“Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi…” Vi risparmio di leggere tutta la frase divenuta iconica, dopo essere stata pronunciata da Rutger Hauer in Blade Runner, e doppiata in italiano da Sandro Iovino, nei panni del replicante Roy Batty. Consiglio, a chiunque se lo fosse perso, di recuperare quello che rappresenta una pietra miliare del cinema, della fantascienza, e, in generale, ha dato origine ad un gran numero di teorie ed interpretazioni, risultando tutt’ora attuale. Ma, cos’è, invece, che ho visto io, che “voi umani” non potete immaginare? Beh, posso assicurarvi che qualcosa c’è… ho visto un pallone sfidare le leggi della fisica, ho visto uomini, forse è un po’ ingeneroso definirli semplicemente uomini (può darsi che siano replicanti anche loro??? Sembra una battuta, ma non lo escluderei a priori…) “fregarsene”, passatemi il termine, della gravità. La fisica mi ha sempre appassionato molto: una materia complicatissima da comprendere, ma allo stesso tempo capace di aprirti la mente, di spiegarti “perché” e “come” avvengono i fenomeni che ci circondano, ma forse, in qualcuno dei casi che andrò a svelare in questo articolo, una spiegazione completa non è stata trovata nemmeno dai fisici. Andiamo a ripercorrere alcuni dei gol, dei capolavori più emblematici della storia del calcio, che ci hanno lasciato a bocca aperta, e ancora oggi non ci danno pace.

Può un pallone sfidare le leggi della fisica?

Una  risposta univoca non credo esista, in definitiva, ma di una cosa sono sicuro, può dare dei grossi grattacapi anche ai più grandi esperti. Partiamo dall’omaggio ad uno dei più grandi, forse il più grande che abbia mai accarezzato una sfera rotonda, e messo i piedi sull’erba. Sto parlando di Diego Armando Maradona, che ci ha da qualche mese lasciati senza la sua stella, non permettendoci altra scelta se non quella di immergerci nel passato, a riammirare le sue magie. Potrebbero bastare le reti del “Pibe” per scrivere un pezzo completo, ma mi limiterò a citarne una, forse la più emblematica: il 3 novembre 1985, infatti, si gioca al San Paolo Napoli-Juventus. I bianconeri, guidati da Trapattoni, sono reduci da 8 vittorie nelle prime 8 gare di campionato, e sono super favoriti, ma nel Napoli c’è lui, il “Dies”. A 18 minuti dal termine della partita l’arbitro fischia una punizione a 2 per i partenopei. Tacconi piazza 6 uomini in barriera, a soli 5 metri dal pallone, troppo vicino, anche secondo il regolamento, ma tant’è: bisognerà accantonare l’idea di segnare, o forse no. “Ma come fai a calciare da qui? Come fai?” cercava di dissuaderlo Eraldo Pecci, che non era un fisico, ma forse aveva intuito la difficoltà del gesto: quello che non aveva pensato, era a chi avrebbe dovuto toccare il pallone, proprio Diego. “Non fa niente, tiro lo stesso. Tanto gli faccio gol comunque”. “Come?”, insiste Pecci. Maradona, che la fisica non l’aveva mai imparata, se ne infischia, e fa gol. Difficile dire se una spiegazione alla fine sia stata trovata, se bisognerà ancora trovarla, o se si possa parlare di miracolo, dopotutto, come ci dirà lui qualche mese dopo, in occasione della prima rete contro l’Inghilterra, “E’ stato Dio”, e potremmo anche credergli, in fin dei conti. Non c’è pace, però, per i fisici di tutto il mondo che, qualche anno più tardi, vengono ancora messi a dura prova dal calcio. E’ il 25 giugno del 1988, all’Olympiastadion si disputa la finalissima di EURO ’88, che vede frapposti l’Unione Sovietica di Valerij Lobanovs'kyj, trascinata da individualità come l’instancabile motorino di centrocampo Mikhailicenko, il talentuoso Zavarov, o il Pallone d’oro 1986 Bjelanov, all’Olanda di Rinus Michels. I pilastri di quella squadra sono i tre olandesi, Frank Rijkard, Ruud Gullit, e Marco Van Basten che nelle due annate successive avrebbero trascinato il Milan di Arrigo Sacchi sul tetto d’Europa. Ma adesso l’obiettivo era quello di portare la loro nazionale al primo titolo internazionale della propria storia, dopo che la meravigliosa “Arancia Meccanica” per due anni di fila aveva sfiorato il colpo mondiale. Gli Europei si disputano in Germania Ovest, e i tulipani hanno eliminato i padroni di casa di Beckenbauer per 2-1 in semifinale, con gol decisivo, ai tempi supplementari, di Marco Van Basten. La gara, rivincita della prima partita della fase a gironi vinta dall’U.R.S.S., è a senso unico, a favore degli uomini di Michels, con i sovietici decisamente sottotono e rimaneggiati. L’1-0 è di Gullit, che, al 32’, su sponda aerea di Van Basten, batte Masaev. La gara terminerà 2-0, dopo un rigore fallito da Bjelanov, e la seconda rete resterà scolpita nella storia di questo sport. Al 54’ Muhren effettua un cross al centro, leggermente lungo, che il “Cigno di Utrecht” raccoglie, in posizione estremamente defilata, indirizzandolo verso la porta, e piegando le mani del portiere avversario, grazie ad un mix di coordinazione, eleganza, potenza e precisione, che solo un calciatore di quel tipo sarebbe stato capace di sfoderare, e che gli vale il titolo di capocannoniere della competizione, con 5 reti. Sicuramente meno “occulto” rispetto alla prodezza di Maradona, probabilmente spiegabile dalla fisica, ma comunque da lasciare sbalorditi. Adesso, invece, voglio parlare della potenza, di quei tiri che raggiungono una velocità impensabile, con effetti apparentemente inspiegabili. Di reti di questo genere ce ne sono state moltissime, e, per rappresentarle, scelgo quella che è sicuramente la più iconica. Un gol “inutile”, in quanto avvenne nel corso di un torneo amichevole, organizzato dalla Francia, in preparazione del Mondiale che si sarebbe disputato in casa dei transalpini, per il quale vengono invitate Italia, Inghilterra e Brasile. La prima sfida contrappone, il 3 giugno 1997, a Lione, i padroni di casa al Brasile. Un’anticipazione della finalissima dell’anno successivo, che terminerà 1-1. Il momento chiave, però, è il 22’ minuto del primo tempo, quando i verdeoro si guadagnano un calcio di punizione da oltre 30 metri. Roberto Carlos, specialista, calcia ad effetto, aggira la barriera, con la sfera che, proprio quando sembra si stia dirigendo in tribuna, si infila alle spalle dell’incredulo Barthez. prodezza balistica che destò l’interesse dei fisici, i quali la spiegheranno con il cosiddetto “Effetto Magnus”, che non starò qui a spiegarvi (non è mia intenzione annoiare), e che resterà come una pagina indelebile della storia del calcio… e della fisica.

Anche gli esseri umani volano…forse

Anche gli esseri umani volano…forse, scusate, non ne sono sicuro, mi spiego meglio: quelli di cui vi sto per parlare hanno volato per davvero, ma non sono così certo che si tratti di esseri umani. Partiamo da lui, l’extraterrestre per eccellenza: Cristiano Ronaldo. Di “voli” ne ha fatti parecchi, ma quello che più ha strabiliato il mondo è stato quello firmato a Marassi, contro la Sampdoria. La gara è ferma sull’1-1, grazie alla prodezza di Paulo Dybala in avvio e alla replica di Gianluca Caprari. Sul finire del primo tempo Alex Sandro lascia partire un cross dalla sinistra. Cristiano Ronaldo stacca, sovrasta l’incolpevole, e anche abbastanza inerme, Gianluca Murru, portando in vantaggio la Juventus, e chiudendo la partita sull’1-2. Uno stacco perentorio, devastante, incontenibile: 71 cm da terra, 2,56 metri di altezza complessiva, se avesse voluto avrebbe potuto toccare il cielo con un dito, dopo essere rimasto in sospensione aerea per ben 48 centesimi di secondo, quasi mezza unità. Dubbi sulla sua effettiva appartenenza al nostro pianeta? Legittimi. Gioia incontenibile per i tifosi bianconeri che, quasi due anni prima, si vedevano beffati allo Stadium da quello che probabilmente è stato il gol più bello mai realizzato in carriera. Si è fatto perdonare.

Andiamo a ritroso stavolta, in particolare scivoliamo indietro di 4 anni, al mondiale brasiliano del 2014. 13 giugno, Salvador de Bahia, girone B, partita inaugurale. Va in scena il replay dell’ultimo atto di quattro anni prima, che ha incoronato gli spagnoli campioni del mondo. Le “Furie rosse” partono favorite, anche in virtù della vittoria all’Europeo 2012 contro l’Italia, ma gli olandesi sono desiderosi di vendetta. La gara si mette in discesa, con un rigore trasformato da Xabi Alonso che manda avanti gli iberici, e il copione sembra già scritto. Sempre a fine primo tempo, sempre dalla sinistra, arriva un lancio di Blind: Sergio Ramos si lascia sfuggire sul filo del fuorigioco Robin Van Persie, che ha tutto lo spazio per mettere giù il pallone e andare al tiro, ma non lo fa. Quel giorno, il capitano decide che non è il caso di addomesticare quel pallone, e salta, come se si tuffasse in piscina, impatta la sfera, imponendole una traiettoria parabolica, e mettendola all’incrocio dei pali. Sembra un miracolo, un uomo che vola, un altro fuoriclasse che se ne infischia delle leggi fisiche, sale in cielo, e torna giù: tutto normale, è l’Olandese Volante, è Robin Van Persie. Finirà 1-5 per gli “Orange”, per i quali sarà l’inizio di una cavalcata che si esaurirà soltanto in semifinale, mentre per la “Roja” la sveglia rimediata è l’inizio della fine, con i campioni che verranno eliminati addirittura ai gironi. Restiamo in ambito mondiale, ma stavolta facciamo un “salto”, quale termine migliore, indietro nel tempo di 50 anni. Messico ’70, un mondiale che ha scritto la storia, il mondiale di sua maestà, O’Rey, e di Italia-Germania 4-3. La “Partita del secolo”, quella che tutti ricordano, in cui gli azzurri e i tedeschi, dopo un normale, anche abbastanza sbiadito pareggio, agguantato all’ultimo dai teutonici, sfoderarono i 30 minuti più folli della storia del calcio. Dall’altra parte, a Guadalajara, Brasile-Uruguay, che termina 3-1, passa alla storia per la “mossa di Pelè” che, su un filtrante di Tostao, lascia scorrere il pallone per aggirare il portiere, che nel tentativo di recuperare rischia di rompersi la caviglia, pur non riuscendo a depositare il pallone in rete. In finale, gli azzurri, nonostante l’impresa in semifinale, e nonostante la possibilità di schierare campioni quali Giacinto Facchetti, uno dei primi terzini fluidificanti della storia, Roberto Boninsegna, bomber indiscusso, Gigi Riva, fresco campione d’Italia con il suo Cagliari e Gianni Rivera, pallone d’oro 1969, partono sfavoriti. Già, perché l’avversario è il “Brasile dei cinque numeri 10”, quello del San Paolo, Gerson, del Corinthians, Rivelino, i fantasisti del Cruzeiro e del Botafogo, Tostao e Jairzinho, e poi lui, il 10 del Santos. Gran parte dell’11 titolare ha vinto la Coppa del mondo per 2 volte nelle ultime 3 edizioni, ed è considerata, ancora oggi, la nazionale più forte di sempre. Gli azzurri ci provano, come detto sono una squadra notevole, ma la superiorità dei carioca viene imposta da Pelè, già al 19’ minuto. Cross dalla sinistra di Rivelino, Pelè, che è fermo, ricordiamolo, salta, prende l’ascensore, sovrasta Tarcisio Burgnich, all’epoca all’Inter, che era uno dei migliori difensori del momento, ma non può nulla, contro l’elevazione, e la sospensione della “Perla Nera”, che impatta la sfera in maniera perfetta. Boninsegna ci illuderà, realizzando un pareggio che racconta tutta l’anima che quei ragazzi ci misero, ma la partita terminerà 1-4, e il quarto gol sarebbe potuto tranquillamente entrare in questa rassegna, perché fu una rete impossibile, da parte di Carlos Alberto. Secondo alcuni i supplementari disputati qualche giorno prima furono decisivi, nel prosciugare le energie ai ragazzi di Valcareggi, che magari avrebbero potuto giocare una finale differente, ma è andata così, la Coppa Rimet va definitivamente in Brasile, agli azzurri rimane la “Partita del secolo”, a Edson Arantes do Nascimento un ulteriore consacrazione dal cielo.

Gol magnifici, reti straordinarie, da parte di veri e propri eroi di questo sport, da ammirare e riammirare. Chissà, se davvero siano riusciti ad andare oltre la fisica, ne dubito, però mi piace pensarlo, immaginarvi che, per un istante, anche tutte le leggi fisiche esistenti si siano sedute sugli spalti ad ammirare tali prodezze, e si siano fermate, anch’esse ad applaudire, insieme a tutti gli altri fortunati.