E adesso come la mettiamo? Nell’anno del ritorno alla vittoria del tricolore, in tanti si sono adoperati per trovare il modo (invano, almeno per quanto riguarda il sottoscritto) di rovinare la festa. Attenzione, compresi alcuni stessi sostenitori neroazzurri, i quali hanno manifestato dal principio una certa “antipatia” (eufemismo) verso Antonio Conte, non riuscendo a godere dei successi che abbiamo brillantemente conquistato. E, dunque, sono stati tre i punti fermi del disastro che sembrava dover avvolgere la squadra interista in una bolla di delusione nonostante il diciannovesimo (a distanza di 11 anni, giusto per ricordarlo) scudetto vinto: in primis, l’eliminazione dalla Champions League. Come potevamo festeggiare un titolo ritrovato se eravamo stati buttati fuori cinque mesi prima in un girone in cui, tra l’altro, in molti in fase di sorteggio ci vedevano in Europa League? Che poi noi siamo usciti da tutte le competizioni europee è un altro fatto e di sicuro l’esito sulla campagna internazionale dello scorso anno è una bocciatura, ma da qui a dover oscurare uno scudetto stravinto e inseguito per lungo tempo ce ne passa.
Secondariamente, la crisi societaria. Io mi sono sempre divertito a leggere di gente che prevedeva la retrocessione in Serie D della società neroazzurra (in barba a qualsiasi nozione di diritto sportivo e fallimentare). Provavi a chiedere spiegazioni, provavi a far notare che l’indebitamento non è condizione sufficiente per decretare il fallimento di un’azienda, che seppur la situazione non è rosea non significa che la barca stia necessariamente affondando: ma che vuoi farci, niente da fare. Uno “scudettino”, lo hanno chiamato. Un tricolore passato di lì per caso, ottenuto senza sforzi e con le casse vuote. Perché nel calcio 2.0, quello delle partite con tempi da 30 minuti a testa altrimenti i ragazzi si annoiano, quello in cui si discute se inserire la rimessa laterale con i piedi come durante le partitelle del quartiere che valevano una finale di Coppa del mondo nelle teste adolescenziali, quello in cui la Superlega sì o la Superlega no, quello che gli orari spezzettati sono il sale del calcio in modo tale che un appassionato possa passare l’intero fine settimana a guardare 48 ore di partite senza sosta (cinema, passeggiata, gita fuori porta: non esistono più, dai), adesso è anche il momento del campionato del bilancio. Sì, esatto, quando una squadra ha i conti in ordine, adesso si può tirare fuori il bandierone e andare in giro per la città a suonare clacson oppure a far festa in strada. “Abbiamo l’indice di liquidità superiore a 1!”, “Abbiamo vinto la Coppa Plusvalenza” e altri slogan simili sono già il presente. Poi, sono arrivate le cessioni di Hakimi e Lukaku, e allora lì si è scatenato lo stesso putiferio che ha coinvolto il Milan per aver perso Donnarumma a zero e la Juventus per aver ceduto a fine mercato Cristiano Ronaldo. Ah, no, scusate, mi sono sbagliato: vuoi mettere perdere un patrimonio, il portiere più forte del mondo, senza incassare un euro, oppure rinunciare ad uno dei più forti calciatori del pianeta perché non ritiene più vincente il progetto bianconero e che ha rappresentato un investimento dalla portata spaventosa, contro perdere due pedine fondamentali ma incassando 200 milioni di euro (200!) e ridisegnando la squadra con investimenti oculati e funzionali? Quante volte abbiamo sentito dire che se si hanno le risorse è facile fare mercato, mentre con pochi mezzi contano le idee? Ecco, l’Inter ha dimostrato questo: mettere a frutto l’ingegno e sfruttare il poco che si aveva per allestire una rosa che, sebbene non forte individualmente come quella precedente perché i due partenti sono oggettivamente top nel ruolo, ha però il pregio di essere collettivamente solida, sfruttando la base dell’anno scorso (difesa e centrocampo sono identici e rappresentano il motore dell’intera macchina) e inserendo pochi elementi che hanno fame e voglia di vincere.

Ed in tutto questo, arriviamo alla madre di tutte le critiche: l’Inter di Conte non giocava bene.
Già tempo fa ebbi modo di spiegare che l’Inter non proponeva un bel calcio, ma che era assolutamente inconcepibile tacciare la squadra neroazzurra di non giocare bene. Sembrano sottigliezze linguistiche, ma tra giocare bene e giocare un bel calcio vi è una differenza enorme. Eppure, ormai il fenomeno si era diffuso a macchia d’olio: abbiamo stravinto un campionato senza giocare bene. Adesso, però, è arrivato Simone Inzaghi e la musica sembra notevolmente cambiata. Il volume sta diventando insopportabile, sebbene nessuno lo stia facendo notare. Per carità, due partite contro Genoa ed Hellas Verona non devono farci incantare e pensare di essere diventati il Barcellona di Guardiola, però sicuramente stiamo dimostrando di essere primariamente maturi e solidi, di non perdere la testa anche in situazioni critiche (vedi l’errore macroscopico di Handanovic) e, in tutta onestà, stiamo fornendo un gioco scorrevole e pulito. La sicurezza dei 5 uomini chiave (i tre difensori più Barella e Brozovic) è l’asse portante, l’ossatura che viaggia a memoria e che ci può permettere di stare relativamente tranquilli: l’obiettivo minimo, con questa stoffa, lo otterremo tranquillamente. E per obiettivo minimo intendo riqualificarci in Champions League senza patemi, sia ben chiaro. Ovviamente, però, la copertina di questo weekend non può che essere dedicata ai due goleador di venerdì sera al Bentegodi, che hanno già fatto ribattezzare la squadra ArgentInter. Noi sappiamo bene quanto siamo legati al Paese sudamericano: Zanetti, Cambiasso, Samuel e Milito sono quattro tra i più grandi di sempre della nostra storia. Lautaro è già parte dei più formidabili e ieri, festeggiando il cinquantesimo gol in neroazzurro e sfiorandone uno che ancora mi chiedo come non sia potuto arrivare, mi ha fatto un effetto meraviglioso. Martinez sembra davvero cresciuto sotto tutti i punti di vista e mi auguro che possa diventare il leader tecnico della squadra, smarcandosi definitivamente da Icardi prima (a proposito, altro albiceleste) e da Lukaku poi. La sostituzione con Correa è stata emblematica e a suo modo magica: l’esordio dell’ex laziale sembra frutto di un’abile sceneggiatura, una di quelle storie che un tifoso fantastica cazzeggiando al bar con gli amici. E invece, l’acquisto tanto desiderato dal nostro condottiero, sempre più dentro le dinamiche neroazzurre, ha subito fatto capire perché fosse così ambito.

Il girone di Champions League è alla portata e le varie vicissitudini che stanno interessando la Juventus (ultima la sconfitta incredibile contro l’Empoli giocando malissimo: ma ci potete credere?) potrebbero permettere all’Inter di risalire le quotazioni, che, onestamente, prima dell’avvio avevo previsto al ribasso. Siamo ancora tra le prime 2-3 del campionato e la strada verso la seconda stella è ancora lunga e irta di ostacoli. Ma per l’isola che non c’è, adesso possiamo contare su due bussole argentine e su una stella polare seduta in panchina.

Basterà per acciuffare il 20° titolo? La corsa è appena cominciata.

 

Indaco32