Tra poche settimane, il calcio italiano ripartirà. E, come da tradizione, lo farà dalla sua coppa nazionale, ingenerosamente maltrattata, resa sempre più schiava dei diritti televisivi e poco stuzzicante per gli amanti del nazionalpopolare, alla faccia dei Calais e dei miracoli della FA Cup di turno. Un peso, per le grandi squadre, almeno fino agli atti conclusivi, quando tutti vogliono vincerlo, poi, quel “portaombrelli”, come i detrattori amano definire la Coppa Italia, ma solo se la propria squadra non riesce a portarla a casa.

Una maledizione vera e propria per questa manifestazione, forse insita già nella sua origine, quella che la portò alla luce nella stagione 1921/22, l’anno della discordia del calcio italiano.
Preparatevi: quella che sto per raccontarvi è un’edizione unica!

Federcalcio vs società: altro che Superlega!

Ben prima della diatriba sulla Superlega europea, ormai più di un secolo fa, in Italia, la Federazione e le società arrivarono ai ferri corti. Motivo? Le solite, immancabili e sempreverdi ragioni economiche.

Il crescente entusiasmo per il calcio portò all’iscrizione di sempre più squadre a quella che, all’epoca, era definita Prima Categoria, il massimo livello calcistico. A partecipare ad un formato ancora primordiale, che prevedeva delle fasi a gironi territoriali e poi la finalissima tra la vincitrice del girone settentrionale e quella del girone meridionale, furono 88 squadre (64 collocate al Nord e 24 al Sud). Ebbene sì, un numero esorbitante, talmente esagerato che andò in contrasto con quanto la Federazione pareva avere nelle intenzioni: provvedere ad una riduzione del numero di squadre aderenti al torneo in modo da renderlo più fruibile e snello. E invece no: il cervellotico percorso per individuare la squadra campione d’Italia era ancora lì, al suo posto, con un campionato infinito che si prolungava fino ad estate inoltrata. Era davvero troppo. Per tal motivo, le grandi del tempo (capitanate da Genoa, Pro Vercelli, Juventus e Milan) si affidarono a Vittorio Pozzo, futuro CT bicampione del mondo con la Nazionale, che promosse una riforma. Questa prevedeva una Prima Divisione formata da due gironi da 12 squadre ciascuno, da disputare con gare di andata e ritorno e successiva finalissima, con meccanismi di promozione e retrocessione con le altre divisioni (Seconda, Terza e Quarta). Il calcio aveva perso la forma dilettantistica: cominciavano a circolare i primi trasferimenti, gli investimenti erano più cospicui e le esigenze finanziarie iniziarono a farsi sempre più forti. Il cambio di passo nella direzione Pozzo pareva la scelta giusta, almeno per le 24 grandi autoproclamatesi. Peccato che, dall’altra parte, vi era uno stuolo di squadre “minori” che vedevano negli incassi del botteghino dei grandi match la loro principale fonte di sostentamento, oltre ad un principio di giustizia che vedeva alcune squadre essere inserite nel novero delle big nonostante alcuni tornei disputati sotto le aspettative e altre che, avendo dimostrato di valere, ne risultavano estromesse. Insomma, nulla di nuovo: le polemiche ci sono sempre state.
Si arrivò pertanto al Consiglio Federale: la proposta venne sonoramente bocciata. Stavolta, però, le “grandi” fecero sul serio…

I due campionati: nasce la CCI

Come si tentò di fare nel passato recente a livello internazionale, le 24 società, dopo che la Federcalcio rigettò le loro rimostranze, si staccarono dalla federazione, dando vita ad un campionato autonomo denominato Confederazione Calcistica Italiana (CCI): l’obiettivo dichiarato era quello di rendere più competitivo e qualitativo il gioco del calcio (cosa vi ricorda?). La beffa nella beffa fu che, oltre alle grandi società, altre squadre di Promozione e Terza Categoria (i livelli gerarchicamente inferiori alla Prima Categoria) si unirono al progetto, costituendo i rispettivi livelli nell’ambito della CCI, e tutta la Lega Sud aderì alla confederazione, di fatto svuotando il campionato federale di una fetta del Paese.
Ed ecco spiegato il perché, quando si scorre l’albo d’oro del campionato, in quest’annata vi sono due squadre riconosciute vincitrici del titolo: per l’unica volta nella storia del calcio italiano, ci furono due campionati alternativi. In tutto questo caos, come trova spazio la Coppa Italia?

L’idea della FIGC: la coppa nazionale

La Federazione era smembrata delle squadre più blasonate, seguite e ricche. Il nuovo assetto prevedeva dei gironi regionali con accesso alle semifinali nazionali. L’umore, però, era evidentemente sotto i tacchi e dal punto di vista tecnico la caratura del campionato era impoverita. Fu proprio per questo motivo che il massimo organismo calcistico cercò di rimpolpare una stagione partita con mille problemi inaugurando una nuova competizione: appunto, la Coppa Italia. Peccato che, se già il campionato così mozzato faceva fatica, figuriamoci un altro torneo alternativo che interesse poteva suscitare. Le basi non erano per niente solide, ma la FIGC volle comunque fare un tentativo.

Ed ecco la Coppa Italia 1922

Che si trattasse di una situazione caotica era intuibile, ma l’organizzazione del torneo non fece nulla per aiutare. Anzi, la confusione regna sovrana per tutta la durata del torneo.
Le squadre partecipanti sono 37: già questo provoca grattacapi, visto che il numero poco si presta ad una competizione ad eliminazione diretta.
In aggiunta, il regolamento prevede alcuni curiosi aspetti economici: l’iscrizione è gratuita e il sorteggio stabilisce chi ha il diritto di giocare in casa con la possibilità, in caso di accordo tra le società, di invertire il campo (a patto che la società ospitante possa garantire un terreno di gioco recintato). Fino a qui niente di anomalo. La particolarità è che la squadra ospitante, forte degli introiti che avrebbe dovuto ottenere al botteghino, avrebbe poi avuto l’obbligo di riconoscere cento lire alla FIGC più altre trenta lire a persona (gli undici calciatori avversari più un dirigente) agli ospiti, a cui andava anche rimborsato il viaggio ferroviario in terza classe.
Le premesse sono veramente singolari; nonostante tutto, si parte. E quale periodo migliore per iniziare se non in concomitanza con le semifinali nazionali del campionato?

Il 2 aprile 1922 è previsto il primo turno.
E, vi avviso, accade qualsiasi cosa!

Essendo 37 squadre al via, giocoforza una deve passare automaticamente al prossimo turno, non avendo un abbinamento disponibile: il sorteggio premia il Treviso, che bypassa il preliminare senza giocare.
Il calendario prevede l’incontro tra Libertas Firenze e Pro Livorno: essendo i secondi impegnati in campionato, entrambe passano al turno successivo (sul serio, non è uno scherzo).
Il derby tra Triestina ed Edera Trieste finisce sul campo 4-2 per i primi, ma la FIGC consegna la vittoria a tavolino ai secondi in quanto un calciatore dei padroni di casa, Antonio Blasevich, non riceve il nullaosta dalla Federazione jugoslava, in cui aveva militato fino all’anno precedente con la casacca dell’Hajduk Spalato e, pertanto, il suo tesseramento viene considerato irregolare.

Finita qui? Neanche per idea.
L’Audace Livorno e il Casalecchio mollano per gli eccessivi oneri che questa manifestazione comporta: ne beneficiano rispettivamente Molassana e Carpi, che avanzano al turno successivo vincendo a tavolino.
Fortunatamente, però, il campo riserva anche qualche indicazione interessante: il match tra Trevigliese e Saronno, due finaliste lombarde l’anno prima che per meriti sportivi avrebbero potuto far parte del gruppo delle “secessioniste”, finisce 1-0 per gli ospiti ai supplementari. Oltre il novantesimo termina anche il match tra Vado e Fiorente (a dispetto del nome, squadra genovese): il risultato è 4-3 e segnano Marchese e Babboni II, ma è Virginio Felice Levratto il vero protagonista dell’incontro, autore della doppietta che consente all’outsider ligure di avanzare al turno successivo.
La domenica successiva, il 9 aprile, è tutto pronto per il secondo turno, con l’eccezione di Edera Trieste-Udinese, che verrà disputata due settimane più tardi a causa della questione Blasevich di cui sopra (e che vedrà i bianconeri stravincere 4-0). Stesso risultato che rifilerà, stavolta in casa, la squadra “Forti e Liberi” di Forlì contro il ben più quotato Treviso. Altro poker inflitto dalla Novese al Fanfulla in quel di Lodi, mentre Lucchese e Vado convincono rifilando 5 gol a testa rispettivamente a Rivarolese e Molassana. Nel frattempo, Libertas Firenze e Pro Livorno proseguono nel loro cammino: il motivo è sempre legato agli impegni in campionato dei livornesi, che provoca un nuovo slittamento.

La partita mai disputata: una squadra in semifinale senza aver mai giocato

Arrivati al terzo turno, sono rimaste 11 squadre: il primo incontro, quello tra Edera Trieste e Udinese, che doveva essere il recupero del secondo turno, è considerato sostanzialmente alla stregua del turno successivo, con i bianconeri che, vincendo, accedono direttamente ai quarti di finale. In più, ancora una volta, Libertas Firenze e Pro Livorno avanzano senza incrociarsi, e la stessa sorte spetta a Novese e Speranza, visto l’impegno dei primi. Dunque, fondamentalmente, si disputano tre incontri: la Lucchese travolge la Virtus Bologna per 4-0, ma le sorprese arrivano dagli altri due match. Vado e Valenzana, ultime due squadre non di Prima Categoria ad essere rimaste in corsa, sorprendono tutti e sfruttano il fattore campo, vincendo rispettivamente per 2-0 contro la Juventus Italia (niente paura, era una squadra di Milano) e per 3-0 contro Forti e Liberi.  

Siamo ai quarti di finale e, secondo la stampa dell’epoca, era il momento in cui le grandi avrebbero fatto valere il loro peso a scapito delle piccole, in particolar modo sulle due rivelazioni del torneo.
Sembra scoccata l’ora della partita rinviata fin dal principio, ma la Presidenza Federale cambia le carte in tavola: la sfida tra Libertas Firenze e Pro Livorno non verrà mai disputata. Le due squadre vengono rimescolate in nuovi abbinamenti, così come Novese e Speranza.
Il programma è il seguente:
30 aprile 1922 – Pro Livorno-Vado
30 aprile 1922 – Libertas Firenze-Valenzana
18 giugno 1922 – Speranza-Lucchese
18 giugno 1922 – Udinese-Novese

Ancora una volta, però, nulla in questa edizione va per il verso giusto: la Valenzana, appreso della ripetizione dell’incontro contro i toscani a metà giugno, decide di abbandonare. Quella che verrà incorporata anni dopo nella Fiorentina, la Libertas, si trova in semifinale senza aver mai disputato un minuto in campo. La Novese, che nel frattempo si è laureata per la prima volta campione d’Italia, rinuncia a giocare: i friulani avanzano. Sul terreno di gioco, saranno la Lucchese a vincere in rimonta 2-1 e il Vado a espugnare Livorno a passare sempre più sorprendentemente: l’1-0 fa volare i liguri.

«È passa' e g'ha fatto il buso»

Il 25 giugno è il momento delle semifinali. La Libertas Firenze finalmente scende in campo in Liguria, al cospetto della rivelazione: i toscani sono i favoritissimi della vigilia, ma il Vado è incontenibile e vuole sovvertire tutte le previsioni. E lo fa: trascinato il match fino ai supplementari, al 116’ Roletti colpisce e fa impazzire di gioia il suo gruppo. Il gol porta la squadra all’atto conclusivo della manifestazione, dove affronterà l’Udinese.
Ma cosa credete, che nell’altra semifinale sia andato tutto liscio? Neanche per sogno!
La partita è spettacolare: i toscani, ospiti, vanno in vantaggio dopo 3 minuti, ma vengono rimontati dal gol di Tosolini e dalla doppietta di Semitendi: al 77’ siamo sul 3-1 per i friulani. I rossoneri, però, non mollano: Bonino (capocannoniere al termine della manifestazione con 6 gol) all’80’ e un’autorete 5 minuti dopo prolungano la sfida all’overtime: Tosolini decide l’incontro, finisce 4-3.
Sulla carta.
Eh sì, perché, durante la sfida, un calcio di rigore in favore dei friulani viene battuto non dai canonici 11 metri ma da una distanza ridotta (9/10 metri): la partita si deve ripetere!
Stavolta, però, il risultato non offre altre sorprese: vince ancora di misura l’Udinese, con gol di Moretti.

La finale, prevista il 16 luglio 1922, è tra Vado e i friulani: nonostante tutto, sono questi ultimi ad essere considerati i principali candidati alla vittoria del trofeo.
La gara è tiratissima e ancora una volta bisogna ricorrere ai tempi supplementari. Siamo al 118’ e accade l’incredibile, un misto tra realtà e racconto popolare che offre una punta di leggenda all’edizione della Coppa Italia più assurda di sempre: Levratto anticipa l’entrata di un avversario e va verso il centro affrontando il terzino destro bianconero, finta, avanza e si libera per il tiro, così potente al punto che la sfera entra in porta e spacca la rete.
«Ma è goal chiede un incredulo giocatore dell’Udinese.
«È passa' e g'ha fatto il buso» ammette in candido dialetto Libero Lodolo, estremo difensore friulano: non c’è bisogno di traduzione.
Levratto, da quel momento per tutti lo Sfondareti, regala il successo alla squadra della provincia di Savona: la prima Coppa Italia della storia, quella del 1922, è del Vado.

L’epilogo

L’attaccante match-winner, all’epoca diciassettenne, attrasse le attenzioni delle grandi: giocò con Verona, Genoa, Inter e Lazio ed entrò nel giro della Nazionale. Seppur devastante, non riuscirà mai a vincere il tricolore: le ingiustizie del calcio partono da lontano.
Nel frattempo, la rottura tra le big e la FIGC venne risanata: il nuovo assetto era formato da 36 squadre, che pian piano si ridussero fino al girone unico che sancì la nascita della Serie A per come la conosciamo noi nel 1929.

E la Coppa Italia?
Dato lo scarso appeal e con una riunificazione appena perpetrata, venne messa da parte: nel 1926/27 partì una nuova edizione, che si fermò ai sedicesimi senza mai avere una conclusione.
Riprese solamente dal 1935, venendo disputata fino al 1943 ed interrotta a causa del secondo conflitto mondiale. Ritornerà in pianta stabile dal 1958.

La Coppa Italia ha tante difficoltà oggi, lo sappiamo tutti, ma quella del 1922 è stata senza dubbio leggendaria.
Il mito accompagnerà per sempre il Vado, oggi militante in Serie D, ma ieri (101 anni fa) grande protagonista della Coppa Italia più incredibile di sempre.

 

Indaco32