Sotto la cortina ironica del livornese, Allegri nasconde la supponenza dell'Oracolo di Delfi. Ma al posto della Pizia, è lui ad elargire la saggezza di Apollo. Con la magia elegante della parola, riesce sempre ad eludere responsabilità e colpe, perché le colpe non appartengono agli dei.
La partita di Verona è stata l'ennesima partita dove la lectio magistralis del professore ha confuso gli stessi giocatori, che hanno comunque la colpa di danzare sull'erba del campetto di calcio come fossero ballerine alla Scala. Per non offendere l'intelligenza femminile, non dico che il gioco del calcio sia un gioco da maschi, ma affermo che il calcio non è sport da teatro

Ad essere sinceri, ieri non ho capito quale fosse il modulo scelto dal mister; non il 442, perché in quel modulo serve un'ala e non Rabiot, nemmeno un 433, visto che Cuadrado si limitava a fare il quarto di centrocampo senza mai puntare l'uomo e provare qualche scorribanda verso l'area di rigore avversaria.
Ovviamente Allegri ha giocato a corto muso, a partire dalla posizione di Bentancurt che stava francobollato a Veloso e al momento del recupero della palla era sempre fuori posizione. Chiusi così a riccio (e non ditemi che il Verona ha pressato così alto da togliere il respiro ai bianconeri, o meglio, il Verona ha pressato alto perché per il mister livornese la regola è: "prima non prenderle"), chiusi così a riccio gli attaccanti bianconeri giocavano dietro la linea di centrocampo e quelle poche manovre d'attacco riuscite sulle fasce, trovavano l'area sempre vuota. Solo nel finale, quando la disperazione fa saltare gli equilibri, la Juventus ha riempito l'area e messo pressione agli Scaligeri.
Ma gli dei non si toccano.  Dopo 11 giornate, la Juventus di Allegri ha 15 punti, con 4 vittorie, 3 pareggi e 4 sconfitte; con Pirlo (il criticato neofita) aveva 21 punti con 5 vittorie e 6 pareggi; con Sarri la Juventus aveva 29 punti con 9 vittorie e 2 pareggi. Con Sarri aveva 19 gol fatti e 9 subiti, con Pirlo 21 gol fatti e 10 subiti, con Allegri 15 gol fatti e 15 subiti, segno che la squadra non difende e non segna. Certo, manca un cecchino come Ronaldo, ma la confusione in campo è dimostrata dai numeri impietosi.

Dopo 11 giornate, non è ancora chiaro chi siano i titolari. La politica del "calma calma", non collima con la determinazione; la politica del corto muso dimostra che l'idea di gioco sia solo quella di sperare in un gol in più degli avversari, ma una volta in svantaggio l'approssimazione tattica non permette recupero e veemenza. La speranza per il mondo Juve è quella che Allegri faccia un bagno di umiltà e provi a ringiovanire le sue idee tattiche, cerchi l'equilibrio di squadra e non l'equilibrio di reparto, provi ad imporre un gioco, così che i giocatori sappiano cosa fare e come farlo. Non ditemi che la rosa non è competitiva, perché un grande allenatore trova il meglio per far emergere le potenzialità di ogni giocatore attraverso il collettivo e non attraverso l'individualità. Il bravo mister, trova l'amalgama giusta per i valori che allena e non si adagia al leitmotive del "viva il parroco".
Allegri ha vinto cinque scudetti e ha raggiunto due finali, ma per chi non dimentica, il suo gioco, a parte la stagione splendida del 2017, si basava su una difesa ferrea e sull'invenzione a turno di uno dei campioni in rosa. Senza veri campioni, lo insegnano nelle scuole calcio, serve un gioco, un'idea di collettivo che esalti le individualità e questo Allegri non lo sa fare.
Così la Juventus non va da nessuna parte, a meno che un miracolo a corto muso non porti il tecnico alle dimissioni. Ma l'orgoglio non fa miracoli.