“Buoni o cattivi, non è la fine, prima c’è il giusto o sbagliato da sopportare”, è il testo di una famosa canzone di Vasco Rossi, che non è certo uomo che nutra o manifesti velleità da moralista o da filosofo, ma che - volenti o nolenti - talvolta finisce per esserlo. Come con le poche parole sopra riportate, con le quali in buona sostanza finisce per riprendere le categoria di potenza e di atto, risalenti come minimo ad Aristotele, ancora lui… 

Il concetto espresso da Vasco è di grande semplicità, non c’è neanche bisogno di spiegarlo, e come le categorie alle quali può essere riportato, funge da metro per la valutazione di tante manifestazioni della vita comune, anche delle tante dispute delle più comuni passioni umane, come il calcio per esempio.

Di fronte ad una qualsiasi questione di calcio giocato o di calciomercato, è sempre molto interessante leggere commenti vari sparsi nello spazio immenso che la rete concede a tutti. I commenti, anche quelli più scontati o istintivi, non sono mai inutili; leggerli consente di avere di fronte lo specchio delle opinioni correnti, dalle più elevate alle più basilari. 

A me è capitato di osservarlo di recente, in occasione delle lunghe - ed ancora non concluse - discussioni sulla permanenza di Federico Chiesa alla Fiorentina, un calciatore al quale è facile affezionarsi perché emblema di un giovane sportivo forte, coraggioso e generoso; uno che dà l’anima per la squadra, è capace di esserne elemento trainante, e che sembra nato per fare il leader.

E così, sul trasferimento voluto, negato, promesso, richiesto, trattato di nascosto, escluso, di Federico Chiesa dalla Fiorentina alla Juventus, è venuto fuori, tra le ragioni espresse a favore del passaggio del calciatore alla corte degli Agnelli, che ciò sarebbe stato inevitabile perché la Juventus è una squadra forte, potente, vince i titoli, dispone di molte risorse economiche, assicura lauti contratti, nessuno può avere la forza di dire di no alla Juventus. Si badi, non lo hanno detto solo i tifosi bianconeri, ma anche qualificati giornalisti di fede viola. Altri hanno posto l’accento sui limiti della Fiorentina, una provinciale senza ambizioni, che difficilmente vince qualcosa, priva di risorse, limitata negli ingaggi. Insomma, la Juventus era la squadra buona, alla quale non si può dire di no, e la Fiorentina la squadra cattiva, dalla quale bisognava andar via. A supporto del concetto, i più istintivi, di fronte alle resistenze della nuova società viola, risentiti per lesa maestà, hanno dato fondo al repertorio dell’indegnità del giocatore a vestire i colori bianconeri, e giù a dare del brocco, pacco, inadeguato, fino a prospettargli una carriera infelice, nella più basilare rievocazione della favola della volpe e l’uva, oppure, più semplicemente, perché non ha capito che la Juventus è la squadra buona, e non ha saputo dare un calcio alla squadra cattiva, quella con la quale è cresciuto. 

Inserire persone e vicende umane in categorie predefinite o in contrapposizioni forzate per liquidarle in un giudizio sommario e semplicistiche è esercizio molto ricorrente, ma tradisce una evidente pigrizia mentale di fronte alla possibilità di andare a fondo nella comprensione e nell’intelligenza dei fatti. 

“Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l'umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà”. Con queste parole il Leonardo Sciascia de Il giorno della civetta faceva fare la suddivisione dell’umanità a don Mariano. E non a caso proprio a don Mariano, che era un mafioso, il boss del paese, perché i mafiosi hanno come caratteristica, tra le altre, quelle di non fare molti sforzi per comprendere la realtà e l’umanità che la sottende. Per loro, per la loro visione tracotante e materiale della realtà, tutto si riconduce a chi fa i loro interessi e chi no, per cui chi porta utili alla consorteria va in una categoria, chi non ne porta o va contro va nell’altra categoria. Puoi essere anche un lestofante, ma se fai il loro gioco sei il migliore. Lestofante, ma il migliore. E son soddisfazioni!

E allora torniamo al buono e caro Vasco Rossi, che sulle cose della vita normale, delle persone che vivono di comuni sentimenti umani, ammonisce: prima c’è il giusto o sbagliato da sopportare, perché la vita non è fatta tanto di categorie in cui incasellare le persone, ma di scelte giuste o sbagliate da fare in ogni istante, anzi, da sopportare, come dice Vasco. 

Nella vicenda di Federico Chiesa il metro di valutazione dovrebbe essere esattamente questo: qual è la scelta giusta per il calciatore? In quale contesto umano e sportivo questo ragazzo può crescere meglio? Conta più avere un titolo nel curriculum o rimanere in un contesto di crescita già consolidato?

La risposta rischia di essere un atto di presunzione, soprattutto ove si consideri che Federico Chiesa in queste scelte è guidato non da un faccendiere qualsiasi, ma da suo padre, che per definizione esiste per cercare il bene del proprio figlio. E per comprendere la vicenda questo bisogna fare, mettersi nei panni di un genitore, e valutare, giudicare se sia giusto o sbagliato catapultare un ragazzo di vent’anni in un contesto sportivo diverso come quello della Juventus, dove più che badare alla crescita ed al sostegno dei ragazzi si guarda essenzialmente ai titoli da vincere, anzi, al titolo, quello che proprio non vuole arrivare, perché lì, lo dicono da anni, non conta nient’altro che vincere. Ed il giudizio dovrà passare inevitabilmente per la valutazione di casi simili, dai più recenti come Bernardeschi e Rugani, a quelli che hanno fatto la scelta opposta. Siamo a lui, Giancarlo Antognoni, l’unico, il più grande. È stato giusto o sbagliato per Giancarlo Antognoni rifiutare più volte la Juventus e rimanere alla Fiorentina per tutta la carriera? 

Gli argomenti potrebbero essere tanti, le risposte mai certe, perché le vicende della vita non sono mai nette. Ma stasera c’è Vasco Rossi con le sue canzoni a suggerirci le cose in musica. Siamo a Sally, un capolavoro, un testo col quale probabilmente il rocker parla di sé stesso, ed alla fine delle riflessioni sulla propria vita, conclude: Forse era giusto così, forse ma, forse ma sì. La realizzazione di una vita o di una carriera e tutta qui, nel poter dire, anche a distanza di anni, di aver fatto la cosa giusta.

Francesco Germano