Quando ho parlato dell’eliminazione bianconera per mano del Porto, agli ottavi di finale della Champions League, ero alquanto sconsolato, tuttavia mi mitigava la convinzione che, almeno per quello che riguardava la stagione in corso, si fosse toccato il fondo. Avevo sopravvalutato questa Juventus che, nemmeno due settimane dopo, ci “regala” un’altra magra figura, continua a raschialo, quel fondo, e rimette in bilico il futuro di tutti, dalla società ai calciatori, passando ovviamente per Andrea Pirlo. Quasi come se, attraverso una sfera magica avesse previsto il futuro, la sera stessa della disfatta bianconera contro il Benevento, torna a parlare, a circa due anni dalla conferenza di addio alla “Vecchia Signora”, Massimiliano Allegri, regalandoci, o confermandoci, diverse considerazioni sulla sua visione del calcio, oltre che alcuni aneddoti che hanno riempito la sua carriera da allenatore. Diversi tifosi bianconeri, stanchi dei risultanti deludenti agguantati proprio a partire dall’addio del livornese, che sarebbe dovuto corrispondere ad una cambio di mentalità, soprattutto con vista sull’Europa, mentre è andato a peggiorare notevolmente i risultati degli anni precedenti, si sono lasciati trascinare dalla nostalgia per Max, chiedendo a gran voce il suo ritorno a Torino, con tanto di ammissione, da parte soprattutto di Fabio Paratici e Pavel Nedved, di aver “preso un granchio”.  Sarebbe davvero il ritorno di Allegri la soluzione ai problemi di Casa Juventus? 

Partiamo con il ricordare, come già accennato, i motivi che hanno portato, diversi tifosi bianconeri, e in seguito anche la società a chiudere il rapporto con uno dei tecnici più vincenti della storia della Juventus e del calcio italiano: la ricerca di un calcio diverso, più offensivo, improntato verso il dominio del gioco, e che quindi avrebbe dovuto aumentare le possibilità di competere in Champions League. Oggi, con il senno di poi, sappiamo che tutti questi prospetti si sono rivelati fumo, una fumata nera che ha avvolto dei progetti che parevano decisamente più “bianchi”, nell’orbita sabauda. Non voglio tornare a trattare dei problemi che riguardano i la “Vecchia Signora”, che ho già ampiamente sviscerato precedentemente. L’unica mia preoccupazione è capire se, senza l’addio di Max, le cose sarebbe potute andare diversamente. Qui il senno di poi non mi è di grande aiuto, e dovrò utilizzare soltanto la mia fantasia.

Ho descritto le intenzioni, parlando di volontà di assistere ad un calcio “offensivo, europeo”, ma non ho parlato di “bel gioco”. Molti “Allegriani”, così si fanno chiamare i difensori di Max, criticano proprio questa ossessiva ricerca del bel calcio, che non sarebbe altro che una diceria, un’utopia, che nulla ha a che vedere con le vittorie e con il “calcio vero”, fatto di tattica, ma soprattutto di schemi semplici ed immediati, non certo di chissà quali innovazioni ed esperimenti. Io, in effetti sono totalmente d’accordo con questa considerazione. Attenzione, non reputo inutile, nella maniera più assoluta, la ricerca del bel gioco, ma allo stesso modo non ritengo sia un qualcosa di indispensabile ai fini della vittoria. Ho parlato degli allenatori del futuro e dell’importanza che vedo in questa mansione, ma resta il fatto che in campo ci vanno i calciatori, e sono soltanto gli undici a decidere partite, campionati, stagioni. 

“Non è che mando i missili sulla Luna..” ha dichiarato l’ex tecnico anche di Milan e Cagliari, fra le altre, attraverso una scherzosa iperbole. Tuttavia, qualche giorno fa, e fa sorridere, viene fuori la notizia che Pep Guardiola ha assunto nel suo staff un tale Laurie Shaw, un astrofisico (“Un astrofisico???”), con un passato a Yale ed Harvard, e che non è il primo fisico ad aggregarsi allo staff del Manchester City. Follia o genio? La stessa domanda che numerosi addetti ai lavori e non solo si sono posti parlando di Marcelo Bielsa, tanto “Loco”, come suggerisce il suo soprannome, quanto geniale. Dove sta la verità? 

Prima di svelare l’arcano, però, leggiamo un po’ di numeri relativi a Massimiliano Allegri in carriera, con particolare attenzione ai suoi cinque anni sulla panchina sabauda. Ha allenato cinque squadre prima di poter assaporare la Serie A, dove gli ottimi risultati conseguiti a Cagliari gli sono valsi la panchina del Milan, con cui, in quattro stagioni, fra gioie e dolori, porterà comunque a casa uno scudetto ed una Supercoppa Italiana. Poi l’esonero, l’approdo in bianconero, dove si consacra come uno dei migliori allenatori italiani della storia, e sono i cinque campionati italiani, le quattro Coppe Italia, e le due Supercoppe Italiane a parlare per lui. Nel corso di 271 gare sono state 191 le vittorie, oltre il 70%, con soli 43 pareggi e 37 sconfitte. Cifre insindacabili, che risulta anche superfluo commentare: in termini di partite vinte è il numero uno della storia bianconera, davanti anche a titani come Marcello Lippi e Giovanni Trapattoni, a Didier Dechamps, che ha allenato durante l’annata in B, o al più recente Antonio Conte, il quale detiene il record di 102 punti ottenuti durante la stagione 2013-14, proprio quella che ha preceduto l’arrivo di Max. Poi ci sarebbero anche le due finali di Champions raggiunte, ma “una finale non conta come un trofeo vinto ecc…”, quindi evito di tirarle in ballo.

Adesso possiamo tornare al “dubbio amletico”: Max o non Max? Nonostante confermi la stima per tecnici del calibro di Pep Guardiola, e ce ne sono numerosi altri, continuo a pensare che godere di uno spettacolo sotto il punto di vista del gioco, in campo, non sia altro che un “surplus”, estremamente piacevole, ma di cui farei volentieri a meno, in cambio di un bel trofeo da lustrare, seppur soltanto idealmente. Facile affermare “Preferisco che la mia squadra esprima un bel calcio, piuttosto che vinca, ma giocando male”, tuttavia, una volta arrivati alla resa dei conti, sono pochi quelli che riescono realmente, davanti alla propria squadra uscita sconfitta, dopo una partita spettacolare, a lasciar trasparire un sorriso sulle proprie labbra, e devo riconoscere di stimare incondizionatamente questi individui. 

È il momento di fare “coming out”: facevo parte, ormai due anni or sono, degli #AllegriOut, e devo affermare di essere anche piuttosto “estremista”. Non era però l’estetica di Max a lanciarmi verso questa visione, o meglio, lo era parzialmente, e in seguito avrei capito che non lo era affatto. Già, perché, se poi vogliamo guardare le cose con obiettività, la sua Juve, soprattutto nei primi tre anni, quelli che hanno condotto alle due finali di Champions League (“che non sono trofei…”, lo so, lo so), giocava davvero molto bene, non faceva stropicciare gli occhi, ma riusciva ad imporre il proprio gioco, con assoluta efficacia. Il fatto è che il caro Max era giunto al capolinea del suo ciclo all’ombra della Mole Antonelliana, e a testimoniarlo un declino di prestazioni che, nell’ultima stagione, hanno scricchiolato decisamente di più rispetto agli anni precedenti, di cui è cartello l’eliminazione imbarazzante, aggiungerei, contro la pur straordinaria Atalanta di Gian Piero Gasperini nei quarti di finale della Coppa Italia. 

E se è vero (se lo affermava Antonello Venditti tendo francamente a credergli) che “Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano, amori indivisibili, indissolubili, inseparabili”, forse quello di Allegri e della Juventus non è questo tipo di amore. Un’unione vincente e fruttuosa, per entrambi, giunta al termine, e per la quale non riesco ad intravedere un futuro. 

Il motivo? Siamo alla fine, Max, ma mi tocca muoverti anche qualche critica, dopo aver speso unicamente parole di esaltazione per il tuo lavoro e i risultati da te conseguiti. 

Le tre partite migliori della gestione Allegri sono rappresentate, a mio avviso, da: Bayern Monaco-Juventus 4-2, Real Madrid-Juventus 1-3, e Juventus-Atletico Madrid 3-0. Abbiamo due denominatori, il primo, che accomuna soprattutto le gare contro le spagnole, è il risultato dell’andata: il sonoro 0-3 incassato a Torino contro le “Merengues” e il pesante 2-0 del Vincente Calderon inflitto da Simeone, mentre con i bavaresi l’andata terminò 2-2 allo Juventus Stadium, dopo un’incredibile rimonta guidata da Paulo Dybala e Stefano Sturaro. L’altra variabile è il risultato finale: due eliminazioni, contro un passaggio del turno. Quest’analisi mi guida verso tre considerazioni:

Troppo spesso è stato necessario uno “stimolo”, ai bianconeri, per tirare fuori “gli occhi della tigre”, mostrando prestazioni straordinarie, a dimostrazione di quale fosse il reale valore di quelle squadre.

La seconda considerazione risiede nel fatto che Max Allegri sia un maestro: già, perché durante quelle serate Pep Guardiola, Zinedine Zidane e Diego Simeone, andarono tutti a lezione dal tecnico livornese, il quale riuscì ad impostare delle gare perfette sotto ogni punto di vista, fino alla fine…o quasi.

Contro i “Colchoneros”, infatti, il fischio finale fu afrodisiaco, mentre negli altri due casi, fu una goccia di amarissimo caffè in un latte che fino ad ora era stato estremamente dolce. Rimonte che ancora oggi risultano come una cicatrice nella mente dei tifosi bianconeri, forse anche più delle finali, per il rammarico, per l’urlo strozzato in gola, a pochi secondi dal termine, maledettamente. Però, se i colpevoli possono essere stati gli uomini in campo, da Evra che avrebbe dovuto spazzarla, a Bonucci che marcò male Thomas Muller, fino all’intervento scomposto, seppur dubbio, di Benatia su Lucas Vazquez, non posso esimere dalle colpe il nostro tecnico, reo di tirare costantemente i remi in barca, in accordo con una mentalità, quella italiana, spesso troppo speculativa, e finendo, quasi sempre, per essere ribaltato. Max non crede nella sfortuna, lui stesso ha dichiarato nell’ultima intervista “Ci sarà un motivo se una squadra prende sempre gol al novantesimo…”, fra le altre cose, e credo proprio che un motivo ci fosse.

Un cambio di mentalità non è impossibile, e non, voglio sottolinearlo, al fine di non essere frainteso, in termini di gioco, quanto di approccio alla partita, perché il Massimiliano Allegri capace di schiantare squadre come Borussia Dormtund, Bayern Monaco, Tottenham, Real e Atletico Madrid è fra i migliori due o tre sul pianeta, quello che tarpa le ali alla sua squadra, per paura di bruciarsele, vale molto meno.

In conclusione, spero di rivedere presto Allegri in Serie A, anche se lo temerei molto, e, qualora dovesse tornare a Torino, non mi straccerei le vesti, in un senso o nell’altro. Max rimane un grande allenatore, con i suoi pregi e i suoi difetti e, al diavolo tutte le congetture sul bel gioco, dopotutto, anche uno come Oscar Wilde affermava che “Un soggetto che sia bello in se stesso non offre nessuna suggestione all'artista. Manca di imperfezione”.

Lo stesso Wilde, in “L’importanza di chiamarsi Ernesto” ironizzava sui suoi personaggi, nessuno realmente onesto come avrebbero portato a pensare, eppure tanto apprezzato dalla società vittoriana. In un panorama calcistico che insegue ossessivamente la ricerca del bel calcio Allegri è una piccola eccezione, fatta di genuinità, che ci permette di comprendere in cosa consista, realmente, l’importanza di chiamarsi Max.