Se c’è una cosa che non farei mai nella vita è arbitrare una partita. In realtà l’ho fatto. Era il periodo in cui allenavo i bambini nelle Scuole Calcio e, in alcuni tornei, si chiedeva alla squadra che giocava in casa di arbitrare. È toccato anche a me farlo, ed è stata l’ultima volta.
Una scelta che mi preclude anche di partecipare al Corso per allenatori indetto dalla Federazione, in quanto, in un precedente bando, per il superamento dell’esame finale occorreva non solo la conoscenza degli argomenti trattati, ma anche il dover arbitrare un preciso numero di partite.
Assolutamente no!
Perché parto da questa premessa? Perché al di là della rabbia provata, da tifoso milanista, per quel che è accaduto in Milan-Spezia, e avendo giurato di non parlare più di arbitri dopo la storia di Muntari, voglio guardare il lato umano della vicenda e non solo quello sportivo.
Su quest’ultimo, lascio ad altri l’ingrato compito di guardare solo un segmento della partita e non tutto il contenuto, invece mi voglio soffermare solo su quello umano e cosa rappresentano le ammissioni di colpa, le scuse e i pianti post partita.

Ammettere una colpa davanti a 5000 spettatori non cambia sicuramente la decisione. È solo un atto umano, spontaneo, che calma gli animi e mette l’arbitro davanti alle proprie responsabilità. Il quale non ha altra scelta che continuare la partita, senza farsi condizionare da quell’errore, sperando di finire l’incontro senza che quella decisione pesi all’interno dello stesso.
Al contrario ha assunto una rilevanza specifica perché lo Spezia, qualche minuto dopo, con un’azione che manda in “affanno” i giocatori rossoneri, ancora confusi dall’accaduto, sbanca San Siro e condanna il Milan ad una sconfitta immeritata.
Visto che a noi tifosi piace la polemica, parlare dell’arbitro diventa il centro dell’attenzione mediatica di giornali, trasmissioni e social. Dimenticando però altri aspetti della partita che, secondo me, hanno influenzato il risultato tanto quanto lo sciagurato fischio dell’arbitro Serra.
Il signor Serra della sezione di Torino diventa così l’attore principale della partita, finendo nel banco degli imputati e diventando l’unico bersaglio su cui scaricare le colpe della sconfitta.
Sottoscrivo, invece, le parole di Pioli a fine gara che non si sottrae dalle colpe di una gara che il Milan doveva vincere assolutamente. Una partita che non valeva solo la vetta virtuale, ma che avrebbe messo pepe ad un trittico di partite importanti.
Nonostante io abbia sempre difeso la squadra non voglio pensare che sia stata solo colpa della decisione dell’arbitro. Perché a sbagliare sono stati in tanti, sicuramente l’ultimo errore è stato il sigillo finale.

Il Milan ha avuto numerose occasioni per vincere il match: sia le parate del portiere; sia l’errore di Hernandez dal dischetto; sia la presunzione che il gol prima o poi sarebbe arrivato viste le tante occasioni create e sprecate; sia il primo tempo maestoso di una squadra che in campo faceva accademia e che nella ripresa non ha saputo mantenere i ritmi della prima parte di gara; sia la poca lucidità nella scelta finale in area di rigore; sia tutto il resto, lo hanno impedito.
È la somma di tutto questo che ha decretato la sconfitta. È la somma di tanti errori che pesano in modo differente a far sì che il Milan si ritrovi con tre punti in meno. E se noi tralasciassimo solo uno di questi aspetti non faremo un favore ai rossoneri.
Oggi ci si ritrova a parlare di scuse da parte dell’Associazione italiana arbitri e mi chiedo, a cosa servono? Servono a calmare per caso coloro che, fogli alla mano, dimostrano come la sfortuna arbitrale sia stata una costante durante la stagione?
Servono a ripetere la partita? No! Sono un gesto che trova il tempo che trova e che serve, probabilmente, per tenere buoni i rapporti di vicinato tra Club e arbitri.
Il Milan, parlo come società, è sempre stato signorile e rispettoso della classe arbitrale e lo dimostra come a fine partita, da quel che risulta, alcuni giocatori abbiano manifestato conforto all’uomo prima che all’arbitro, il quale colpito dall’accaduto piangeva nello spogliatoio.
Immagine bella e perfino grottesca perché arrivare a questo significa che lo sbaglio è stato una croce troppo pesante per un giovane ancora all’inizio della carriera.

Arbitrare significa essere soli in campo. Essere al centro dell’attenzione e, per poter dirigere la partita, devi avere autorevolezza, altrimenti crolli al primo errore pesante.
Non autorità, quella serve a bene poco. Forse a creare barriere tra chi arbitra e chi gioca. Ma autorevolezza nel gestire tutte le componenti in gioco, soprattutto gli errori. Perché, nonostante il Var, non è possibile eliminarli totalmente.
Avere autorevolezza significa andare avanti, significa farsi scivolare addosso critiche e giudizi negativi. Significa poter diventare un arbitro capace di fronteggiare situazioni avverse e viverle con distacco emotivo.
Collina era un arbitro autorevole e, anche nell’errore, sapeva distinguersi dagli altri suoi colleghi. Lo facevo con il piglio di chi sapeva prendere una decisione e, qualunque fosse, la portava avanti con convinzione. Giocare sotto la pioggia in quel Perugia-Juventus non so quanti lo avrebbero fatto al posto suo. L’ha fatto ed è andato avanti nonostante le critiche ricevute.
È vero che non tutti sono Collina, ma occorre formare arbitri secondo un modello ben preciso.
Chi comanda non deve mandare avanti solo coloro capaci di arbitrare, ma anche chi è capace di spiegare, nel bene e nel male, senza erigere barriere. Per farlo deve fare una rivoluzione tanto attesa: mandarli a fine gara, liberamente, a commentare la partita.
Perché l’errore di ieri, rimane tale se non lo si spiega ai tifosi, agli addetti ai lavori e a tutti quelli che seguono il calcio.
Rimane un errore che porta a mille interpretazioni: gli è scappato il fischio; non conosce il regolamento; ha valutato male la posizione dei giocatori in campo; l’ha fatto apposta. Ecco alcune delle innumerevoli e fantasiose interpretazioni che si possono fare.
Ed invece solo scuse, pianti e lamenti senza la minima possibilità di cambiare. L’apertura mostrata dalla società (con signorilità giocatori e dirigenti hanno messo da parte la rabbia, per una scelta che può condizionare il campionato e hanno confortato l’uomo) non può rimanere un caso isolato e necessita di essere alimentata.
Sarebbe stato bello che gli avessero dato la possibilità di parlare, di dire la sua, di liberarsi dal peso che a fine partita l’ha portato al pianto. Ed invece, assisteremo solo all’ennesimo stop punitivo che servirà a poco nel rapporto arbitri-società.

Nonostante la sconfitta, nonostante il rammarico di come è andata, fiero della mia società che, con responsabilità, cerca di essere un passo avanti alle altre cercando non colpevoli, ma eventuali soluzioni ai problemi.
Accanirsi contro il “povero” Serra non porta a niente. Trova solo alibi per giustificare una sconfitta che è anche figlia di quelle componenti analizzate precedentemente. Ora non è il momento di cercare colpevoli, ma occorre trovare motivazioni, entusiasmo e concretezza per ripartire subito alla grande. Dimenticando quello che è accaduto, perché non devono essere ripercussioni nelle prossime gare da disputare.

Detto questo andiamo avanti e guardiamoci le spalle, perché dietro di noi c’è la fila e non è salutare guardare solo a chi ci sta davanti. Una visione periferica ottimale porta a dire che la partita di ieri ha messo in evidenza come nulla è deciso per quanto riguarda la zona Champions e come nulla dev’essere compromesso nella lotta scudetto.
La solitudine dell’uomo in giallo deve essere il punto di ripartenza di questo gruppo che deve tornare a giocare come sa, con intensità e ritmo e con la consapevolezza di essere forte, ma non il più forte.
Tutto è possibile, per farlo occorre subito un cambio di rotta, pensare alla prossima gara preparandola bene, e concentrarsi solo sul campo.
Conoscendo Pioli ed i suoi ragazzi non ci sono dubbi in merito.