Ci sono persone che anche se vincono, non sembra. Come ammonisce il Talmud: "Noi non vediamo le cose nel modo in cui sono. Le vediamo nel modo in cui siamo". È la sindrome Deschamps, dell'uomo che c'è e non c'è, che se vince va bene e se perde è uguale. Con quella faccia bislunga che sembra uscita da un fumetto di Zerocalcare, spigoloso come un quadro di Duchamp, l'allenatore francese muove l'interesse come un articolo di cultura che non frega a nessuno. "Polvere siamo e polvere torneremo", ma l'importante è esserci.

Eppure l'allenatore francese è un vincente, uno che nella sua carriera di allenatore ha vinto moltissimo: un mondiale, una UEFA Nations League, un campionato francese, quattro coppe di Lega francese, due Supercoppe francesi, la vittoria in Serie B con la Juventus e per tre volte miglior allenatore francese. Ma nel Gotha del calcio mondiale si parla di Guardiola, di Ancelotti e persino di Mourinho.

Perché Deschamps subisce la sua stessa sindrome, quella dell'uomo che sembra, se ci pensi, il Giobbe di una ingiustizia calcistica, il perseguitato dal dio del calcio. 

Si è presentato al mondiale con una squadra rimaneggiata, senza il pallone d'oro Benzema, senza due centrocampisti inamovibili come Pogba e Kantè, senza il terzino Mendy, senza una serie di gregari che avrebbero fatto comodo all'Italia di Mancini. Lui si è inventato Griezmann tuttocampista, l'ha trasformato come nei tempi migliori, ma prima l'influenza che ha debilitato molti giocatori francesi e poi la dea bendata che gira la ruota dei rigori come preferisce, gli hanno tolto la gioia di un altro mondiale. Ai rigori, perché quelli sono le stigmate della sua stessa sindrome.

Poi c'è l'altro, il puffo che viene dallo spazio, il mancino che eguaglia Maradona nell'idea stessa di calcio, il fenomeno che gioca con la rapidità (non si pensi alla velocità) di un marziano; uno studio americano ha dimostrato che le giocate di Messi sono il 35% più rapide di quelle di un qualsiasi campione di calcio. E questa è la sua forza, la sua caratteristica, l'immagine che stride con quella faccia inebetita che sembra dire: cosa ci faccio qui? Infatti, dovrebbe giocare direttamente tra le stelle.

In settimana un ragazzo mi ha confidato che lui guarda a Cristiano Ronaldo, altro marziano, perché Ronaldo è l'esempio di atleta che cura qualsiasi aspetto fisico, e per questo diventa esempio per gli appassionati di calcio, mentre Messi è il talento puro che, se non hai, nessuno te lo può dare.

E questo è il calcio, questo è il calcio come metafora della vita: chi vive la sindrome di Deschamps e chi di quella sindrome se ne fa un baffo. Verissimo, se imparassimo a guardare le cose per quello che sono, e non per quello che siamo noi, anche Deschamps stasera sarebbe ricordato nella storia del calcio.