Quando si pensa ad alcuni calciatori, ci viene quasi in automatico associare uno o due club a cui la carriera degli stessi si lega in modo quasi indissolubile. Pensiamo alle bandiere: Maldini, Baresi, Totti, solo per fare degli esempi, sono associati ad una sola squadra. E così vale per tanti altri. Non c’è altro se non quella maglia. O quasi. Perché, se è pur vero che molti campionissimi hanno legato le loro gesta a dei colori in particolare, vi sono delle parentesi, prevalentemente giovanili o a fine carriera, assolutamente sconosciute dal grande pubblico. Ed è questo che oggi voglio presentarti: una carrellata di accoppiate campioni italiani-piccole squadre che non avresti mai detto. Sia ben chiaro che ciò non scalfisce minimamente il loro legame profondo con il club di riferimento, ma è semplice curiosità sui trascorsi di questi big. Pronto? Partiamo.

Giampiero Boniperti (Barengo, Momo Novarese) – A neanche 19 anni, l’immenso attaccante bianconero si prese subito la scena, disputando le ultime partite del campionato 1946/47, mettendo a segno 5 reti in appena 6 presenze. Solo l’antipasto, perché l’anno dopo divenne capocannoniere della Serie A segnando 27 gol e mettendosi definitivamente sulle spalle la Juventus. Un’intera carriera dedicata alla Zebra, fatta eccezione per i suoi esordi a livello giovanile: i primi passi li mosse nel club della sua città natale, il Barengo, squadra attualmente in Terza Categoria Piemontese, e nel Momo Novarese, altra selezione della provincia piemontese. Solo un assaggio: dopo, nel suo cuore, ci sarà spazio solo per la Signora, di cui diverrà persino Presidente per quasi 20 anni, dal 1971 al 1990.

Omar Sivori (Napoli) – Per la gran parte degli appassionati, l’oriundo italo-argentino è stato l’icona di una delle più forti Juventus di sempre. Eppure, ben prima del passaggio di Higuain dai partenopei in bianconero che creò scalpore nel 2016, fu uno dei calciatori più forti di tutti i tempi ad effettuare il percorso inverso. Nel 1965, il Pallone d’Oro del 1961 ha 30 anni e ha dato il massimo per i colori bianconeri. Per chiudere la carriera, però, l’allenatore azzurro Bruno Pesaola convinse il Presidente dell’epoca Achille Lauro a strapparlo ai rivali. L’esaltazione per il suo arrivo fu qualcosa di pazzesco: euforia a mille nella città di Napoli, che si gustarono le sue prodezze soprattutto nella prima annata, in coppia con Altafini. Infortuni vari impedirono di vederlo al meglio nelle stagioni seguenti, con l’incredibile epilogo del dicembre 1968: proprio nel match tra le due compagini della sua carriera, Sivori subì un fallo terribile che scatenò una rissa da far west, come riportano le cronache. Il bollettino effettivamente mette i brividi: lo juventino Salvadore rimedia 20 punti di sutura e 4 giornate di squalifica, mentre dall’altra parte Panzanato chiude con 5 punti di sutura e ben 9 gare di stop, che fanno il paio con i 6 turni rifilati all’italo-argentino. Per quest’ultimo è troppo: la conferenza stampa post-partita è uno show, ma quello vero arriva solamente venti giorni dopo il fattaccio, esattamente il 21 dicembre, quattro giorni prima di Natale. In diretta da Canzonissima, mentre Gianni Morandi impazza con “Scende la pioggia”, di fianco a Walter Chiari il campione annuncia l’addio al calcio giocato, salutando l’Italia. Scende la pioggia su un’epoca segnata dal suo talento.

Antonio Valentin Angelillo (Angelana) – Chiunque ami le statistiche del calcio, non può non ricordarsi della fenomenale annata vissuta con la maglia dell’Inter nel 1958/59, con cui segnò 33 reti fissando un record tuttora imbattuto nei campionati italiani a 18 squadre. Nella massima serie, dopo la rottura con Herrera, ha vestito le maglie di Roma, Milan, Lecco e Genoa, prima di chiudere la carriera ad Assisi, nella frazione di Santa Maria degli Angeli, vestendo i panni dell’allenatore-giocatore. Nell’ultima stagione giocata, anno 1970/71, ottenne la promozione in Serie D, mentre la sua Inter vinceva l’undicesimo scudetto della sua storia.

Gianni Rivera (Alessandria) – Tutti sanno bene che il golden boy del nostro movimento è stato l’icona del Milan, letteralmente venerato dal milanista Diego Abatantuono come un profeta nel film “Eccezziunale…veramente”, a dimostrazione dell’ascendente che il numero 10 aveva e continua ad avere nell’immaginario sul tifo rossonero. Eppure, molti ignorano che un neanche sedicenne Rivera esordì nella squadra della sua città, l’Alessandria. Il suo smisurato talento fu apprezzato nientemeno che da Silvio Piola: l’Inter ci fece un pensierino, ma i cugini furono più bravi e se lo accaparrarono nel 1959, al punto che l’allora Presidente Rizzoli dichiarò di aver speso tanti soldi per un giocatore di cui a stento conosceva il nome. Fortunatamente per lui e il suo club, negli anni a venire il suo nome sarà ricordato ed evocato a chiare lettere dal popolo milanista.

Mario Corso (Audace SME) – Ammiratore del succitato Sivori, al punto che lo emulò abbassando i calzettoni durante le partite che disputava, è stato lo specialista della foglia morta e uno dei top della Grande Inter degli anni ’60, chiudendo la carriera al Genoa. Prima di diventare il fenomeno che la storia del calcio riconosce, il veronese crebbe a livello giovanile e giocando la sua prima stagione da “grande” in una squadra della città di Romeo e Giulietta. All’Hellas? No. Al Chievo? Neanche. Alla Virtus? Ancora no. La squadra è l’Audace SME, acronimo di San Michele Extra, uno dei principali quartieri della città. Curiosità? La squadra che oggi milita in Promozione era rossonera. Fortuna che poi cambiò in fretta e fece le fortune dei colori neroazzurri.

Giacinto Facchetti (Trevigliese) – Restando nell’Inter del Mago, altro grande simbolo è stato l’indimenticato terzino. Da professionista, ha conosciuto solo la casacca neroazzurra di cui è poi divenuto Presidente e ha vinto titoli a raffica, sia con il club che con la Nazionale. Uno dei più forti di ogni epoca nel suo ruolo, è cresciuto nella Trevigliese. La particolarità è che il giovane Facchetti giocava da attaccante: sarà poi Herrera ad avere l’intuizione di trasformarlo in quello che tutti abbiamo imparato a conoscere.

Gigi Riva (Legnano) – Se dici Gigi Riva, pensi al Cagliari. Pensi alla Sardegna, che nel 1970 diventa campione d’Italia trascinata dal Rombo di tuono, già campione d’Europa due anni prima con la maglia azzurra. Resistette alla corte delle big per sposare un amore incondizionato, quello della squadra dell’isola, di cui è diventato la bandiera per eccellenza. Eppure, lui che è nato in Lombardia, prima di diventare il simbolo rossoblù, vivrà una stagione in Serie C al Legnano: arrivato nelle giovanili a 18 anni, si prese subito la Prima Squadra, segnando 5 gol e attraendo le sirene cagliaritane. Il resto è storia.

Dino Zoff (Udinese, Mantova) – Prima di dividersi tra Napoli e Juventus, con cui conobbe il massimo dello splendore divenendo uno dei simboli del calcio italiano e assurgendo ad uno dei portieri più forti di tutti i tempi, gli esordi dell’estremo difensore lo vedono protagonista con due maglie che spesso non sono accostate al campione del mondo 1982. Parliamo della squadra friulana, che lo accolse dopo che il portiere, in età giovanile, era stato rifiutato da Inter e, incredibile, dalla stessa Signora. Motivo? L’altezza. Lui crebbe a base di uova e alimentazione fornita dalla nonna, vestendo il bianconero del Nord-est; nel 1963 fu invece il Mantova a volerlo, inizialmente come riserva. In poco tempo, si prese la titolarità e i 4 anni vissuti in Lombardia lo fecero maturare: da lì in poi, fu un’ascesa all’Olimpo di questo sport.

Roberto Bettega (Varese, Toronto) – Dal 1970 al 1983 è stato l’attaccante principe della Juventus. E fino a qui, lo sappiamo. I titoli di testa e di coda, però, recitano altro: Varese e Toronto, in una linea immaginaria che collega la Lombardia al Canada, passando per la Mole Antonelliana. In maglia biancorossa, esplode: 13 gol in Serie B nel 1969/70 (quando ancora era una base per scovare potenziali campioni) gli consentirono di vincere la classifica marcatori della cadetteria e gli spalancarono le porte di Torino. Poi, dopo aver vinto tantissimo e segnato a valanga in bianconero, si concesse la chiusura Oltreoceano.

Giancarlo Antognoni (Losanna) – Bandiera della Fiorentina, con cui militò ininterrottamente per 15 anni, chiuse la carriera in Svizzera, giocando tra il 1987 e il 1989 collezionando oltre 50 presenze e mettendo a segno 7 reti. Il suo addio al Franchi al termine di quella stagione fece accorrere allo stadio 40.000 persone: tutto esaurito per una leggenda viola e campione del mondo 1982.

Antonio Cabrini (Cremonese, Atalanta, Bologna) – Anche lui fu emblema della Juventus di Trapattoni, ma prima e dopo il bianconero ci furono fugaci esperienze altrove. In primis, quelle vissute a Cremona e Bergamo che lo forgiarono: la Serie C con i grigiorossi e soprattutto la brillante stagione in cadetteria con gli orobici lo portarono alla corte piemontese, con cui divenne uno dei più forti difensori dell’epoca. Le divergenze tattiche con Zoff, suo ex compagno ma allenatore, lo portò a concludere la carriera a Bologna: dal 1989 al 1991 militò in Emilia-Romagna, accarezzando solamente la Coppa UEFA prima di appendere gli scarpini al chiodo.

Bruno Conti (Genoa) – Se nomini Bruno Conti a un romanista, 11 volte su 10 si commuoverà. È stato il calciatore più amato fino all’avvento di Francesco Totti, eroe del primo scudetto del Dopoguerra per i capitolini. Lui, nato a Nettuno, tifosissimo di quei colori, ha rappresentato la romanità e la maglia come forse nessuno aveva fatto prima di lui. Eppure, nella sua prestigiosa carriera, spiccano due parentesi in Liguria. La prima è nel 1975/76, mandato in prestito a farsi le ossa in Serie B. Idea che darà i suoi benefici inconsciamente alla società giallorossa, in quanto affinerà l’intesa con un certo Pruzzo. Dopo quest’annata, la Roma lo riprese subito indietro, ma nel 1978, proprio per concludere la trattativa per portare l’attaccante alla Lupa, Bruno Conti finirà nuovamente al Grifone nella stagione 1978/79. Fu l’ultima stagione genovese prima del ritorno definitivo nella sua squadra, con la quale nel 1983 potrà festeggiare il tricolore da simbolo indiscusso.

Alessandro Del Piero (Padova) – Eccetto le esperienze finali in Australia e India, Pinturicchio è stato il capitano per eccellenza della Juventus, con la quale ha vinto tutto, ha sposato la causa anche dopo Calciopoli e si è regalato lo scudetto nel 2012 prima di salutare. Forse a malincuore, ma tanto è: l’affetto nel giorno del suo addio ha commosso persino un interista come me. Prima di deliziare con i gol che portano la sua firma, il calciatore nato a Conegliano è stato due anni in Serie B al Padova. Fu proprio in Veneto che fu notato da Boniperti, che finalizzò il suo acquisto: forse aveva visto lungo, lui che conosceva la juventinità fino in fondo. E il numero 10 non ha deluso, anzi, è diventato uno dei simboli del club nel mondo.

Francesco Toldo (Milan) – Incredibile. Il portierone eroe di Euro 2000, diviso principalmente tra Fiorentina e Inter, vanta alcune esperienze in Serie C con Trento e Ravenna, ponendosi all’attenzione dei gigliati. E allora, cosa c’entra il Diavolo in tutto questo? I rossoneri videro in lui delle doti e lo tesserarono all’età di 16 anni acquistandolo dal Montebelluna. Con il Milan crebbe molto e vinse un campionato Berretti, distinguendosi già allora come uno dei portieri più performanti di sempre.

Christian Vieri (Pisa, Ravenna, Venezia) – Eccetto il periodo interista, è stato un giramondo, vivendo tante stagioni in squadre differenti. In molti lo ricordano al Torino, alla Lazio, alla Juve, all’Atletico Madrid, ma in pochi conoscono i suoi esordi in Serie B. Fu in Toscana che cominciò a misurarsi con la cadetteria, affinando le sue doti realizzative con il Ravenna nella stagione seguente e in laguna nel 1994/95, attraendo l’Atalanta che lo lanciò definitivamente nel grande calcio. Giuseppe Bergomi (Settalese)Lui è l’Inter. Da professionista e persino nelle giovanili, ma ci sono stati i primi calci disputati nella squadra giallorossa della sua città natale. Il club disputa oggi il campionato di Promozione e può vantare il fatto di aver cresciuto calcisticamente una delle icone del club neroazzurro e una delle ultime bandiere del nostro calcio.

Con lo Zio si chiude questa rassegna: e tu? Quali altre squadre insospettabili di alcuni dei più grandi calciatori conosci?

 

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