lukaku, partire, con un viaggio di ritorno, verso Londra, e, soprattutto, la fine, dopo 21 anni, di quella che è forse la storia più affascinante e vincente che la storia del calcio abbia mai regalato, quella di Lionel Messi al Barcellona, e mi fa impressione anche solo scriverlo. In tutto questo l’ombra della Superlega, vista un po’ come un male necessario, perlomeno reale, rispetto al finto buonismo messo in piedi dall’UEFA, e che, pian piano, riscuote decisamente più consensi rispetto a qualche mese fa, quando a tutti sembrò un piano architettato per distruggere il calcio per come lo conoscevamo, ignorando che, quel calcio, non esiste più da tempo, ormai.

Il volo di Romelu
Dopo la dolorosa cessione di Achraf Hakimi sembrava che i sacrifici da parte della società nerazzurra per far fronte alle difficoltà finanziarie fossero giunti al termine. Ma, proprio mentre i tifosi stavano tirando un sospiro di sollievo, provando a guardare comunque con ottimismo ad una squadra che, oltre ovviamente al condottiero Antonio Conte, perde il vero motore, appunto il marocchino, dopo una sola stagione, e, probabilmente, ma in questo caso, ahimè, per cause di forza maggiore, Christian Eriksen, che, dopo le iniziali difficoltà, era diventato il vero cervello della squadra campione d’Italia, giunge questo fulmine a ciel sereno, forse qualcosa di più: la cessione di Romelu Lukaku. Oltre all’indiscutibile valore tecnico dimostrato in queste due stagioni a San Siro, credo(non ne ho la certezza, non essendo parte in causa), che il disappunto maggiore per gli interisti riguardi il valore affettivo che avevano sviluppato nei confronti del belga, nonostante, come detto, le sole due stagioni con il biscione “addosso”. Lukaku era diventato non soltanto re di Milano, ma anche il vero e proprio muro portante dell’Inter, l’uomo sul quale i compagni potevano contare in caso di difficoltà, in grado, con le sue spalle larghe, oltre che di far salire la squadra, di reggere tutto il peso del mondo nerazzurro. Per molti, “Big Rom”, sembrava un amico, seppur sconosciuto, in grado di garantire sicurezza, un po’ come il T-800 interpretato da Arnold Schwartzneger nel secondo film della saga di Terminator: insomma, quel compagno di viaggio grosso e buono che un po’ tutti avremmo sempre voluto. E quando John Connor, il protagonista del film, deve salutare quel cyborg, quel Terminator, con il quale è riuscito, in poco tempo, a sviluppare una così grande empatia (non vi spoilero come e perché), non è di certo un bel momento per lui. Così come non lo sarà per i sostenitori nerazzurri, che devono salutare il proprio idolo indiscusso, accettando di ripartire senza di lui. Secondo alcuni Big Rom avrebbe davvero gradito restare a Milano, per altri, invece, quella del Chelsea è la sua occasione definitiva, all’età di 28 anni, dunque nel pieno, ma con davanti non più di 4 o 5 stagioni ad altissimi livelli, di ottenere quel salto di qualità che l’Inter, in questo periodo storico, non sarebbe stato in grado di garantirgli.
Quel che è certo è che Lukaku torna in quel Chelsea che aveva creduto di lui esattamente dieci anni fa, senza tuttavia farlo abbastanza per dargli spazio da titolare. Così, dopo un breve quanto infruttuoso prestito al West Brownich, l’esplosione del centravanti, con la maglia dell’Everton, che vestirà per quattro stagioni, prima di trasferirsi al Manchester United. Con i Red Devils saranno alti e bassi, che porteranno alla separazione, con l’Inter alla finestra, e qui il cerchio si chiude. Romelu ci riproverà dunque, a dimostrare di poter essere uno degli attaccanti migliori della Premier League e, in particolare della Champions League, che i suoi futuri compagni hanno alzato lo scorso anno. Ci riuscirà? Sta a lui mostrare di cosa è capace ma, a mio avviso, il rischio, per Romelu, che lascia la sua dimensione ideale, di volare troppo in alto, e, alla fine bruciarsi le ali è concreto: staremo a vedere…

Una lunga storia d’amore
“Dovrà finire prima o poi questa lunga storia d’amore”, così, nel 1988, cantava Gino Paoli, ma, forse, non ci credeva neppure lui che sarebbe davvero potuta finire. E invece, dopo che già durante la scorsa stagione sembravano esserci stati i primi scricchiolii, adesso è ufficiale: Lionel Messi non è più un calciatore del Barcellona, e, neppure una settimana dopo, è un nuovo tesserato del Paris Saint Germain. Le lacrime di Leo, secondo alcuni, i più romantici, sincere, per altri, estremamente cinici, lacrime di coccodrillo. Il bello di queste storie è che noi, la verità, non la sapremo mai. E chissà se almeno il diretto interessato, in cuor suo, se ne è reso conto. Già, perché la mia idea è che Messi non sia andato via per l’impossibilità da parte della società di tesserarlo (altrimenti non sarebbero stati annunciati due calciatori con stipendi importanti, e, fra l’altro, due attaccanti, come Depay e Aguero, già prima di conoscere le sorti del rinnovo di Messi), bensì che la decisione fosse stata covata da tempo, proprio da quel 25 agosto 2020, quando l’argentino comunica di voler lasciare il Barcellona. Le lacrime, dopo una storia durata 21 anni, non sono di certo inventate, ma assolutamente normali, e la sua volontà di andare non influisce sulla reale tristezza del momento. Si potrebbe discutere, più realisticamente, sulle motivazioni, che hanno spinto il più grande calciatore della storia di questo club, ad abbandonare casa sua. I cattivi rapporti con Bartomeu sembrano essere stati gettati alle spalle con l’avvento alla presidenza di Laporta, e credo che il denaro abbia influito, senza dubbio, ma in minima parte. E allora perché, Leo, perché? Realisticamente per l’ambizione: Messi ha 34 anni, ne compirà 35 il prossimo anno e, nonostante a faccia bene all’anima pensarlo, non è infinito. Certo, la “Pulga” ha vinto tutto quello che poteva vincere e anche di più, e proprio durante questa estate ha aggiunto alla propria bacheca il primo trofeo con la nazionale, ma, e sotto questo aspetto credo somigli molto a Cristiano Ronaldo, ha ancora fame, e così ha deciso di ricongiungersi con l’amico Neymar, andando in un club che, seppur meno fascinoso dei catalani, in questo momento, ha decisamente più chance di puntare ai vertici del calcio europeo. E allora, “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”, e lasciamo che Messi faccia ciò che ritiene più giusto, l’importante è che ci faccia divertire…

Superlega: era davvero così male?
Quando venne annunciata la Superlega non pubblicai alcun articolo: ero sinceramente spiazzato, un cambiamento di dimensioni epocali, che avrebbe tracciato indissolubilmente la storia di questo sport. In men che non si dica scattò la rivolta popolare: il calcio, lo sport della gente, di chi non ha nulla e diventa qualcuno, dei tifosi che ogni domenica vanno allo stadio, viene minacciato. Per delineare il mio punto di vista sulla Superlega, mi servirò di una semplice metafora. Qualche giorno fa è stato annunciato che, se non si farà qualcosa per migliorare la situazione della Terra, fra 10 anni le cose peggioreranno in maniera inesorabile e gravissima. Un ultimatum, il quale, tuttavia, sembra essere passato inosservato agli occhi di molti, in quanto non tangibile, sebbene alcune delle conseguenze le stiamo già vivendo. Adesso, immaginate, invece, che ci annunciassero l’arrivo imminente di un meteorite, che raderebbe al suolo metà del pianeta: in quel caso tutti sarebbero in uno stato di allerta enorme, e alla spasmodica ricerca di un modo per salvarsi la pelle, nonostante, presumibilmente le conseguenze potrebbero essere non così distanti da quelle del surriscaldamento globale ed altri fattori (non voglio esagerare, ma resta comunque un banale esempio).

Perdonate il noioso excursus, ma credo che, in fin dei conti, la Superlega non sia altro che l’incubo che tutti gli appassionati del calcio avevano ogni notte, svegliandosi spaventati, ma non accorgendosi che, in realtà, il calcio del popolo, è naufragato da diverso tempo.
Un’idea concreta sulla bontà o meno della Superlega non me la sono ancora fatta, in quanto indubbiamente andrebbe a rappresentare un sistema non meritocratico e, dunque, impossibile da promuovere nella sua pienezza, ma, allo stesso tempo, l’attuale situazione che permette a dei club piuttosto che ad altri di spendere senza limiti, né regole, sul mercato, non è minimamente accettabile.

Il calcio, creato dai poveri, i ricchi se lo sono presi già da tempo, e la Superlega non è altro che il mostro che avete sotto al letto, ma non avete il coraggio di andare a controllare se esiste davvero.