“Gli allenatori sono come le gonne: un anno vanno di moda le mini, l'anno dopo le metti nell'armadio.”

Così scherzava, Vujadin Boskov, uno che questo ruolo lo ha rivestito per anni, e che ne è diventato un vero e proprio simbolo, sulla dura vita degli allenatori nel calcio. L’allenatore, appunto: uno dei ruoli più delicati da ricoprire all’interno di una società calcistica. “Una vita da mediano” cantava Luciano Ligabue, “La splendida vita del capitano”, una canzone forse meno nota di Daniele Silvestri, e ancora numerosi altri artisti, in altri campi, hanno dedicato le proprie opere ai componenti delle squadre di calcio.
Degli allenatori, però, si parla sempre forse troppo raramente, oppure troppo poco quando le cose vanno bene, ed eccessivamente invece nel momento in cui la barca inizia ad affondare. “E’ colpa dell’allenatore”, “meglio cambiarne uno, che cambiarne undici”, e decine di altre illazioni del genere si susseguono quando qualcosa non va, mentre, seppur spendendo frasi di elogio, si tiene a sottolineare che “in campo ci vanno i calciatori”, o che “la squadra è di alto livello”, nel momento della vittoria. Senza dubbio di manager che hanno scolpito il proprio nome a fuoco nella storia di questo sport ce ne sono stati, ma sicuramente vengono meno osannati rispetto ai campioni che fanno la differenza in campo. Indiscutibilmente, oserei dire, sono loro a spostare l’ago della bilancia, ma spesso un grande allenatore può riequilibrare questa bilancia più di quanto ci si possa aspettare. Andiamo in questo articolo a scoprire quali potranno essere gli allenatori che lasceranno un segno indelebile nel calcio del futuro.

“Una sberla” al calcio italiano
Era doveroso cominciare questa rassegna dal calcio nostrano, che si è da sempre contraddistinto per sfornare alcuni fra gli allenatori più preparati di sempre. Qualche nome? Giovanni Trapattoni, unico capace di vincere sette scudetti, e autore della prima vittoria in Coppa Campioni della Juventus, Marcello Lippi, autore del secondo successo dei bianconeri nella massima competizione europea, oltre che del trionfo mondiale azzurro del 2006, e di cinque scudetti, alla stregua di Fabio Capello, che invece portò a casa la coppa dalle grandi orecchie quando era sulla panchina del Milan, dopo aver successo ad Arrigo Sacchi, che di Champions League ne vinse due, consecutive, con i rossoneri, oltre ad uno scudetto e ad un mondiale sfumato solo ai calci di rigore nel 1994.
Potrei elencarne moltissimi altri, ma vorrei soffermarmi sulle critiche mosse al sistema calcistico italiano, soprattutto nell’ultimo ventennio: il “difensivismo”, carta vincente di alcuni degli allenatori sopracitati, oltre che di numerosi altri, di cui probabilmente pochi, fra cui Lippi e soprattutto Sacchi, si sono discostati, proponendo idee di calcio innovative e votate all’attacco. Nel calcio moderno, di posto per il cosiddetto “catenaccio”, che di per sé, almeno secondo la mia opinione, non è un termine dispregiativo, o da condannare, ce n’è sempre di meno, così ecco che salgono alla ribalta gli allenatori del futuro.
Fra quelli appena “diplomati” alla scuola di Coverciano, di cui numerosi ex campioni del mondo del 2006, mi sento di selezionarne tre che ritengo abbiano davanti una carriera da top. Il primo è Andrea Pirlo, e vi assicuro che la mia fede calcistica c’entra poco, anche perché onestamente i risultati della stagione attuale, decisamente altalenante, ancora non bastano per definire l’ex regista un grande allenatore, e anzi, l’arrivo precoce in una big rischia seriamente di tarpargli le ali; il mio pensiero si basa sulla sua proposta di calcio, moderna ed offensiva, in perfetta linea con le esigenze del calcio moderno, oltre che sul suo profilo da calciatore predestinato, che gli è valso il soprannome di “Maestro”, e credo possa riflettersi, alla lunga, sul percorso da allenatore.
Strada completamente opposta, che ha dovuto conoscere una lunga gavetta, quella di Roberto De Zerbi, che ho potuto ammirare da vicino a Foggia, e che sta attualmente sorprendendo e divertendo con il suo Sassuolo, dopo le esperienze non felicissime a Palermo e Benevento. Del tecnico, anch’egli bresciano, non mi ha sorpreso solo l’idea di calcio, quanto la sua capacità di dare una mentalità alle sue squadre, e di migliorare i propri calciatori, soprattutto quelli giovani, si veda Manuel Locatelli, Jeremie Boga o Filip Djuricic.
Impossibile poi non citare Vincenzo Italiano, anch’egli reduce dalla gavetta nelle serie inferiori, dove ottiene due promozioni consecutive (con il Trapani prima che con lo Spezia). In Liguria sta sovvertendo ogni pronostico perpetrato ad inizio stagione grazie ad una squadra coraggiosa, che gioca un calcio offensivo, pur senza essere spregiudicata, aggredisce l’avversario, affrontando ogni partita per vincerla, e sta forgiando, come il collega, una valanga di talenti. Questo è lo spirito giusto, necessario per imporsi a certi livelli. Questi, secondo me, su tutti, rappresentano il futuro della scuola di allenatori italiana, che danno una vera e propria “sberla” alle radici del nostro calcio.

Pep e i suoi allievi
Suona strano parlare già di “allievi”, per quello che è un allenatore tutto sommato ancora molto giovane (ha da poco compiuto 50 anni), e con alle spalle poco più di un decennio di esperienza, ma Pep Guardiola fa scuola, e, dopo aver appreso prima dal genio Johann Cruyff, e poi dai concetti di uno dei suoi modelli, su sua stessa ammissione, ovvero Marcelo Bielsa, comincia a tramandare il proprio credo calcistico a quelli che si prospettano suoi possibili eredi. Così, ecco, dopo tre anni di apprendistato come vice di Pep, che Mikel Arteta approda sulla panchina dell’Arsenal, sua ultima squadra da calciatore. Non una carriera da fuoriclasse, per questo regista di centrocampo, “nato” nella cantera catalana, negli ultimi anni di militanza di Guardiola, e che, non avendo mai esordito in prima squadra, troverà la sua dimensione in Premier League, fra Everton prima e Arsenal poi. Sulla panchina dei Gunners, dal 2019, porta a casa una F.A. Cup contro i rivali del Chelsea, già vinta da calciatore, ed una Community Shield, avendo la meglio, ai calci di rigore, sul temibile Liverpool di Jurgen Klopp, mentre in campionato, dopo l’ottavo posto dello scorso anno, e l’inizio shock di questa stagione, risale la china a suon di vittorie. Il suo calcio ricorda molto da vicino quello in cui ha contribuito sotto l’ala di Pep, il cosiddetto “tiki-taka”, ed il futuro sembra essere dalla sua. Un altro regista di centrocampo è Xavier Hernández Creus, noto ai più come Xavi, che, però, a differenza del collega, dalla Catalunya non si è mai spostato, e ha vinto tutto, con club e nazionale. Il periodo di maggiore splendore lo ha conosciuto proprio sotto il regno di Guardiola, del quale, insieme a Iniesta, è stato probabilmente il miglior portavoce in campo, ed ora proverà ad esserlo in panchina. Attualmente allena l’Al-Sadd, nella Quatar Stars League, squadra in cui ha chiuso la carriera, e con la quale ha già inaugurato il palmarès da allenatore, ma il suo passaggio sulla panchina blaugrana sembra solo una questione di tempo…ad occhio nemmeno troppo.

Un destino già scritto
Voliamo in Inghilterra, dove un altro calciatore che ha donato la propria carriera ad una sola squadra è Steven Gerrard. Lui è stato, per quasi vent’anni, il Liverpool, anche negli anni bui che hanno preceduto le ultime grandi stagioni. Adesso, dopo una breve esperienza nella squadra under-18 dei Reds, allena in Scozia, i Rangers, e dopo due secondi posti, quest’anno sembra in procinto di riportare i “Teddy Bear” sul tetto di Scozia, dieci anni dall’ultima volta, a seguito di un decennio costernato da problemi e delusioni cocenti per i tifosi, senza dimenticare l’ottimo percorso in Europa League. Il suo destino da allenatore sembra già scritto, ma in panchina, qualora dovesse effettivamente sedersi su quella di Anfield, non sarà come in campo, dove ad un errore si ripara, con una grande prestazione la partita successiva, dove si può rimediare anche ad una stagione un po’ storta: in panchina, se sbagli, sei fuori, non conta chi tu sia, o cosa abbia dato per quei colori. Lo sa bene Frankie Lampard, bandiera, dal canto suo, del Chelsea, dal quale, dopo una buona prima stagione, nella quale aveva lanciato numerosi giovani del vivaio, dando l’impressione di avere in cantiere un progetto molto interessante, è stato esonerato, venendo rimpiazzato da Thomas Tuchel, ed il suo destino è stato improvvisamente riscritto. L’ex centrocampista della nazionale inglese è passato prima dalla Championship, dal Derby County nello specifico, con cui ha sfiorato la Premier, e che adesso ci riprova, con in panchina un altro campione, Wayne Rooney. Il movimento bretone non si è mai particolarmente contraddistinto per i grandi allenatori, seppur sia impossibile dimenticare le imprese di tecnici come Brian Clough o Sir Alex Ferguson, e chissà che Steven Gerrard, senza dimenticare ovviamente Lampard, e forse anche Rooney, non possano riscriverne, ancora una volta, il futuro.

L’eredità del calcio totale
Il calcio totale, in olandese “Totalvoetball”, probabilmente la più grande rivoluzione mai architettata nella storia del calcio, ma anche dello sport in generale, è stata più volte emulata e rifinita, dagli allenatori di tutto il mondo, ma senza dubbio è in patria, ovvero nell’Olanda calcistica, che ha raggiunto la sua massima espressione. Ho trattato questo tema in maniera più approfondita in un altro mio pezzo, in cui analizzavo la concezione dell’idea di “bel calcio”. Accenno soltanto al suo “inventore”, ovvero Rinus Michels, ex calciatore, ma soprattutto allenatore olandese, capace di regalare la prima Coppa dei Campioni della propria storia all’Ajax, alla quale sarebbero seguite altre due consecutive, di vincere anche a Barcellona, oltre che in nazionale, dove, come commissario tecnico, condusse i Paesi Bassi sul tetto d’Europa, nel 1988. Una costante nelle sue squadre, fatta eccezione per la nazionale del 1988, era Johann Cruyff. Lui rappresentò prima il maggior esponente delle idee di Michels in campo, dove trascinava i compagni grazie alla sua intelligenza, oltre che con il proprio talento sconfinato, poi in panchina, seguendone le orme, all’Ajax prima, al Barcellona poi. Come detto, in molti hanno tratto ispirazione da questa rivoluzione, che in generale ha cambiato radicalmente il mondo del calcio. Fra i fantomatici possibili eredi del messaggio di Michels prima, del “Profeta” in seguito, ce n’è uno che si è fatto apprezzare in tutta Europa negli ultimi anni. Erik Ten Hag non è stato di certo Johann Cruyff, e non è neppure paragonabile a Rinus Michels: difensore centrale, all’occorrenza mediano, ha trascorso l’intera carriera in Olanda, soprattutto con la maglia del Twente, senza collezionare alcun gettone con la maglia arancione. Decide di intraprendere la carriera da allenatore a partire dal 2012 e, dopo un paio di stagioni di gavetta, fra l’altro, sulla panchina della seconda squadra del Bayern Monaco, approda all’Utrecht, in Eredivisie, dove, grazie agli ottimi risultati conseguiti, si guadagna la prestigiosissima panchina dell’Ajax. I lancieri ormai non sono più quelli ammirati a cavallo fra gli anni ’70 e ’80, e rappresentano una nobile decaduta del calcio europeo. Ten Hag riporta entusiasmo, vince il campionato nella stagione 2018-19, ma soprattutto permette al club di Amsterdam di raggiungere nuovamente la semifinale di Champions, eliminando a suon di grande calcio squadre come il Real Madrid e la Juventus, e arenandosi soltanto ad un secondo dalla finale. Lancia un gran numero di talenti dal potenziale straordinario, ma soprattutto, come detto, mette sul piatto una proposta di calcio che ricorda, sotto diversi aspetti, quella propugnata dai suoi predecessori. Qualche numero: la vittoria esterna per 0-13 contro il VVV-Venlo dello scorso anno rappresenta la più larga di sempre in Eredivisie, mentre la settimana seguente, con il 5-2 rifilato al Fortuna Sittard, eguaglia il record di 250 reti in 82 partite precedentemente detenuto da Johann Cruyff. I due “Rinus Michels Awards”, premi riconosciuti dagli allenatori olandesi al tecnico che maggiormente si è distinto nel corso della stagione non fanno altro che confermarne il potenziale. I presupposti ci sono, il peso dell’eredità non sembra spaventare Ten Hag…

Il “laboratorio Red Bull” e l’influenza di Klopp
Ho già trattato, in un articolo, dell’importanza che il progetto Red Bull sta rivestendo per lo sviluppo del mondo del calcio, pur sottolineandone i lati negativi. Sicuramente, fra le cose positive emerse da tale disegno, oltre alla notevole quantità di talenti forgiati, è da annoverare la preparazione dello staff tecnico impiegato dalla Red Bull all’interno dei suoi club. Già, perché i talenti scoperti non si limitano al campo, ma siedono anche in panchina, non perché siano scarsi, intendiamoci, bensì poiché molti rivestono il ruolo di allenatori. Da Ralph Rangnick, chiacchieratissimo nella scorsa estate in ottica Milan, passando per l’ex allenatore del Bayern Monaco Nico Kovac, due sono i nomi che, a mio parere, hanno dimostrato di possedere le carte in regola per arrivare ai vertici del calcio europeo. Sto parlando, in primo luogo, di Julian Nagelsmann, attuale tecnico proprio del RB Lipsia, ma anche di un'altra figura dal notevole talento in panchina, ovvero Marco Rose. Sul primo, sfondo decisamente una porta aperta, e mi rendo conto di come non fosse necessario un mio articolo in merito per celebrare quello che, a detta di moltissimi addetti ai lavori rappresenta il futuro del calcio tedesco, e non solo. La sua carriera da calciatore termina prima ancora di cominciare, quando, a soli 21 lascia le giovanili del Monaco 1860, l’altra squadra di Monaco di Baviera, a causa di problemi al ginocchio. Tuttavia, chiusa questa porta si apre il portone della panchina, grazie a Thomas Tuchel, altro allenatore che rappresenta un punto di riferimento per il futuro di questo sport, che lo indirizzò verso tale ruolo facendolo lavorare come suo assistente. Poi tanta gavetta, fino all’Hoffenheim, dove, passando per l’under 19, nel 2016 prende il comando della prima squadra, portandola, nel giro di tre anni verso lidi prima impensabili, come la prima qualificazione in Champions League nella storia del club, e attirando così l’attenzione proprio della Red Bull. I risultati ottenuti con i “Tori Rossi” sono sotto gli occhi di tutti e Julian Nagelsmann, che ricordiamolo, ha solo 33 anni, sembra pronto a prendersi la scena mondiale. Meno sotto i riflettori, ma forse i tifosi dell’Inter lo avranno presente, Marco Rose, attuale tecnico del Borussia Moenchengladbach. La sua carriera da allenatore comincia nel Lokomotive Lipsia, già proprio a Lipsia, la città cui è originario, ed in cui ha giocato per diversi anni, e che porta a vincere il campionato regionale. Probabilmente è qui che viene notato, approdando però dall’altra parte, a pochi chilometri di distanza, in quel di Salisburgo. In Austria vince la UEFA Youth League con la primavera del club e due campionati in due anni con la prima squadra, guadagnandosi la Bundesliga, ma stavolta non al Lipsia, dove il posto è già occupato da Nagelsmann, bensì al Moenchengladbach. Anche in questo caso siamo bene a conoscenza delle sue “gesta”, con la qualificazione alla Champions League lo scorso anno e quest’anno il passaggio agli ottavi. L’anno prossimo allenerà l’altro Borussia, quello giallonero. Presentati quelli che per me sono i due profili più interessanti attualmente in Bundesliga, dobbiamo sottolineare il denominatore comune che riguarda i due allenatori, oltre alla Red Bull: sto parlando di Jurgen Klopp. Nessuno dei due ha lavorato personalmente con il tecnico del Liverpool, ma la sua influenza è indubbia. Il “Genenpressing”, con il quale si è contraddistinto negli ultimi anni a suon di vittorie, è la base da cui questi, e i futuri allenatori tedeschi, partono per costruire la propria idea di calcio. Diamo a Jurgen quel che è di Jurgen, e siamo sicuri che ne sarà lieto.

Questi, a mio avviso, sono i tecnici che promettono, più di tutti, di poter imporre il proprio dominio sul calcio europeo e mondiale, e solo il tempo potrà svelarci quali di loro cavalcheranno l'onda del successo e chi si arresterà alla prima panchina mareggiata...