Se tre indizi costituiscono una prova, allora 23 anni corrispondono ad un'eternità.
In questo lasso di tempo, la Juve ha sfiorato in molteplici circostanze quella che si può definire come la "donna" più bella d'Europa, sebbene un evidente difetto (i padiglioni auricolari troppo pronunciati) ne contraddistingua l'aspetto fisico. Un rapporto burrascoso, tra la Champions e la Signora, tanto che la prima agli occhi della seconda, assuma le sembianze di una potenziale "Sora Camilla". 

Gli ajacidi hanno stracciato l'assetto juventino ed estromesso la banda Allegri, dall'Europa che conta, proprio come Johann Crujff e compagni fecero nel lontano '73, infliggendo ai bianconeri la prima sconfitta in una finale della Coppa più ambita. Quando, il '96, il sortilegio pareva interrotto e i lancieri furono battuti ai rigori dalla Signora in blu, l'anno successivo è il Borussia Dortmund, vera e propria "discarica" bianconera (vedi Paulo Sousa o Kohler ceduti ai gialloneri), ad andare di traverso a Lippi e compagnia cantante. Poi Mijatovic, Sheva, Neymar, Ronaldo e via discorrendo; senza tralasciare i vari Deportivo, Arsenal, Liverpool o Bayern. 

Con Max Allegri al timone del vascello bianconero, i progressi europei sono stati notevoli. Il primo anno è una finale inattesa a coronare la cavalcata juventina, mentre la finale di Cardiff, sebbene caratterizzata da tragico epilogo, vedeva, addirittura, la Signora favorita. Le eliminazioni contro Bayern e Real, invece, erano frutto di dettagli: palla persa da Evra in uscita\intervento scomposto, in area, da parte di Benatia, a pochi istanti dal termine. Ciò che risaltava dell'Allegri-pensiero, varcati i confini italici, era il pragmatismo tattico, mix esplosivo tra attendismo puramente nostrano, sprazzi di buon calcio e, in particolare, capacità non comuni di leggere la partita, messe in pratiche attraverso sostituzioni o cambi di modulo.

La ricetta dello chef livornese, in questa edizione della Champions, con tanto di Ronaldo, alla voce "ingredienti", non ha sortito gli effetti desiderati. Il massimo risultato, metaforicamente paragonabile ad un buon cacciucco, piatto tipico di Livorno, è arrivato sulle tavole dei tifosi come una minestrina riscaldata, incapace di esaltare il gusto delle proprie componenti. Un gioco approssimativo e fin troppo attendista, aggiunto ad una condizione fisica assai altalenante e a giocatori singoli distanti anni-luce dagli standard consueti, ha messo in luce la scarsa solidità di una squadra, data per favorita, ma non all'altezza del grande passo.

Una costante del quinquennio allegriano sono i cali di concentrazione e di tenuta fisica, nella seconda frazione di gioco. Cardiff, vaccino più indicato per debellare questo virus, è l'esempio più lampante di una campagna "no-vax", promossa dai nostri beniamini. Il secondo tempo di Monaco, A.D. 2016, costa caro ad una prestazione favolosa della Juve, contro gli uomini di Pep Guardiola. La stagione successiva arriva Cardiff, ma evito di tediarvi con storie e storielle. Da annoverare, inoltre, il secondo tempo dell'andata dei quarti, contro il Real, l'anno scorso, aperto dalla rovesciata sontuosa di CR7 e dall'azione corale da cui parte la rete di Marcelo.

Quest'anno? Seconda metà di gara (anzi, ultimi 10 minuti) amara contro lo United: da 1-0 a 1-2. Incubo in quel del "Wanda", durante la prima guerra "atletica", materializzatosi tramite le reti di Gimenez e Godin, gli "huevos" del Cholo e gli sfottò colchoneros indirizzati a Ronaldo. Amsterdam, primi minuti del secondo tempo, pareggio dell'Ajax con Neres. Ritorno, Torino, Szczesny salva i suoi compagni, eseguendo miracoli degni di nota (Van de Beek o Ziyech), ma è incolpevole sulla zuccata di De Ligt. Quello dei lancieri è un dominio in lungo e in largo, accompagnato, in sottofondo, dagli "olè" dei supporters olandesi.

Persino quei "porci" degli anti-juventini, definizione messa per iscritto dal sottoscritto, non hanno minimamente influenzato il giramento di bobine post-partita. I grugniti sguaiati e la melma prodotta sui social, stranamente, passano inosservati, di fronte all'ennesima, vergognosa, indecorosa prestazione europea.
Una Juve cannibale da Trieste a Pantelleria è lontana parente di quella osservabile dal Manzanarre al Reno (dalle Alpi alle Piramidi è un filino esagerato). La Signora dominatrice della scena nazionale, da 8 anni a questa parte, calca i palcoscenici europei senza quella "cazzimma" e quel physique du role, necessari per strappare applausi alle raffinate platee del Vecchio Continente. Tutto pane (o melma) per i denti (o per il retto) di chi osteggia la Juve e la mentalità che la contraddistingue. Poco importa se la melma si concretizzi sotto forma di fuochi d'artificio o di rivangazioni del passato, resta il fatto che i colori bianconeri, estromessi dall'habitat del campionato, si mostrino ancor più opachi alla luce dei grandi riflettori.

Agnelli, a mezzo stampa, rivolge i complimenti all'Ajax e conferma Allegri. Bene, bravo. Purtroppo anche la dirigenza bianconera, dall'atteggiamento fin troppo elitario entro i confini nazionali, non ha lesinato di frignare, in campo europeo, ricordando le migliori performances dei dirigenti\calciatori altrui, nei post-partita del nostro campionato.
Un Marotta che si lamenta dell'arbitraggio di Bayern-Juve, equivale ad un De Laurentiis che si lamenta del fatturato o di creature mitologiche simili.
Un Buffon accecato dalla rabbia, lamentandosi per un rigore (evidente) concesso agli avversari e insultando il direttore di gara, corrisponde ad un Totti, il quale ipotizza un "campionato a parte" cui dovrebbe partecipare la Signora.
Non è nelle corde della Juve utilizzare la tv quale mezzo per esprimere dissapori e lamentele, avvicinandosi ad una mentalità fin troppo partenopea o romanista e troppo poco sabauda.

Non resta che attendere la prossima edizione della Champions, sperando di metter nero su bianco l'ennesima e approfondita analisi della sconfitta, manco fossimo la sinistra italiana.