Il gioco del calcio è spettacolo e nello spettacolo ci sono gesti che sublimano l’agilità di un corpo, attraverso coordinazione e atletismo. Il calcio è spesso una musica che delizia muscoli ed anima. Ci sono traccianti che disegnano linee di campo improvvise, fuori da quelle geometrie tanto matematiche quanto monotone. Esistono scivolate che anticipano il susseguirsi dei centesimi, quasi a fermare il tempo, ad immortalarlo con grazia stabile e divina. Sono i contrasti dinamici di Vivaldi, l’allegria di naufragi ungarettiana, quell’attimo sospirato prima di una probabile disfatta. Il gioco del calcio è l’indomabile possesso palla, la musica equilibrata e trasparente di Mozart, ma anche il fulmineo ribaltamento d’azione chiamato contropiede. Il gioco del calcio è l’esperienza vinciana del volo, il dominio dell’aria che traspare nel gesto del portiere, l’impromptu chopiniano di chi ruba al pallone la gioia del gol. Ma su tutti i gesti che accendono la fantasia del tifoso, eccelle la musica di Beethoven, emozionale, vigorosa e irruente, quando la forza e la coordinazione si uniscono per lanciare il giocatore in equilibrio precario lassù dove si impatta il pallone solo se c’è pazzia e coraggio: là dove la palla si frusta solo in rovesciata.

Ed è questo il gesto sublime, catartico in cui il tempo si arresta, gli dei trattengono il respiro e l'eroe resta sospeso in aria, metafora del finito che suggella trascendenza e perfezione. E' il momento che spinge il fanciullo all'emulazione e l'adulto all'identificazione. L'eroe si trasforma in chronos e il corpo si fa metessi dell'idea. Per questo l'annullamento di un gol in rovesciata è bestemmia agli occhi degli dei. Ciò che è successo sabato a Lautaro ha infuocato l'antico dibattito che trasforma il bar dello sport in tribunale divino: va annullato un gol così bello?

La rovesciata è da sempre un gesto istintivo, ma un gesto tecnico, che non si inventa, ma vive di esercizio e pratica. I manuali del calcio lo spiegano così: per iniziare il movimento, sollevare il ginocchio della gamba non dominante e staccare da terra spingendo col piede che si usa per calciare. Più in alto si solleva il piede della gamba non dominante, meglio sarà, perché questo darà lo slancio necessario per compiere il movimento giusto col piede calciante. Mentre si alza la gamba, darsi lo slancio all'indietro buttandosi a terra. Sfruttando lo slancio all'indietro, effettuare una sforbiciata con le gambe, spostando il piede che non calcia verso il basso e quello che calcia verso l'alto, per andare a colpire il pallone. Usare il dorso del piede per calciare sopra la testa e indirizzare il pallone in direzione opposta rispetto a quella in cui si è rivolti. Distendere le braccia per ammortizzare la caduta e aprirle il più possibile per minimizzare l'impatto col terreno della schiena e delle anche.

Secondo gli storici, fu un attaccante brasiliano di Rio de Janeiro, Leônidas da Silva che il 24 aprile 1932 segnò per la prima volta, colpendo in rovesciata il pallone. Ma la rovesciata che rimase negli annali è senza dubbio quella di Parola, difensore della Juventus che il 15 gennaio 1950 segnò contro la Fiorentina. La fortuna di quell'evento restò nello scatto fotografico di Corrado Bianchi, che riuscì ad immortalare l'impresa dando al calcio un motivo di fierezza. La fotografia piacque così tanto agli dei (gli dei non disdegnano la sinergia tra arti) che nel 1965/66 la foto diventò la copertina dell'almanacco del calcio della Panini, e da lì copertina dell'album di figurine che accompagna generazioni di Italiani. Fu Wainer Vaccari che elaborò la foto togliendo i riferimenti a colore e bandiera, trasformando quel gol in un gesto universale. Così trasformò il bianconero in una maglia rossa, con pantaloncini bianchi e calzettoni neri e gialli, tramutando il particolare in globale.

Ma la blasfemia capitata a Lautaro ha precedenti illustri.
Correva l'anno 1984, era il 24 ottobre e a San Siro si giocava Inter - Rangers Glasgow. Una palla sorvolò da sinistra l'area nerazzurra, ad un certo punto Rumenigge decise di passare alla storia, di fermare il tempo e di trasformarsi in eroe. Piroettò su se stesso, alzò la gamba destra e con slancio che sarebbe piaciuto a Gagarin decise di volare e colpire quel pallone, lanciandolo con grazia d'aquila e precisione da contabile nella porta avversaria. Lo stadio ammutolì prima di scatenarsi in urla festanti e applausi angelicati. Ma fu il fischietto mefistofelico di un arbitro con il cuore di piombo ad annullare il gesto per gioco pericoloso. Gli dei disapprovarono, ma l'eleganza del gesto trasformò in redenzione la scelta bislacca. 

Correva l'anno 2011 quando l'Olimpico di Roma visse lo sconforto diabolico dell'offesa agli dei. Era il 20 novembre quando Osvaldo trafisse il Lecce con un colpo in rovesciata di un'eleganza celestiale. L'attaccante argentino salì in cielo, sembrava l'ascensione, colpì la palla proprio nell'istante in cui il tempo si prese una pausa. Non è vero che il tempo è immutabile, quella sera la sospensione del tempo scardinò il fluire dei secondi e Osvaldo rimase lassù, come un Narciso a riflettersi nello spazio siderale. Poi il tempo riprese il suo percorso, assottigliò lo spazio e l'attaccante cadde a terra accompagnato dagli angeli. Gol spettacolare annullato da un fuorigioco beffardo. Qualcuno si chiese se fosse giusto cancellare quel gesto, ma gli dei sentenziarono che Osvaldo era di diritto uno di loro. 
Resta la domanda a cui è offensivo rispondere: si può annullare una prodezza? Come direbbe Camus: “il male che c'è nel mondo viene quasi sempre dall'ignoranza, e le buone intenzioni possono fare altrettanto danno della cattiveria se mancano di comprensione".

P.S. Grazie al professor Mauro Berra per la consulenza musicale.