In questo preciso momento chiude i battenti il calciomercato 2019, e con esso si chiude una delle fasi più intense e più avvincenti dell’intero anno calcistico. Si, perché il calciomercato estivo a volte entusiasma forse più dello stesso calcio giocato, perché del campionato rappresenta pur sempre l’inizio, la preparazione, la fase in cui tutto si programma e tutto si dispone, i sogni e le aspettative si moltiplicano senza limiti, ognuno può liberamente fantasticare gli acquisti adeguati, l’allenatore che è in ciascuno di noi può fare e disfare la formazione a proprio piacimento, e non ci sono scelte che fanno arrabbiare. Insomma, il mercato estivo è un po’ come Il sabato del villaggio, la vigilia più bella della stessa festa, “il più gradito giorno, pien di speme e di gioia”.

È così da sempre! È la magia dell’inizio, della rinascita, delle nuove energie che si compongono e si preparano alla sfida, del veliero che parte alla ricerca di nuove ricchezze. Sul significato e sulla magia di ogni inizio non mancano descrizioni più elevate. In alcuni casi la preparazione dell’evento è considerata come l’essenza stessa dell’evento: “Tutto è già cominciato prima, la prima riga della prima pagina di ogni racconto si riferisce a qualcosa che è già accaduto fuori dal libro” (Italo Calvino), oppure come il senso di ogni cosa, ciò che anima l’azione: “L’unica gioia al mondo è cominciare. È bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante”.
Ma fin qui siamo al concetto ideale di inizio, troppo distante dall’oggetto del discorso, che è pur sempre il calcio, l’attività “pedatoria" per definizione (di Brera). Per una volta il concetto più pratico del termine ce lo dà il filosofo, e non un filosofo materialista, ma Platone, il filosofo delle idee, che sul significato dell’inizio è fin troppo pratico: “L’inizio è la parte più importante del lavoro”. Più tardi, e siamo praticamente ai giorni nostri, proverà a relativizzare il concetto un grande scrittore tedesco, premio Nobel per la letteratura, ma pur sempre tedesco: “Il tempo non ha divisioni per segnare il suo passaggio, non c’è mai una tempesta di tuoni o squilli di trombe per annunciare l’inizio di un nuovo mese o anno. Anche quando inizia un nuovo secolo siamo solo noi mortali che suoniamo le campane e spariamo a salve” (Thomas Mann). 

Per noi calciofili, che viviamo di speranze e di illusioni, di ciò che vediamo e di ciò che vorremmo vedere, che gioiamo per dei calci dati ad un pallone e vorremmo nella nostra squadra chi quei calci sa darli meglio o chi sa rincorrere meglio una palla, la fase della preparazione della battaglia ha sempre un senso molto particolare, un insieme di desideri, aspettative, entusiasmo e fantasie, che contribuisce non poco a rendere avvincente il campionato. 

Ci sono, poi, quelli che, presi dall’entusiasmo, amano approfondire, e si avventurano in minuziose questioni economiche e finanziarie, bilanci, ammortamenti, plusvalenze, monte ingaggi, gioiscono finanche per la cessione dei propri beniamini, purché siano vantaggiose e portino plusvalenze. Altri vanno addirittura oltre, riescono finanche a decifrare i sentimenti o i retroscena dei singoli trasferimenti, le strategie, i bluf ed i presunti bluf di agenti e dirigenti, le manovre, i depistaggi. È la riprova che il tifo calcistico è una passione, un qualcosa che va oltre il razionale, praticamente una malattia, che ci portiamo addosso felici di esserne affetti e senza alcuna intenzione di curarla. 

Il calciomercato dell’estate 2019 ha dato un’impennata notevole ai sentimenti e alle aspettative di rivalsa che animano questa fase preparatoria del campionato, soprattutto per l’accentuata, manifesta ed evidente volontà di svolta e di riscatto che ha connotato le operazioni di compravendita di molte squadre. 

Veniamo da otto campionati consecutivi vinti senza appello dalla Juventus, con conseguente e crescente mortificazione di quei club e quelle tifoserie abituate quantomeno a disputare con la Vecchia Signora. Era inevitabile che tanta volontà di rivalsa, accumulata in questi interminabili otto anni di dominio juventino, prima o poi esplodesse. Allo stesso modo, gli ultimi anni hanno segnato un protratto declino di squadre abituate a livelli migliori, come la Roma, il Milan e la Fiorentina, ed anche per loro quest’anno doveva essere, e per alcune è stato, l’anno della svolta. 

Quello che sta per concludersi è stato, dunque, il calciomercato dominato dalla volontà di rivalsa delle squadre insoddisfatte dei risultati ottenuti negli ultimi anni, da quelle come l’Inter, che ora vuole porre termine al dominio della Juventus in campionato, a quelle come la Roma, il Milan e la Fiorentina che vogliono semplicemente tornare ai propri livelli migliori, e la stessa Juventus che vorrebbe porre termine alla propria inconsistente presenza nell’albo d’oro della Champions League.

Sotto il primo profilo, la volontà di svolta più evidente è quella rappresentata dall’Inter di Conte e Marotta, ricongiuntisi nella Milano nerazzurra per sovvertire l’appiattimento del campionato, vinto otto volte di fila dalla Juventus, e decisamente ben calati nella parte. I due ex juventini, ben consapevoli dei modi di fare e di essere della Vecchia Signora, sono riusciti, per ora a sventarne azioni e movimenti di calciomercato, ed hanno messo in campo una squadra che sembra davvero in grado di lanciare la sfida ai bianconeri. Sia chiaro, lanciare la sfida non significa essere già all’altezza dello sfidato, ma lo spirito nuovo portato da Conte e lo spessore dei nuovi acquisti, Barella, Sensi e Lukaku su tutti, lasciano prefigurare la possibilità che qualcosa di diverso questo campionato possa dirla.

Tra le squadre che incarnano la volontà di svolta diretta a tornare ai propri livelli migliori, appaiono riusciti i tentativi portati avanti dalla nuova Fiorentina del neo presidente italoamericano Rocco Commiso e dalla Roma dell’altro americano Pallotta. 

La Fiorentina in realtà ha portato avanti un mercato piuttosto normale rispetto alle previsioni del proprio direttore sportivo, che aveva annunciato una generale smobilitazione (sessanta calciatori da cedere), ma che, per il momento, ha messo in campo una formazione fatta per otto undicesimi da giocatori o giovani riconducibili alla vecchia gestione, segno che, a dispetto degli aspiranti cortigiani del nuovo sovrano, la continuità tra diverse gestioni non necessariamente deve essere un male.
La svolta fiorentina può dirsi, invece, ben avviata per l’entusiasmo portato dal nuovo presidente, per la sua ostinata volontà di tenere Federico Chiesa, per l’acquisto di Frank Ribéry, per la disponibilità a fare follie, per il suo essere tifoso passionale, o semplicemente per essere diverso dalla precedente proprietà che, dopo una gestione oculata durata diciassette anni, gli ultimi dei quali in fase calante, aveva inevitabilmente perso il favore dell’ambiente.
Ai Della Valle bisogna comunque dare atto di essere stati, quantomeno dal 1980 ad oggi, gli unici proprietari della Fiorentina ad aver lasciato la società in maniera responsabile, senza smobilitazione di uomini e di risorse. Non fu così coi Pontello nel ’90, e meno che meno lo fu con Cecchi Gori nel 2001.
Tornando ad oggi, l’entusiasmo e la disponibilità di Commiso porteranno sicuramente altri rinforzi, le intenzioni sembrano essere buone, ma per ora, con una squadra tutto sommato costruita in fretta, occorre accontentarsi delle buone intenzioni. Ma la svolta, è indubitabile, a Firenze c’è stata. Per ora è presente solo nell’aria nuova portata da Commisso, ma c’è stata.  

Altra svolta riuscita, almeno ai nastri di partenza, può considerarsi quella della Roma, e qui non parliamo solo di entusiasmo ma di ottime operazioni in entrata, soprattutto perché dirette non al facile sensazionalismo ma a comporre reparti ben fatti. La Roma non ha mirato a nomi grossi che scaldano la piazza già prima di entrare in campo, ma a calciatori ottimi per fare una buona squadra. Un esempio per tutti è dato dagli acquisti di buoni terzini come Zappacolta e Spinazzola, fatto altamente sintomatico, perché rende chiaro che si lavora non in ruoli appariscenti ma per ruoli meno gettonati e pure enormemente funzionali al gioco della squadra. 

Stessa cosa non può dirsi del Milan, che coi nuovi dirigenti Maldini e Boban aveva, di fatto, dato corso ad una fase di rinnovamento, ben avviata con l’entrata di buoni giovani come lo spagnolo Hernandez e l’ex empolese Bennacer, ma arenatasi, tuttavia, al primo tentativo di voler puntare su nomi poco poco più importanti. Per il Milan non sarebbe male una fase young della propria storia, una squadra dei migliori giovani italiani, ideale per generare entusiasmo senza rincorrere risultati impossibili e comunque incomparabili coi fasti del Milan stellare, ancora troppo ben presente nei ricordi dei tifosi rossoneri e degli amanti del calcio in genere.

Paradossalmente, il calciomercato 2019 doveva essere quello della svolta anche per la Juventus! Un paradosso perché parliamo di una squadra che ha dominato il campionato italiano per otto anni consecutivi, ma giustificato dall’ossessione Champions League, la coppa che fa la differenza tra i grandi club e gli aspiranti tali e che la Juventus proprio non riesce a vincere. E così via Allegri per Sarri, che una coppa l’anno scorso l’ha vinta, e soprattutto via ad un mercato aperto col botto De Ligt, ma portato avanti con molte difficoltà inaspettate. E tuttavia, la svolta in casa juventina non può dirsi riuscita per una ragione che va al di là delle difficoltà di mercato, una ragione più strutturale, rappresentata dalle incertezze sul rinnovamento complessivo da portare avanti. In altri termini, la Juventus ha cambiato allenatore e modello di gioco, ma ha mantenuto gli stessi uomini fondamentali che con la maglia bianconera quella coppa non l’hanno mai conquistata. Se l’obiettivo è la coppa e quegli uomini non sono stati giusti per vincerla da giovani, non lo saranno neanche col loro andare verso l’età del declino atletico. Se svolta doveva essere occorreva procedere ad un taglio più accentuato con l’intera rosa precedente, ad un ringiovanimento generale, all’inserimento dei migliori prospetti, seguito da una programmazione pluriennale finalizzata alla conquista dell’agognato trofeo.  Diversamente conveniva continuare con Allegri e con l’inserimento graduale di qualche giovane in squadra. Paratici & co hanno preferito la logica del “tutto e subito”, ed hanno partorito una svolta promiscua, con allenatore nuovo e macchina vecchia. Ciò non vuol dire che la Juventus non sia ancora la favorita per il campionato, ma la svolta annunciata con l’arrivo di Maurizio Sarri è rimasta ferma lì, perché non vi è svolta reale se non c’è profonda e sicura convinzione di voler cambiare, andare oltre, passando per l’inevitabile taglio col passato. Lo dice il saggio: “Solo chi ha la forza di scrivere la parola fine può scrivere la parola inizio” (Lao Tzu). Probabilmente la dirigenza juventina è rimasta ferma su un fondamentale punto di indecisione tra la svolta da fare e la smobilitazione di una squadra che i suoi risultati li aveva ottenuti. E l’indecisione è un fattore di debolezza.

Alla descritta debolezza decisionale ed operativa, la Juventus, in questa sessione di mercato, ha dovuto aggiungere il conto delle proprie condotte leonine in fatto di mercato, il conto presentato dalle tante società alle quali, negli anni, ha sottratto o cercato di sottrarre calciatori importanti a parametro zero o a prezzo ridotto. Da un po’ di tempo la politica di mercato degli uomini di casa Agnelli è quella di trattare direttamente coi calciatori ed i loro agenti, di portarli a rompere i rapporti con le proprie squadre, a non rinnovare o ad arrivare a scadenza, per prenderli a zero euro o a prezzi ridotti, ma con sostanziale innalzamento degli ingaggi personali e delle commissioni per gli agenti. È il caso di Rabiot, Ramsey, Dani Alves, Emre Can, Khedira, Bernardeschi, Neto. Ciò ha determinato, alla lunga, una dipendenza da agenti e commissioni, e, soprattutto, il dispetto delle società danneggiate, che al momento opportuno hanno fatto valere la loro rivalsa e dopo tante sessioni di mercato fatte di sostanziale collaborazione, hanno deciso di mettersi contro. A ciò si aggiungano le vicende di Icardi e Chiesa, con i quali la Juventus aveva tentato approcci non autorizzati, sollevando l’ira quantomai funesta delle relative società. La storia di Icardi è molto simile a quella consumata con Cannavaro un po’ di anni fa, ma questa volta la reazione dell’Inter è stata un diversa. Scoperti e sventati i tentativi di portare alla Juve il proprio centravanti, i nuovi dirigenti interisti hanno scelto di scoprire le carte togliendo alla Juventus il vantaggio di poter lavorare sotto traccia, ed hanno deciso di punire il proprio tesserato, dichiarando pubblicamente di non considerarlo utile alla causa, offrendolo al miglior acquirente e contribuendo, per altro verso, a rendere la Juventus incapace di acquistarlo. Si pensi a Dzeko, che, saltato lo scambio con Icardi per rifiuto di quest’ultimo, non è arrivato all’Inter per non liberare il posto di centravanti giallorosso ad Higuain, costringendo di fatto la Juve a tenersi il proprio attaccante in esubero, a sostenerne gli oneri, a non percepirne il valore e, quindi, a non avere risorse e spazio per prendere Icardi, prima sedotto e poi abbandonato. In generale, in questa sessione di mercato, la Juventus ha sofferto enormemente la difficoltà di piazzare i propri esuberi, che sono tanti, soprattutto per via della politica degli ingaggi alti pagati per sottrarre uomini alle avversarie, con la conseguenza che gli uni e le altre, -gli ingaggi per motivi economici e le avversarie per ovvie ragioni di rivalsa-, si sono alla lunga trasformati in fardello e limiti per operare sul mercato. Sta di fatto che nessuno si è fatto avanti per prendere i vari Matuidi, Alex Sandro, Khedira, Mandzukich, Bonucci, e per fare cassa Paratici ha dovuto cedere o mettere sul mercato nientemeno che i gioielli di famiglia, i giovani, quelli che servivano per abbassare l’età media e per costruire il futuro, i vari Spinazzola, Cancelo, Kean, Orsolini e finanche Dybala e Rugani, che la Roma si è permessa addirittura di rifiutare! Su Dybala sembrava esserci il PSG, ma coi campioni di Francia pesava probabilmente il torto subito con Rabiot, ed alla fine hanno preso Icardi! Se tutto questo è stato orchestrato da Marotta, è il caso di togliersi il cappello e di inchinarsi al suo cospetto… 

Comunque vada, è certo che la Juventus di questi anni, probabilmente mossa da cieca volontà di potenza, ha perso di vista taluni parametri di buona gestione, compreso il senso di collaborazione e lealtà verso le altre società, ed alla fine ha trovato i suoi nodi al pettine.  Ed alla fine si sa, chi semina vento raccoglie tempesta! Non che non ci debba essere concorrenza anche sul mercato, ma entro limiti comunemente accettati, altrimenti si va verso l’inevitabile reazione delle parti offese. Tra i tanti saggi citati oggi, uno è doveroso anche per la Vecchia Signora, o lo prendiamo da un autore che di signore se ne intende: L’essere umano deve sempre affrontare due grandi problemi: il primo è sapere quando cominciare; il secondo è capire quando fermarsi (Paulo Coelho).

A fronte di squadre che hanno tentato la svolta, ce ne sono altre, come, per esempio, il Napoli, la Lazio e l’Atalanta, che hanno preferito lavorare nel senso del miglioramento dell’esistente, anche perché per questi club l’esistente ha più pregi che difetti e merita, giustamente, di essere portato a maggior crescita. Nel caso del Napoli, se la fase di miglioramento fosse andata oltre il buon mercato sinora svolto, se fosse realmente arrivato un top player come James Rodriguez o, meglio ancora, Mauro Icardi, il discorso per la lotta al titolo di campione d’Italia si sarebbe fatto ancora più interessante. 

L’ultima considerazione in tema di svolta cercata in questa sessione di calciomercato ha una portata generale, e riguarda il tentativo piuttosto palese di portare il gioco dei nostri club verso il tanto agognato modello inglese, fatto, sostanzialmente, di squadre molto alte, ritmi di gioco altrettanto alti, necessità di avere un ariete di sfondamento per concretizzare il possesso palla con soluzioni aeree, perché altrimenti il gioco rischia di rimanere imbrigliato negli spazi stretti, esposizione alle ripartenze e conseguente necessità di disporre di difensori molto veloci. 

La svolta verso il calcio inglese è determinata dalla necessità di tenere il passo dei grandi club d’oltremanica, assoluti dominatori delle coppe europee nell’ultima stagione, ed è stata favorita dal ritorno in Italia di grandi allenatori come Maurizio Sarri, Antonio Conte e, un po’ prima, Carlo Ancelotti, che conoscono bene quel calcio e ne hanno, inevitabilmente, subito l’influenza. La conferma di questo tentativo di svolta è nella loro ricerca di taluni elementi che sembrano fatti apposta per quel gioco, primo tra tutti, l’ariete d’attacco, il centravanti potente fisicamente. L’Inter ha fatto follie per Lukaku, che un po’ simboleggia quel tipo di attaccante, e benché venga da stagioni non proprio esaltanti nel Manchester (12 gol l’anno scorso), lo ha pagato quasi ottanta milioni di euro! Anche la Juve di Sarri sembra orientata a mettere da parte il modello ronaldocentrico per porre al centro dell’attacco un ariete classico, che doveva essere Icardi ed invece sarà Higuain. E finanche il Napoli di Ancelotti, reduce da fortunati esperimenti di falso nueve incarnato da Martens o da Insigne, sembra voler puntare su un asse centrale fatto da trequartista classico (che doveva essere James Rodriguez) e punta classica, che è Milik o, in sua assenza, il redivivo Llorente, appena acquistato.  Insomma, il tiki taka di matrice catalana, il modello Barcellona, per quest’anno sembra non andare di moda. Quest’anno il calcio italiano di vertice preferisce parlare inglese, perché negli ultimi anni i club del Regno Unito in Europa l’hanno fatta da padroni, ed i modelli vincenti sono sempre quelli più copiati. Naturalmente, a fronte dei grandi club che proveranno ad imporsi anche con sistemi di gioco aggressivi, ci saranno tutti gli altri che proveranno a resistere in maniera diversa. Dall’alto della sapienza calcistica francese, il prof. Fabien Archambault afferma che “Il catenaccio è una risposta del debole contro il forte. E in quanto tale permette di vincere e diventa consustanziale con l’idea dell’Italia”. Niente di nuovo sotto il sole! Non diversamente, il nostro Gianni Brera sosteneva che gli italiani non erano fisicamente all’altezza degli altri popoli e che, di conseguenza, non potevano impostare un calcio sistematicamente offensivo per 90 minuti, ma per arrivare al successo dovevano giocare d’astuzia economizzando le energie ed utilizzando tattiche di opportunità. Una regola aurea, che ha fatto la fortuna di molte squadre, non solo delle piccole del campionato, ma di tante grandissimi, forse le più grandi, dall’Inter di Herrera - arrivato con propositi rivoluzionari e riportato sulla retta via dallo stesso Brera - alla Juventus di Trapattoni, dalla Nazionale di Enzo Bearzot all’Inter di Mourinho. Segno che forse per competere con le inglesi più che copiarli occorrerebbe rimanere sé stessi. 

Il calciomercato dell’estate 2019 si chiude su questi dati di fatto, che corrispondono a ciò che le squadre hanno preparato per la prossima stagione. All’Inter, alla Fiorentina ed alla Roma la svolta è riuscita, alla Juventus ed al Milan un po’ meno, altre come il Napoli, l’Atalanta e la Lazio non l’hanno cercata perché non serviva. Ma questo non vuol dire ancora nulla sui rapporti di potenza tra le varie squadre, ed anzi, al momento si può solo supporre una riduzione del divario tra le comprimarie e la recente dominatrice del torneo. Qualcosa in più la sapremo cammin facendo. Di certo c’è che in questo momento la fase di preparazione è terminata, da domani le navi spiegheranno definitivamente le loro vele, e piano piano, partita dopo partita, vedremo chi ha avuto ragione.

Buon campionato a tutti!

Francesco Germano