In mancanza di calcio giocato è facile incorrere nelle rievocazioni storiche, oppure in improbabili commistioni tra argomenti di vario genere che albergano nella memoria del tifoso. Del resto, l’attesa dell’evento, delle partite, della classifica, porta inevitabilmente la mente a chiedersi come andrà questa volta, se è veramente già tutto scritto o se ci sono speranze anche per gli altri. E le risposte si cercano nell’esperienza, nel ricordo, nella valutazione dei cicli, sperando che alcuni si chiudano ed altri si aprano. Con la teoria dei corsi e dei ricorsi storici” Giambattista Vico, probabilmente uno dei massimi pensatori italiani di tutti i tempi, sosteneva che alcuni accadimenti si ripetono con le medesime modalità, anche a distanza di tanto tempo, e ciò avviene non per puro caso, per per una sorta di preordinazione degli eventi e per volere della Provvidenza. Vico era un grande osservatore della storia, del suo evolversi e del suo ripetersi, e la summa della sua teoria è comunemente sintetizzata nel rerum ipsum factum, in definitiva la storia che coincide con la verità, oggetto di ricerca di ogni indagine speculativa. Il preambolo non sembri pleonastico o ridondante, ma serve per introdurre su solide basi qualche considerazione sulla ciclicità nel calcio, che è un dato di fatto e che - come diceva Vico - non deriva da fattori casuali, ma da tutta una preordinazione di elementi (escluso il divino che col calcio, dopo Baggio, non c’entra niente), i quali, se osservati attentamente, indicano la strada da seguire per tenersi in rotta.

La ciclicità riguarda tutto il calcio, quello sudamericano, quello europeo e quello del campionato interno, e i fattori preordinanti possono essere tanti, dalla nota predisposizione dei sudamericani di un tempo, ai più decisivi fattori economici di oggi. In ambito europeo, per esempio, può notarsi come in periodi di solidità economica si affermino cicli più o meno lunghi di dominio calcistico di talune squadre, cicli talvolta quasi decennali, mentre in periodi di aperta crisi economica si assiste all’alternarsi tra varie realtà. Si pensi alla Champions, che ai suoi inizi, in periodi di crescita dell’economia europea, ha visto prima un lungo di ciclo di vittorie del Real Madrid, seguito negli anni sessanta dall’affermazione delle italiane (sei trofei dal '62 al '69), e quindi i cicli triennali di Ajax e Bayern Monaco, il lungo dominio inglese, dal ’76 all’84, il ritorno delle italiane, che dall’85 al ’95 si sono aggiudicate altri cinque titoli. Dagli anni novanta al 2013 la situazione è stata, invece, di alternanza tra varie formazioni, fino al 2014, col grande dominio delle spagnole, interrotto l’anno scorso dal Liverpool, con quello che potrebbe essere il primo atto di una serie inglese. Discorso diverso nel campionato interno, dove i periodi di massima crescita hanno consentito un livellamento del campionato e l’affermazione di realtà diverse, evidente nell’alternarsi di otto squadre alla vittoria del campionato italiano nel decennio 1982-92, mentre per il resto, salvo brevi parentesi, è stata quasi sempre alternanza tra la Juventus e le milanesi. 

L’osservazione della ciclicità nel calcio è qui rivolta alla Fiorentina, per fede calcistica e per tratti di particolare interesse, soprattutto nel momento in cui vi è una nuova proprietà appena insediata e ci si chiede dove il nuovo corso possa portare, tenendo conto del contesto in cui la società si dovrà muovere. A Firenze l’esistenza, più o meno avvertita, di cicli calcistici sta nel naturale evolversi dell’entusiasmo e della depressione degli appassionati viola, oramai quasi abituati e consapevoli della durata di una proprietà, degli anni di permanenza di un campione, delle fasi crescenti e delle inevitabili fasi decrescenti. A Firenze queste cose hanno addirittura dei numeri, dei periodi di durata più o meno regolari, e certe coincidenze sono sorprendenti, oltre che rivelatrici di un naturale e armonico decorso delle cose umane. E non è da escludere che anche l'ambiente, coi suoi umori e con l'alternarsi di desiderio ed appagamento, contribuisca alla determinazione dei cicli.

Intanto Rocco Commisso tenga conto che il periodo di permanenza in carica quale presidente della Fiorentina dura mediamente dieci anni. È stato così per Enrico Befani, in carica dal 1952 al 1961, per Ugolino Ugolini dal 1971 al 1980, per i Pontello dal 1980 al 1990, per Cecchi Gori dal 1990 al 2002. Il limite non è, chiaramente, insuperabile, visto che i Della Valle, in carica dal 2002, hanno resistito per diciassette anni, ma a ben vedere i primi segni di insofferenza dei fratelli marchigiani risalgono al 2015, e grosso modo siamo lì. Altro dato evidente e piuttosto noto nella ciclicità della Fiorentina è il ripetersi di stagioni al vertice ogni tredici anni. Nel 1956 il primo scudetto, nel 1969 - tredici anni anni dopo - il secondo, nel 1983 - ancora dopo tredici anni - il terzo “rubato” all’ultima giornata, fino al 1996 con la vittoria della Coppa Italia, ultimo trofeo in bacheca a Firenze. In realtà, dall’80 in poi il ciclo viola si è strutturato in sottocicli di cinque anni. Con l’avvento dei Pontello si è inaugurata la regola del cinque, nel senso delle stagioni di vertice (dall’81 all’86) alternate alle stagioni di magra (86-90), ripetuta in maniera alternata da Cecchi Gori, con cinque stagioni disastrose all’inizio, alle quali hanno fatto seguito le affermazioni conseguite dal 1995 al 2000, con vittoria della Coppa Italia, grandi affermazioni internazionali (il gol di Batistuta al Camp Nou e la vittoria Wembley sull’Arsenal), e le stagioni di vertice con Trapattoni in panchina. Poi ancora ciclo negativo per altri cinque anni fino al 2005, quando con Corvino a fare mercato e con Prandelli in panchina, la squadra si è assestata per più stagioni al quarto posto in campionato, e in Champions è arrivata alla fase finale, ingiustamente eliminata dal Bayern Monaco dopo per un grossolano errore dell’arbitro Ovrebo. Era il 2010, tredicesimo anno successivo all’ultimo trofeo, probabilmente la squadra più forte dell’era Della Valle, si tentava la gloria nientemeno che in Champions League, ma la scalata fu tradita - come nell’82 - dal torto arbitrale.

Dal 2010 la durata del sottociclo si è ridotta a tre anni, tanti quelli negativi in campionato da Mihailovic in poi, tanti quelli positivi dal 2013 al 2016, con la squadra ancora assestata al quarto posto in campionato, e poi la parabola discendente, fino al sedicesimo posto di oggi. Dunque, stando al ciclico ripetersi delle faccende viola, è da prevedere che Rocco Commisso ci metterà almeno tre anni, o al massimo cinque, per costruire una squadra forte, e toccherà l’apice nel 2023, tredicesimo anno dall’ultima Fiorentina di grande valore, sperando di non subire ancora torti. Il mercato condotto quest’anno lascia presagire un esordio della nuova proprietà alla maniera dei Pontello nell’80, quando, confermato Antognoni, si provvide ad un primo moderato rafforzamento con Bertoni, Contratto e Casagrande, mentre l’anno successivo arrivarono a Firenze Pecci, Graziani, Vierchowod e Massaro, di lì a poco quasi tutti Campioni del Mondo. Anche Commisso al suo esordio, dopo aver confermato Chiesa, sta lavorando su un mercato molto misurato, acquisti a buon mercato come Boateng e Badelj e qualche soldo in più per un giovane come Lirola, che costituisce comunque un buon segno, perché quando si investe sui terzini vuol dire che le intenzioni sono buone. 

Ultima notazione in termini di ciclicità in casa viola. Alla Fiorentina non è mai mancato un campione mandato dalla Provvidenza per guidare la squadra. Senza andare troppo lontano, quando si trattava di sostituire Giancarlo De Sisti, il dieci dell’ultimo scudetto, la Provvidenza, sotto le vesti di Nills Lieddholm, mandò Giancarlo Antognoni, e quando anche quest’ultimo stava per lasciare, ancora la Provvidenza, questa volta sotto le vesti di Per Cesare Baretti, mandò Roberto Baggio. La cessione di Baggio fece affermare che a Firenze oramai non conta l’uomo ma la maglia, ma la Provvidenza non era d’accordo, e mandò comunque Gabriel Omar Batistuta, e con lui Manuel Rui Costa, scelto personalmente da Antognoni, ed Enrico Chiesa, l’ultimo grande acquisto di Cecchi Gori prima del tracollo. Il cerchio sembrerebbe chiudersi qui, perché negli anni del dopo Batistuta, tranne il fugace passaggio di Luca Toni, la Fiorentina non si è identificata in grandi campioni stabili. Ma la Provvidenza era sempre lì, ostinata a volerci mandare ancora un campione, e lo faceva nascere dall’ultimo campione dell’era Batistuta. Il 25 ottobre 1997, mentre in Argentina Diego Armando Maradona dava l’addio al calcio e a Firenze Batistuta era capocannoniere provvisorio della serie A ed aveva già zittito il Camp Nou, a Genova nasceva Federico Chiesa, figlio di Enrico, che di lì a poco lo avrebbe portato alla corte di Antognoni per esserne in qualche modo l’erede nel regno della Firenze viola. Non è ancora noto se il giovane Federico accetterà l’investitura,  ma per ora sembra che sia destinato a rimanere, e del resto anche per i suoi predecessori non sono mancate le tentazioni per portarli via. Quello che conta è il risultato. Noi non sappiamo cosa farà Chiesa in futuro, ma di certo sappiamo che a Firenze la Provvidenza ha fatto il suo lavoro ed è stata molto generosa. 

Francesco Germano