Il portiere nel calcio è un ruolo molto particolare, spesso incompreso e trascurato, sicuramente diverso, fondamentale e indispensabile, ma dai più apprezzato e rivalutato solo man mano che si cresce in età, in conoscenza e competenza di calcio. 

Sul portiere la migliore immagine è quella tratteggiata dallo scrittore uruguaiano Eduardo Galeano: Lui i gol non li segna. Sta lì per impedire che vengano fatti. Il gol, festa del calcio: il goleador crea l’allegria e il portiere, guastafeste, la disfa. Porta sulle spalle il numero uno. Primo nel guadagnare? No, primo a pagare. Il portiere ha sempre la colpa. E se non ce l’ha paga lo stesso. Quando un giocatore qualsiasi commette un fallo da rigore, il castigato è lui: lo lasciano lì, abbandonato davanti al suo carnefice, nell’immensità della porta vuota. E quando la squadra ha una giornata negativa, è lui che paga il conto sotto una grandinata di palloni, espiando peccati altrui.

Da ragazzi tutti ci siamo chiesti chi glielo facesse fare a questo o a quello di mettersi in porta mentre noialtri ci divertivamo a correre, impostare, crossare, segnare. Per un bambino il solo fatto di correre è già un divertimento, figurati a farlo scambiandosi la palla coi compagni. Eppure ce n’era sempre qualcuno a cui piaceva stare tra i pali, fermo, al sole o sotto la pioggia, e si esaltava in quel ruolo, si sentiva a suo modo importante. 

Per capire l’importanza del portiere e di come ne abbiamo, un po’ tutti, acquisito consapevolezza, occorre fare un piccolo viaggio negli anni, nelle varie età che hanno segnato la nostra crescita.

A dieci anni, salvo eccezioni, il portiere è considerato un ruolo secondario e marginale, una cosa da ultimo della classe. In mancanza di vocazioni spontanee in quel ruolo finisce il meno bravo, oppure, nella migliore delle ipotesi, il più alto, se non era stato già scelto per fare il centravanti o lo stopper.

A dodici - quattordici anni le vocazioni personali dei ragazzi cominciano ad emergere, e cominciano ad uscire quelli che amano stare in porta, amano tuffarsi, si esaltano in voli ed elevazioni, amano essere quelli che il gol non lo fanno ma preferiscono negartelo, gli unici che possono prendere il pallone con le mani, amano distinguersi. Tutti gli altri ancora non capiscono come si possa preferire la porta piuttosto che correre e prendere la palla a pedate, ma notano che qualcosa è cambiato, in porta non c’è più un relegato, ma uno al quale piace starci. I caratteri diversi cominciano ad emergere.

A sedici - diciotto anni il gioco si fa un tantino più serio, e si comincia a capire che il portiere è, col centravanti, uno dei ruoli decisivi per far forte una squadra. Gli allenatori di ogni categoria, dai professionisti ai dilettanti, dopo aver pattuito i propri compensi parlano di loro, del portiere e del centravanti, senza i quali ogni ambizione va messa da parte. Qualcuno finisce addirittura per affermare che “In una squadra di calcio esistono nove ruoli e due professioni: il portiere e il centravanti” (Dadà). E la differenza comincia vedersi anche negli ingaggi, che di fronte ai buoni portieri si elevano vistosamente. Qui anche i più restii a capire devono cominciare a riflettere sull’importanza del portiere, sebbene resti per loro faticoso comprendere che gusto c’è a sperare di parare rispetto alla gioia della corsa e dei goals.

A trent’anni, quando ancora, chi più, chi meno, si continua a giocare, e quando si cominciano a contare i tiri parati rispetto a quelli messi dentro, e ci si rende conto di quanta differenza facciano questi particolari, il portiere ha guadagnato il rispetto di tutti, ed è il primo ad essere chiamato anche per il calcetto. 

Ma ci vogliono quarant’anni ed anche più per capire la nobiltà del ruolo del portiere. Perché a quest’eta capita di essere o di avere a che fare coi padri di famiglia, ed allora si capisce come il portiere sia esattamente come un padre di famiglia, quello che mentre i piccoli giocano sull’erba preferisce rimanere a custodire la porta del campo, quello che non ha bisogno della vetrina e dell’esaltazione di chi sta in mezzo al campo, perché non ha bisogno di mettersi in evidenza e vuole, anzi, che a mettersi in evidenza siano gli altri, i più piccoli. Lui, il portiere come il padre di famiglia, sta lì per intervenire solo quando c’è un pericolo, guarda le spalle agli altri, li invita a stare attenti, e fronteggiare gli attacchi ed a stare il più possibile lontani dal rischio di prenderle, e se l’offensiva arriva, il portiere deve farvi fronte con mani e con piedi, con tutti i mezzi, perché lui è l’ultimo argine per non subire pericoli ed è anche il primo ad ordinare la ripartenza.

E qui siamo al punto in cui è d’obbligo riportare la bellissima descrizione di Walter Veltroni: Il portiere è un mestiere per uomini forti. Bisogna avere un carattere sicuro, un'abitudine non annoiata ai propri pensieri. Bisogna saper guidare chi gioca davanti a te, intimorire chi tira verso la tua porta. Bisogna essere capaci, psicologicamente, di discese ardite e di risalite. Bisogna avere una visione consapevole del proprio ruolo. Perché il calcio, gioco fatto spesso di poeti e di prosatori, ha bisogno anche di filosofi. Di persone cioè capaci di riconoscere che il loro dovere è essere infallibili e capaci di dare una risposta alla coscienza di non poterlo essere. Il portiere è davvero il numero uno.

A sessant’anni si è quasi nonni e si è alla fase in cui è più facile riconoscere ai piccoli carezze, regali, premi, riconoscimenti generosi che la severità degli anni più verdi non ha saputo rendere. I nonni sono sempre i più generosi coi piccoli! Più degli stessi genitori. 

E quasi sessant’anni sono occorsi al mondo del calcio e, nello specifico, all’organizzazione del principale premio individuale per calciatori, il Pallono d’Oro, per rendersi conto dell’importanza e della particolarità del ruolo del portiere ed assegnarli i dovuti meriti. L’unica e ultima volta in cui un portiere è stato insignito di tale riconoscimento risale al 1963, cinquantasette anni fa, mentre il Pallone d’oro era stato istituito nel 1956, sessantatré anni fa. In tutto questo tempo un solo tributo ai portieri e, soprattutto, una grande mancanza: non rendersi conto della particolarità di un ruolo che non può avere gli onori di chi fa gol, ma merita gli onori di chi difende il risultato dei suoi compagni che segnano e, più in generale, con la sua presenza e la sua bravura dà valore a chi riesce a segnare nella sua rete, perché una rete segnata contro un buon portiere è sempre tutta un’altra cosa. 

Eppure tutto questo merito non lo si ritrova in numero di trofei, perché è stato un errore assegnare i trofei mettendo in comparazione i portieri con gli altri calciatori, quelli che corrono e segnano, perché si tratta di entità molto diverse tra loro. Perché il portiere in fondo è come il pane, è necessario per accompagnare salumi e formaggi, ma se lo fai partecipare ad una gara di salumi e formaggi vincono loro, è inevitabile. Il pane, se proprio deve gareggiare, deve farlo con altro pane. Una mancanza che sta per essere colmata ed un merito che sta per essere riconosciuto.

È di questi giorni la notizia dell’istituzione da parte periodico France Football, che organizza ogni anno l’evento per l’assegnazione del Pallone d’oro, di un nuovo premio destinato ad incoronare il miglior portiere del mondo. Sarà assegnato da quest'anno insieme con il Pallone d'Oro e si chiamerà "Trofeo Yashin", in omaggio al leggendario portiere russo Lev Jasin, unico portiere vincitore, in quel lontano 1963, del riconoscimento individuale più importante per un calciatore. In realtà qualcosa del genere esisteva già, dapprima con lo stesso nome e poi ribattezzato Guanto d’oro, ma veniva assegnato solo per la fase finale dei campionati mondiali di calcio, mentre ora viene equiparato in tutto e per tutto al Pallone d’oro.

Nel frattempo il mondo dei trofei ufficiali attribuiti per le gesta calcistiche ha visto passare sotto i propri occhi, senza degnarli di giusti riconoscimenti, gente come Ricardo Zamora il divino, probabilmente il più grande in assoluto, Dino Zoff, Buffon, Neuer, Kahn, Peter Schmeichel, Gordon Banks, Jean-Marie Pfaff, José Luis Chilavert ed altri ancora, e non ha saputo premiarli per quanta parte ognuno di essi ha avuto nelle conquiste delle proprie squadre. Piccole ingiustizie del calcio. 

In mancanza di trofei che dessero la misura del valore dei tanti campioni coi guanti passati sui campi di calcio di tutto il mondo, la critica, i video di repertorio, i racconti delle varie epoche, hanno consentito ai più di avventurarsi in ipotesi e valutazioni per stabilire quale, tra i grandi, sia stato il primo, il migliore, l’assoluto. Si sono coniate definizioni del tipo “la parata del secolo”, attribuita a Gordon Banks (forse anche perché compiuta su Pelé), o identificativi tipo Il divino per Zamora, Ragno nero per Jasin, ma, ovviamente, niente di tutto questo equivale alla conquista di un trofeo, soprattutto quello più ambito, come il Pallone d’oro.  

Sul passato restano le immagini e, soprattuto, i ricordi, perché una bella parata è tale soprattutto per ciò che ha rappresentato in un determinato momento.

Personalmente, nelle selezioni sviluppate dai miei ricordi più o meno recenti, che tengono conto però dell’emotività del momento, della solennità e dell’importanza del gesto, metto in cima a tutto la grande parata di Dino Zoff all’ottantanovesimo minuto di Italia Brasile 1982, la partita del secolo, quando salva il 3-2 andando a prendere la palla messa a colpo sicuro da Oscar all’angolino basso sulla sua sinistra e poi si alza maestoso con la palla in alto, a dimostrare che non era gol, nella generale incredulità dello stesso Oscar e di tutti i brasiliani del mondo. Un gesto del genere, compiuto a quarant’anni, all’ultimo minuto della partita del secolo, contro la squadra più forte del mondo, vale il Mondiale ed anche altro. Vale la dovuta referenza verso un modello insuperato di Campione, di sport, di correttezza, di umiltà. Uno che di se stesso dice: Ero sempre alla ricerca, da portiere, della semplicità. E della perfezione, che però non ho trovato. Cercavo di supplire con il piazzamento alla teatralità di un tuffo ad angelo. [...] Non come certi esteti che amano più la foto della parata. Pensi che una volta, all'Olimpico, durante un Inghilterra - Italia mi fecero un tiro che necessitava di un tuffo plastico per prendere la palla. Mi ricordo che, mentre ero in volo, già mi vergognavo.

Ecco, ora che è stato finalmente istituito un Premio annuale per il miglior portiere, mi piacerebbe che prima o poi se ne attribuisse uno alla carriera di Dino Zoff: farebbe onore a lui, ai suoi colleghi portieri di ieri e di oggi, ed a tutto il calcio italiano.
Farebbe onore a chi sa vivere lo sport ai massimi livelli con la massima umiltà, una cosa molto molto rara, quasi impossibile.


Francesco Germano