Una volta, molti anni fa, una signora proveniente dalla Grecia, erede consapevole di una delle più elevate civiltà di ogni tempo, -e forse anche per questo in viaggio in Italia-, mi disse: “i viaggi rendono meno egoisti”: una mirabile sintesi del senso di apertura che deriva dall’evasione culturale e dalla capacità di far proprio ogni aspetto della vita terrestre. Homo sum, nihil umani alieno a me puto.

Ogni viaggio è una scoperta, un’apertura verso mondi e modi di essere diversi, verso sensazioni ed orizzonti nuovi, a patto che ci si disponga ad immergersi nell’ignoto e nel diverso. È quello che accade in ogni viaggio realmente vissuto, non importa se vicino o lontano, se verso città d’arte italiane o straniere o verso qualsiasi posto che meriti di essere visitato. Quello he rimane di ogni viaggio è lo stupore o l’ammirazione per la bellezza incontrata di fronte a monumenti, dipinti, opere d’arte, delle civiltà appena conosciute. Subito dopo arriva, puntuale, il desiderio di possesso, il chiedersi perché non disporre nel proprio paese, nella propria piazza, nel proprio salotto o nel proprio giardino di tanta bellezza? 

Ma è possibile possedere la bellezza? E cos’è in realtà la bellezza?

Non elencheremo le definizioni di bellezza via via coniate dagli studiosi, né i canoni di bellezza individuati e catalogati a seconda delle epoche storiche. Umberto Eco vi ha dedicato studi appassionati, e credo che, per quanto ci riguarda, non si possa ambire ad andare oltre.

Qui ci limitiamo solo ad ipotizzare una risposta alle due domande. No, non è possibile possedere la bellezza perché la bellezza non si possiede ma si realizza. La bellezza è, fondamentalmente, un lavoro ben fatto ma mai interrotto. Un lavoro incessante, che parte dalla concezione e creazione dell’opera, e passa per la sua manutenzione, conservazione, ammirazione e valorizzazione negli anni. L’oggetto reale della bellezza non è il corpo morto ma l’opera necessaria a realizzarlo e a mantenerlo. Vi è bellezza infinita nella Pietà o nel David di Michelangelo, come nel Cristo velato di Sammartino, in Amore e Psiche di Canova o nella Primavera di Botticelli, ma la bellezza è data dall’opera dell’uomo, dal contesto in cui è nata e si è svolta, dal genio e dall’opera occorsi per realizzarla, dal valore che le si è attribuito negli anni, dai tanti pellegrinaggi fatti per ammirarla. La stessa opera non sarebbe parimenti bella se partorita e sfornata da un computer. Più banalmente, vi è bellezza anche in una biblioteca o in una libreria molto nutrita, con lettori provenienti da posti diversi, ma non è il semplice elenco dei titoli a fare la bellezza, quanto le singole storie di lavoro e di ingegno che tengono insieme il tutto. Ancora più banalmente, vi è bellezza in una cucina locale, un piatto tipico, una bella trattoria, soprattutto per le storie di ingegno, lavoro, fantasia, costanza, che tengono insieme il tutto. La bellezza senza lavoro, sudore, ingegno , passione e fantasia, non esisterebbe e non si conserverebbe. Perirebbe per disinteresse e per degrado fisico. Ed infatti, studi piuttosto diffusi hanno dimostrato come la Terra, in mancanza di opera dell’uomo, eliminerebbe ed assorbirebbe le nostre costruzioni, belle o brutte che siano, in poche centinaia di anni. 

Nutrivo questi pensieri da tempo, ma non osavo esternarli, fino a che non mi sono imbattuto in definizioni più che autorevoli che mi hanno in qualche modo autorizzato a dire la mia. Mi riferisco, anzitutto, alla definizione di bellezza data da Hans Georg Gadamer, secondo il quale La bellezza palpita nella realizzazione di qualcosa, l’arte non rappresenta la vita ma tende a realizzarla”. Dunque, per l’eminente filosofo tedesco, secondo molti il più grande filosofo del novecento, il fulcro della bellezza sta nella realizzazione, in ciò che tende a realizzarla. Una vera rivelazione per i miei pensieri informi di bellezza non limitata al solo oggetto che la rappresenta. La bellezza assume un significato che va ben oltre l’oggetto, e discende dalla nostra capacità di pensarla, crearla, accrescerla, dalle grandi opere alle gesta della nostra quotidianità.  In questo senso anche Goethe, un altro tedesco, nel Viaggio in Italia, descrive la bellezza come ciò che si manifesta nelle stratificazioni della storia, qualcosa che può essere percepito nella sua altezza solo se condiviso

Uso questa premessa piuttosto lunga (e me ne scuso) per parlare un po’ del tema della bellezza nel calcio e, soprattutto, nel calcio che si vuole fare a Firenze con la Fiorentina. 

Da quando ha messo piede a Firenze Rocco Commisso ha detto e ripetuto che il “Questa città è un sogno, e i fiorentini meritano una squadra all’altezza della bellezza che riesce a ispirare nei cuori e negli occhi di chi la vive”. Immancabile, a fargli eco, la stampa locale a parlare della “bellezza di Firenze e la bellezza della Fiorentina unite in un’unica idea di futuro”

Dunque, l’idea di Rocco Commisso è quella di fare della Fiorentina una squadra di calcio a immagine e somiglianza della bellezza espressa dalla città. È possibile una cosa del genere? 

Qui non si tratta di prendere un novello David Bekham perché è bello come il David di Michelangelo e ne condivide pure il nome, né di stabilire se una volgare attività “pedatoria” come il calcio possa compararsi con la bellezza universalmente riconosciuta a Firenze. Qui si tratta di provare a comparare il concetto di calcio con quello di bellezza, e vedere dove e quando i due termini sono compatibili e vanno d’accordo. Tutto lo sproloquio iniziale sulla bellezza comincia a tornare utile.

Se è vero che La bellezza palpita nella realizzazione di qualcosa, il confronto con l’arte superba che c’è intorno non ci spaventa, perché il punto di unione è quello di essere all’opera per la ricerca della perfezione, del massimo, con lo stesso spirito e la stessa intensità dei fiorentini che hanno creato la loro città e i la loro arte. 

Cercare la perfezione sapendo di non trovarla mai, o che sarà compresa solo dai posteri, è questo il tratto comune di chi voglia cercare la bellezza. Essere autori e creatori di bellezza sapendo che l’aggettivo sta nell’opera e non nel risultato, nel mezzo e non nel risultato, nel viaggio e non nella meta.

Essere autori dell’opera d’arte con i mezzi possibili, e renderla unica con la forza dell’ingegno, della passione, della fantasia.

Ed ecco che a poco a poco vengono fuori gli esempi del bel calcio, dell’Olanda di Cruyff, del Barcellona di Guardiola, del Milan di Sacchi, non solo perché vincenti, ma perché opere di applicazione, inventiva, fantasia, studio, tecnica, tutto ciò che l’artista mette nel proprio lavoro, che è tanto: “il genio lavora dieci ore al giorno” diceva Picasso a chi gli chiedeva il suo segreto. Anche squadre poco vincenti possono esemplificare la vicinanza tra calcio e bellezza, come il Foggia di Zeman, e magari, venendo ai giorni nostri, anche la Spal di Leonardo Semplici, una delle realtà più belle di questo inizio campionato. 

Ancor più facilmente calcio e bellezza si coniugano nelle figure emblematiche di calciatori entrati nell’immaginario collettivo non tanto per i titoli vinti ma per la bellezza del loro calcio, ed i migliori esempi in questo senso li abbiamo in Giancarlo Antognoni e Roberto Baggio, entrambi mai paghi di sé stessi, sempre alla continua ricerca di un’estetica sportiva superiore, fatta di classe ed eleganza, magari a scapito di conquiste materiali, ma verso la realizzazione di un calcio poco commerciale ma molto artistico; verso l’avvicinamento dello sport più popolare alla forma più nobile dell’azione umana, costituta dall’arte

Dire che i fiorentini meritano una squadra all’altezza della bellezza che riesce a ispirare nei cuori e negli occhi di chi la vive corrisponde ad avere un progetto molto ambizioso, ma non impossibile, per la Fiorentina. Rocco Commisso ha fatto bene, benissimo, a porre la bellezza come termine di paragone per la Fiorentina dei suoi desideri. È stato il modo migliore per entrare in sintonia con la città. Come la signora greca citata all'inizio,  che viaggiava in Italia e sapeva apprezzarne il modo di essere, Commisso è arrivato in Italia per viverne la sua essenza migliore. 

Ora si tratta di procedere perché il lavoro sia ben fatto, come ogni opera d’arte che si rispetti, ed anche di accettare che la ricerca della bellezza non sempre corrisponde al conseguimento di un titolo. Quando la bellezza e la vittoria si incontrano siamo alla sublimazione dell’arte, siamo all’Italia Campione del Mondo dell’82, siamo a Marte e Venere di Botticelli, siamo all’equilibrio perfetto tra forza e amore, siamo ancora a Firenze, ma siamo anche di fronte a momenti di magia che per il momento, quantomeno per scaramanzia, neanche nominiamo oltre, perché, sempre a Firenze, tutte le belle storie finiscono “a guardar le stelle”, ma la strada per arrivarci è molto lunga.

Francesco Germano