In questi giorni di diffuso tormento per il trasferimento di Dusan Vlahovic dalla Fiorentina alla Juventus si pone spesso l'accento sul numero notevole di calciatori che hanno fatto lo stesso percorso di carriera, dai casi più recenti di Federico Chiesa e Federico Bernardeschi, per arrivare ad un paragone assolutamente infondato, se non irritante, con il trasferimento di Roberto Baggio nella primavera del '90. 

Si, perché il trasferimento di Vlahovic alla Juve non ha nulla in comune con quello di Baggio per almeno due ragioni: anzitutto perché Baggio non voleva andare via da Firenze e non voleva andare alla Juve, e questo lo rende come l'esatto opposto degli attuali ax viola vestiti di bianconero; e poi, soprattutto, perché Baggio era un poeta del calcio, sia con in piedi che con la testa, e questo lo rende difficilmente paragonabile a successive esperienze mercatorie di minor conto. 

Il tipo di trasferimento riproposto oggi con Vlahovic è stato, invece, inaugurato con Felipe Melo nel 2009. Identiche le ragioni, prettamente economiche, che mettevano d'accordo tutti, calciatore e società; identica la tipologia di calciatore, non un poeta del calcio ma un giovane bravo e prestante che aveva lasciato casa propria fin da piccolo per fare carriera in paesi stranieri, un fine che dava coerenza ad ogni successivo trasferimento dettato dal carrierismo fine a sé stesso.

Sulla stessa scia direi che si possono inquadrare i trasferimenti di Bernardeschi e Chiesa, anch'essi finiti alla Juve per loro volontà e per mero carrierismo, con l'aggravante di aver usato i termini contrattuale come arma di persuasione contro la società, con l'implicita mincaccia di trasferirsi a costo zero, come aveva fatto Riccardo Montolivo per andare al Milan.

I tutti questi casi, oltre alla volontà di lasciare senza troppi scrupoli la città e la tifoseria che li aveva adottati e resi forti, emerge anche una comune propensione a forzare le questioni contrattuali per accasarsi al meglio in club maggiori, a prescindere dalla gratitudine dovuta al club di provenienza e fregandosene delle rivalità o degli antagonismi di fede calcistica che li contrapponevano alla propria squadra. Insomma, trasferimenti impregnati di tanto opportunismo e tanto calcolo, in cui la dimensione sportiva o la figura del campione stenta a vedersi. Non sarà un caso che nessuno di loro ha avuto dal trasferimento notevoli crescite in termini di valore calcistico. Lo stesso Chiesa, che pure raccoglie consensi anche in Nazionale, non sembra avere ancora espresso in bianconero livelli calcistici più alti di quelli espressi a Firenze. 

Diverso, invece, il discorso per Cuadrado, altro ex viola approdato alla Juve, ma non alla stessa maniera: il colombiano, sicuramente il più forte tra gli attuali calciatori juventini cresciuti alla Fiorentina, andò via da Firenze per un campionato diverso, quello inglese, senza imporre nulla e dopo aver rinnovato il contratto coi Della Valle, ringraziando tutti ed ottenendo da tutti i migliori auspici per una felice carriera. Insomma, Cuadrado andò via da campione che non si avvale di trucchi o tatticismi legati alle scadenze contrattuali, non fa capricci con la società, e viene acquistato per il proprio valore, in realtà elevatissimo. L'affarismo non è contegno che si addica ad un campione vero. 

Il trasferimento di Vlahovic, in corso di definizione in queste ore, si inserisce, dunque, nel filone di operazioni simili che hanno riguardato Felipe Melo, Montolivo, Bernardeschi e Chiesa, dettate soprattutto da calcoli, carrierismo, ambizione, disinteresse per la fede calcistica e talvolta strumentalizzazione dei contratti in scadenza, col valore umano e tecnico del campione rimasto fuori gioco e mortificato. Non la migliore premessa per una grande carriera, come i precedenti di Melo, Montolivo e Bernardeschi hanno dimostrato. 

Sicuramente nulla a che vedere con la storia di Roberto Baggio, che pur costretto ad un matrimonio di interessi, rimase sempre puro nello sua passione per il calcio e si dimostrò grande campione in ogni situazione.