Un certo mondo maschile, forse una buona parte, ancorato a schemi di pensiero un tantino risalenti e rigidi, fa fatica a riconoscere o a comprendere l’affermarsi di ruoli importanti per le donne in un settore, quello del calcio, tradizionalmente riservato agli uomini. L’ultima stagione ha, però, fatto fare passi in avanti verso un nuovo modo di essere di questo sport, perché non sia tanto un ambito di contrapposizione tra i sessi ma, più semplicemente, un gioco comune, com’è giusto che sia.

La popolarità raggiunta dalla Nazionale di calcio femminile e l’affermazione delle donne manager, come Wanda Nara o Marina Veronique Rabiot, sono i segni più evidenti di una società che cambia e che ridisegna anche nel calcio il reciproco atteggiarsi dei ruoli maschili e femminili. Certo, siamo ancora molto lontani dai modelli di potere gestionale dominante affidato ad una donna, come nel caso di Marina Granovskaia, plenipotenziaria del Chelsea, ma rispetto al nulla di pochi anni fa stiamo procedendo.

Il fenomeno merita di essere colto per quello che è, nella sua naturalezza, come espressione di aspetti sociali più ampi, e senza posizioni di parte o rivendicazioni di genere, che spesso finiscono per essere delle forzature o per costituire dei limiti inutili. Una persona, maschio o femmina che sia, merita di poter esplicare il proprio essere come risorsa e non come un limite. Avere un ruolo solo per soddisfare una rivendicazione di genere non corrisponde esattamente all’entrata in un determinato ambito per la porta principale.

Nel calcio si sta verificando, invece, l’esatto contrario, si intravedono i primi passi perché le donne possano svolgervi ruoli determinanti entrando per la porta principale, senza alcun favore normativo e, anzi, con non pochi problemi e preclusioni derivanti da una marcata e persistente rigidità sul tema.

Il calcio è lo specchio della società, e ne riflette gli andamenti. Nella società odierna si è ampiamente affermato un ruolo se non ancora dominante, in ogni caso decisamente importante delle donne, sia quale punto di riferimento dei figli, che spesso allevano da sole ed in autonomia, sia come punto di riferimento nella arti di ogni genere e nel mondo del lavoro. E questo fenomeno, a sua volta, non è altro che riflesso di uno stato di natura, in cui, come affermato dal prof. Emanuele A. Jannini, professore di endocrinologia e sessuologia dell’Università di Tor Vergata Roma, “Il mondo binario maschie e femminile sostanzialmente non esiste, c’è una grande fluidità in natura, come per le lumache o per le cernie, per esempio, dove si decide chi fa il maschio e chi fa la femmina durante l’accoppiamento. Ma in ogni caso il modello base è il modello femminile”. La società patriarcale, in cui dominava la figura maschile, sembra essere più che altro espressione di determinate epoche storiche, in cui vi era necessità di forza maschile per convivere con la natura selvaggia, oppure di epoche in cui gli equilibri sociali e geopolitici erano determinati dal susseguirsi di attività belliche in cui, per forza di cose, era necessario impiegare forza maschile.

E dunque, se in natura come nella società esiste, va riconosciuto, un ruolo dominante o comunque fondamentale ed imprescindibile della donna, non si vede perché questo non debba esserci anche nel ristretto ambito calcistico, e, soprattutto, non si vede perché questo mondo gelosamente custodito e dominato dal mondo maschile non possa trarne vantaggio.

In questo senso trovo incomprensibili, per esempio, l’atteggiamento di scherno che talvolta si vuole mostrare nei confronti di Rabiot perché seguito dalla mamma, oppure di Zaniolo per il quale pure ci si ostina ed evidenziare in termini negativi la presenza al suo fianco della madre, mentre non hanno mai destato alcuna ironia e, semmai, ammirazione, calciatori i cui interessi erano seguiti dai padri o dai fratelli.

Allo stesso modo risulta incomprensibile l’incomunicabilità che il nostro mondo calcistico mostra di avere nei confronti di Wanda Nara, che, a modo suo, sta provando a ritagliarsi un ruolo di procuratrice del suo uomo. Io non penso che con Wanda Nara il problema sia il curriculum da procuratrice o il grado di preparazione, anche perché un procuratore inesperto dovrebbe essere ben gradito a chi vuole fare affari dall’altra parte.
Io penso che nei confronti della moglie e procuratrice di Mauro Icardi ci sia stata una forma di chiusura, che ha pregiudicato anche il calciatore, peraltro il miglior centravanti del nostro campionato, quello con la migliore media minuti-gol segnati, ma non tanto per colpa di Wanda Nara, quanto di un contesto non ancora pronto a confrontarsi con una donna per gestire le cose di calcio. Del resto, se ci pensate, in tutta la querelle Inter-Icardi, quest’ultimo non è stato mai accusato di nulla. Ha subito tutto in silenzio, senza aver commesso alcun torto, e senza replicare. Una guerra tra generi in pieno stile, che la sig.ra Nara rischia, peraltro, di vincere di brutto se solo il suo marito-assistito riuscirà ad esprimersi ad alti livelli nel club al quale l’Inter lo cederà. Per l’Inter sarebbe un’altra edizione del caso Pirlo, ma questa volta l’operazione avrebbe colpevoli ben precisi e un solo vincitore, anzi, una vincitrice.

In ogni caso, comunque vada, le resistenze nei confronti delle donne prese ad esempio non sono più preclusive come un tempo, costituiscono ostacoli che in qualche modo troveranno una soluzione. I tempi sono maturi perché Wanda Nara come Veronique Rabiot  vadano avanti per la loro strada, ed è certo che troveranno il modo di farsi apprezzare, interlocutori in grado di confrontarsi con loro, e, soprattutto, da qui a qualche anno tante altre come loro si imporranno nel mondo del calcio.

Chi vuole fare calcio si prepari per tempo e, soprattutto, il mondo del calcio si prepari e si predisponga a lasciare che le donne siano anche qui una risorsa e un punto di riferimento, come lo sono nella società. Senza ridicole quote rosa, ma lasciandole esprimere per quello che sono, che non è poco.