C’è stato un tempo, neanche troppo lontano, in cui le squadre italiane erano ben presenti ai vertici del calcio mondiale, con affermazioni costanti sia in Champions League che in Europa League.
A cavallo tra gli anni ottanta e novanta la Champions era letteralmente dominata dalle italiane, soprattutto il Milan di Berlusconi, che dall’88 al 2007 se l’aggiudicò ben cinque volte, e nel frattempo, nel ’96 la vinse anche la Juve, mentre all’Inter sarebbe toccato chiudere il cerchio nel 2010. Negli stessi anni il dominio italiano risulta ancora più accentuato nella Europa League, dove, tra la vittoria del Napoli nel 1989 e la vittoria del Parma del 1999, è stato tutto un susseguirsi di affermazioni italiane, che hanno visto trionfare l’Inter per tre volte, la Juventus per due volte e il Parma altre due, alcune volte anche a seguito di finali tutte italiane. Si inserisce in questo contesto anche la vittoria della Nazionale Italiana ai Mondiali del 2006, poiché è chiaro che quella Nazionale era espressione di un calcio forte e capace di affermarsi ai massimi livelli internazionali.

Erano i tempi in cui il nostro calcio beneficiava di una certa solidità economica e di un certo favore fiscale, che ci permetteva di portare sui nostri campi e nei nostri stadi i migliori campioni del calcio mondiale. A ciò si aggiunse, in maniera determinante,  l’esclusione dei club inglesi dalle competizioni internazionali dopo i fatti dell’Heysel, fatto che, di certo, ha favorito il calcio continentale, nel quale i club italiani riuscirono poi ad imporsi.

Si cominciò già a metà degli anni ottanta, quando gli inarrivabili Diego Armando Maradona, Arthur Coimbra Zico, Michel Platinì sbarcavano nelle varie città d’Italia per indossare la numero dieci delle varie squadre locali. L’Italia era diventata la grande meta del calcio mondiale, e non c’era grande calciatore al mondo che non volesse giocare da noi, fosse anche per un club minore. Da Udine ad Avellino, tutti avevano il loro campione internazionale e, qualche volta, anche qualche campione del mondo. Vennero, a seguire, i tempi del grande Milan di Berlusconi, dei tre olandesi, e via via, fino all’Inter di Moratti, l’ultima grande squadra italiana capace di imporsi nel resto del mondo, ma era già un fatto  eccezionale, un’affermazione ottenuta con grande dispendio economico e, comunque, in controtendenza rispetto ad un calcio italiano già in aperta recessione. Era il 2010. Dopo di allora, quantomeno sul piano dei numeri, il nulla. In Europa League ci siamo fermati molto prima, alla vittoria del Parma nel 1999. Anche qui, dopo di allora, il nulla. 

Dopo gli anni d’oro è arrivato, -era fisiologico ed inevitabile-, il periodo delle vacche magre. Le nostre campagne acquisti hanno cominciato a caratterizzarsi per la ricerca dell’affare a buon mercato, dei giovani da scoprire prima degli altri, dei campioni che venivano da noi solo a fine carriera. E così ci è toccato un David Beckham in vacanza, un Ronaldinho stanco, appagato e senza genio, un Diego Forlan sul viale del tramonto e via dicendo, mentre i nostri allenatori, da Capello ad Ancelotti fino a Vialli e Di Matteo, andavano ad insegnare calcio all’estero, ed anche i nostro calciatori cominciavano ad affollare le rotte di partenza, per la Spagna, la Germania, l’Inghilterra, la Russia. Notevoli son state le partenze di Luca Toni nel 2007 e di Marco Verratti nel 2012, mentre già nel 2006 Cannavaro e Zambrotta si erano trasferiti in Spagna per via della diaspora conseguente allo scandalo di calciopoli.

I fattori che hanno determinato, quantomeno dal 2010 in poi, la perdita di valore del nostro calcio sono molteplici: l’inserimento dell’economia italiana nel più ampio contesto dell’eurozona, che ne ha evidenziato i limiti e gli eccessi; la crisi economia del 2008; il ritorno sulla scena dei grandi club inglesi, le cui società sono state i primi e maggiori recettori di fondi provenienti da altri continenti.
Le ultime edizioni di Europa League e Champions League hanno visto un predominio assoluto delle inglesi, che hanno chiuso i tornei 2018/19 con quattro finaliste su quattro. Il dato non è casuale se si scorrono i valori economici per club o per singoli calciatori: le inglesi detengono i valori più alti e li sommano a tradizioni calcistiche ben fondate, cosa che le porta ad affermarsi su concorrenti di pari valore economico come il PSG. Le uniche in grado di vantare un cursus calcistico di pari o superiore valore sono le spagnole, le tedesche, soprattutto con il Bayern di Monaco, e le italiane, che, a partire proprio da quest’anno, si avviano a tentare seriamente la risalita.

L’estate del 2019 presenta una ragione nuova, seria, concreta, perché si possa prospettare una campagna di allestimento delle squadre italiane all’insegna del rafforzamento reale, con mantenimento e con acquisto di campioni veri, giovani, motivati, in carriera. La ragione non è legata a fattori sportivi o a particolari passioni calcistiche, ma a fredde e calcolate determinazioni legislative, che incidono in maniera determinante sulla capacità di movimento delle società. 

Sì! La rinascita del calcio italiano parte da un freddo e tecnico articolo di legge, l’art. 5 del Decreto crescita (D.L. n 34/19 del 30 aprile 2019 convertito in Legge n. 58/19 del 28 giugno 2019), che nella sua formulazione neutra ed asettica consente alle società di calcio di beneficiare di enormi sgravi fiscali per l’acquisto di calciatori provenienti dall’estero (sia italiani che stranieri). Il beneficio è costituito dalla possibilità di calcolare la tassazione solo sul 30% dell’ingaggio percepito (i tecnici parlano di “un’esenzione ai fini IRPEF del 70% dei redditi da lavoro”), che si traduce in un enorme risparmio per le società, perché se fino a ieri su un ingaggio, per esempio, di 10 milioni bisognava aggiungerne 7,5 per il fisco, oggi l’imposizione fiscale sarà di 1,5 (sono sempre i tecnici a dirlo).

Naturalmente non si scrive qui per assegnare meriti politici o per dare giudizi su misure legislative, che vanno esaminate in altri contesti. Oltretutto appare chiaro che certe scelte legislative sono frutto di particolari congiunture o previsioni economiche, e rappresentano l’esito di un percorso di maturazione non breve, sostenuto di plurime opinioni condivise, come la volontà di svincolare le prestazioni lavorative da eccessivi carichi fiscali, oppure, come l’esigenza di uniformare il carico fiscale delle nostre società di calcio a quelle degli altri Paesi. Qui ci si limita ad osservare segni di ripresa concreti del nostro calcio, ed a ricercare le ragioni di tale ripresa. Ed i segni ci sono tutti!

A ben vedere, non è un caso che quest’anno, per la prima volta dopo tanti anni, un club italiano, invece di accontentarsi di calciatori a fine carriera, o di accettare seconde scelte di club stranieri, o di cercare occasioni a buon prezzo, porti a casa una prima scelta, un grande campione straniero giovane e di valore come De Light, peraltro per un ruolo non vistosissimo come quello del difensore, pagando una somma record per i calciatori di pari ruolo. 

Ma il segnale della ripresa del calcio italiano non è solo De Light, o gli altri campioni che la Juventus o le altre squadre hanno acquistato o acquisteranno. Il segnale è anche nella capacità dei nostri club di riprendersi e di tenersi i propri allenatori migliori, come Ancelotti, Sarri, Mancini, Conte. Il segnale è anche nella capacità delle nostre società di far rimanere in Italia i propri campioni, come Koulibaly e Insigne che si confermano di buon grado a Napoli, i giovani Barella e Sensi che vanno all’Inter e non all’estero, Belotti che Cairo trattiene a Torino, Chiesa a Firenze, Berardi a Sassuolo, e -speriamo- finanche Tonali al Brescia.

Sono, per ora, segni, elementi sintomatici, ma sembra che il calcio italiano, messo al pari di altre realtà sul piano finanziario, si sia avviato seriamente a tornare ai vertici del calcio mondiale, secondo una tradizione ben consolidata, che merita di essere rivissuta ad alti livelli.




Francesco Germano

P.S. Normalmente la crescita del calcio precede o corrisponde ad una crescita economica del Paese. Speriamo sia vero anche questo…