Finalmente... la cura Massimiliano comincia a dare i suoi frutti!
Molti di voi sicuramente conosceranno Stanley Kubrick, genio folle della cinematografia moderna. Non so però quanti di voi conoscano anche ciò che lo rendeva il regista di gran lunga più odiato dagli attori, capace di pretendere da tutti, dal protagonista fino all’ultimo dei tecnici delle luci, nulla di meno della perfezione, ed era quindi anche capace di far ripetere decine e decine di volte la stessa scena finché la perfezione non fosse stata raggiunta.

Non si contano gli attori che dopo aver finito di girare un film con lui abbiano poi dovuto passare un periodo, anche lungo, in qualche clinica svizzera per cercare di ricostruire, poco alla volta ciò che Kubrick, con le sue fissazioni monomaniacali, con il suo dannato inflessibile perfezionismo, aveva devastato; non lasciando, dopo il suo passaggio, pietra su pietra. Kubrick devastava, dove passava lui non cresceva più l’erba, ma nessun attore gli avrebbe mai detto di no. Aver girato un film con Kubrick ti faceva entrare nel Gotha dei migliori attori di tutti i tempi, un riconoscimento più prezioso e difficile da raggiungere di un Oscar.

Tra l’altro, sempre a dimostrazione della sua perenne voglia di superarsi, di non accontentarsi mai, i suoi film sono film tutti diversissimi l’uno dall’altro, per cui l’aver visto, ad esempio il suo Odissea nello spazio, oppure Il suo dottor Stranamore, oppure il suo Full metal jacket, non comportava il minimo” vantaggio”, se così possiamo dire, nel prevedere l’ambientazione, la sceneggiatura, l’eventuale tematica affrontata, né tantomeno il significato recondito, quasi sempre controverso, volutamente lasciato aperto a mille interpretazioni, su ognuna delle quali si formavano, di volta in volta, vere e proprie scuole di pensiero.

Ai tempi, ormai lontani, in cui avevo cominciato a seguire il calcio e la Juve in particolare, ricordo che la tifoseria degli ultrà juventini si divideva in due fazioni: i Viking e i Drughi. Da bambino quale io a quei tempi ero, mi era difficile capire come mai ci fossero più tifoserie per una singola squadra. In fondo tifare per una squadra avrebbe dovuto essere una cosa (per me lo era) talmente naturale, che davvero non riuscivo a capire il perché di questi distinguo.
Vi lascio quindi immaginare il mio stupore nel rendermi conto, quando avevo già qualche annetto in più, che durante lo svolgimento della partita, molti di quelli che tifavano in curva, la partita non la vedessero affatto, visto che erano solo concentrati nel controllare che tutti cantassero o facessero quello che veniva ordinato dai capi ultrà.

Lo stadio, mi fu chiaro solo dopo esserci stato la prima volta, era un posto dove si poteva (entro certi limiti) esercitare la violenza e il crimine godendo di una sorta di immunità. Le curve erano sostanzialmente delle zone franche dove era possibile commettere piccoli crimini, tollerati dalle forze dell’ordine che erano presenti, ma lasciavano correre, a meno di motivazioni gravi.

In caso di eventi più critici, le “controversie” venivano risolte con l’intervento delle forze dell’ordine in assetto antisommossa. Mi bastò andarci una volta sola per capire che sarebbe stato meglio per me non andarci più. E non solo perché avrei evitato di finire prima o poi malmenato o comunque al centro di qualche rissa, ma anche perché avrei finito per odiare lo sport che avevo fin da bambino seguito ed amato e che invece, visto dal vivo, in curva, mostrava di essere un ambiente molto meno piacevole di quanto non si riuscisse a percepire da casa, in TV.

Come accennato, la tifoseria juventina aveva due “correnti” predominanti: i Drughi e i Viking. Capire che differenza ci fosse fra l'una e l'altra non rientrava fra le curiosità che, non risolte, avrebbero corso il rischio di impedirmi di dormire serenamente.
Certo, se a quel tempo ci fosse stato già il web, non avrei esitato a cercare qualche informazione. Ma ahimè, a quel tempo internet era ancora di utilizzo esclusivo dei ricercatori del CERN, che l’avevano inventato e lo usavano per scambi di dati di sperimentazioni e articoli scientifici all’interno della comunità scientifica. A pensarci bene: chissà quanto saranno stati fieri, coloro che l’avevano inventato per questo nobile scopo, di sapere che brutto utilizzo l’uomo comune ne avrebbe poi fatto. Ma tant’è!

Per ancora molti anni, i Drughi, per me, continuarono ad essere solo una delle due fazioni di tifosi juventini che oltre a “fare il tifo” a modo loro, per la Juve, spesso entravano persino in conflitto con i loro dirimpettai Viking. Solo anni dopo mi ritrovai a vedere non so dove e non so come, ma di sicuro grazie a qualche sito come e-mule, grazie al quale in periodo di ristrettezze economiche, quale solitamente è quello in cui si è studenti universitari, avevo comunque avuto la possibilità di scaricare questo film e tantissimi altri film definiti cult movies.

Mi spiace dirlo, ma se non ci fossero stati quei siti a permettermi di scaricare e vedere più e più volte film che hanno arricchito enormemente la mia cultura cinematografica, non so neanche se la versione di me stesso meno acculturata avrebbe avuto comunque interesse a scrivere un pezzo su questo argomento, e staremmo quindi qui comunque a parlare di Drughi, come io oggi ho intenzione di fare.
Non voglio però che qualcuno interpreti in maniera scorretta il mio pensiero. Quello che voglio dire, è che naturalmente è giusto far sì che chi ha investito soldi, cioè i produttori, e chi ha contribuito artisticamente a realizzare un film qualsiasi, quelli di Kubrick come anche quelli dei fratelli Vanzina, abbiano il giusto ritorno per quello che hanno, col loro spirito imprenditoriale, permesso di creare.

Un film, bello o non bello, è pur sempre un’opera d’arte, e in quanto tale non se ne dovrebbe poter negare l’accesso. L’umanità intera è proprietaria dell’opera d’arte, nessuno ne può esserne proprietario in modo esclusivo. Ma questo non sembri un invito all’espropriazione, alla confisca: l’umanità intera deve poter godere della bellezza dell’opera d’arte, ma chi quella bellezza l’ha creata e la condivide, dall’umanità intera dovrà riceverne tangibile riconoscenza!

Fatta questa precisazione sulla giusta retribuzione che produttori, ma anche autori, registi attori, e tutte le altre figure professionali che contribuiscono alla buona riuscita e alla buona qualità di un film, debbano esigere ed ottenere, entro finalmente nel merito di ciò per cui questa importante premessa è stata concepita.
Come accennavo, guardando il film in questione, mosso dalla curiosità del titolo Arancia Meccanica e dal termine Drughi, ebbi l’insperata possibilità di svelare a me stesso cosa c’entrasse tutto questo col mondo degli ultrà juventini. Tanto per cominciare scoprii in maniera assolutamente casuale che questo film faceva parte del famigerato piccolo novero di film di Stanley Kubrick, e in particolare che tra essi, questo fosse di gran lunga il più violento.

Anche altri film di Kubrick contenevano in piccole dosi un po' di violenza, ma ciò che rendeva in particolare Arancia meccanica molto più violento di tutti gli altri, non era solo l'innegabile presenza di scene violente, ma soprattutto il fatto che si trattasse di violenza tutto sommato gratuita, che a ben vedere è quella che forse fa più impressione, perché è anche la più difficile da comprendere ed accettare.

"Arancia Meccanica", come detto, apparteneva al novero dei film diretti da Kubrick. La trama del film ruota attorno al giovane e sadico Alex, capo di una banda di giovani teppisti chiamati Drughi. La gang passa il tempo compiendo atti di violenza estrema: rapine, stupri e violenze varie. Alex è un personaggio disturbato che trova piacere nella violenza e nell'oppressione degli altri. Non stupisce quindi che volendo, i tifosi della curva juventina, trovare un personaggio che rappresentasse violenza ed efferatezza essi abbiano trovato suggestivo rifarsi ai personaggi di questo film.
Tornando alla storia di Alex, la svolta avviene quando egli viene arrestato e indotto su base volontaria a sottoporsi a un esperimento di "riforma" che mirava a cancellare la sua inclinazione alla violenza. Questo esperimento prevedeva l'uso di una tecnica chiamata "tecnica Ludovico", che prevedeva la somministrazione di una droga che induce nausea e disagio fisico, mentre il soggetto è costretto a guardare immagini di violenza e depravazione. L'idea dietro questo trattamento, è che Alex sviluppi una reazione fisica avversa alla violenza e al crimine, rendendolo incapace di compiere tali atti in futuro.

Dopo il trattamento, Alex sembra aver subito la trasformazione auspicata: egli diventa incapace di compiere atti di violenza. Tuttavia, questa "cura" ha anche eliminato la sua capacità di sperimentare gioia e piacere, compresi quelli derivanti dalla sua amata musica di Ludwig van Beethoven. Questo perché i trattamenti a cui era stato sottoposto erano accompagnati dalla musica dell’amato “Ludovico”. Questo è un momento cruciale nel film: Alex scopre che non riesce più a godere della musica che tanto amava.

La storia continua ad affrontare le conseguenze della "cura" e le reazioni degli altri personaggi nei confronti di Alex, ora impotente e vulnerabile. Senza svelare ulteriori dettagli della trama, il film esplora temi complessi come la violenza, la libertà individuale, il controllo sociale e la natura umana. "Arancia Meccanica" è un'opera cinematografica, come tutte quelle di Kubrick, che solleva domande filosofiche e morali.

Ripercorrendo la trama di questo film, mi è rimasta impressa la singolarità della cura “Ludovico” che faceva sì che Alex, anche al solo pensare di compiere atti violenti viene pervaso da un insopportabile senso di nausea. Considerando poi la partita Fiorentina Juve di domenica sera, mi è venuta in mente una spiegazione di come sia possibile che una squadra come la Juve, sulla carta molto più forte della Fiorentina si sia potuta ridurre a giocare come abbiamo visto domenica sera.

Guardando come la Juve di Allegri, è stata capace di giocare l’altra sera, contro la Fiorentina, viene da pensare che anche i giocatori della Juve abbiano subito un trattamento analogo a quello di Alex.

La mia ipotesi è che i giocatori siano stati condizionati in modo che, come per Alex, al solo pensiero di provare a portare la linea della squadra qualche metro più avanti, si vedeva benissimo, destava immediatamente nei giocatori coinvolti nell’azione la medesima sensazione di nausea.

Per permettere finalmente ad allegri di vedere la propria squadra vincere come piace a lui, ossia senza praticamente tirare mai in porta, si saranno sicuramente rivelate necessarie svariate sessioni di cura Massimiliano. Essa, in analogia con la cura Ludovico, che impediva di compiere atti violenti, sarà stata prescritta a tutta la squadra.

Uno per uno, anche i giovani appena arrivati, per giocare così, avranno sicuramente accettato di assoggettarsi al trattamento, compiendo il ciclo completo, che nel caso di Allegri prevede la visione obbligatoria, con utilizzo di divaricatori oculari, di giocatori che saltano l’uomo, di giocatori che si portano in avanti per ricevere palla, o per attaccare compiendo anche gesti tecnici, come rabone, rovesciate, colpi a sensazione, colpi di tacco, doppi passi, elastici, finte di corpo, veli, tiri da fuori area e ogni altra sorta di comportamenti atti a esprimere l’odiato bel gioco, che la cura Massimiliano garantisce di debellare definitivamente, a patto di non perdere nemmeno una seduta.

L’altra sera, la Juventus con la Fiorentina ha dimostrato che finalmente la cura Massimiliano è stata completamente metabolizzata e fatta propria. Adesso, come s’è visto, non appena max alza un po’ il tono della voce, subito i giocatori che avrebbero voluto portare avanti una potenziale azione pericolosa, si rifugiano passando la palla indietro, perché sanno bene che se non lo facessero comincerebbero anche loro, come Alex, a provare la sgradevole sensazione di nausea. Ci sono poi giocatori che hanno necessitato di sedute molto più prolungate e più intense, perché in loro era più connaturata che in altri la tendenza ad attaccare, per altri, invece, come Alex Sandro, Danilo, Bremer, De Sciglio e altri ancora, la cura si è rivelata inutile, la tendenza a rifugiarsi con un passaggio indietro, o buttando la palla in tribuna al minimo sentore di pericolo, era già presente. Questo piccolo drappello di fedelissimi, che non avevano bisogno, a differenza degli altri, di richiami della cura, rappresenta lo zoccolo duro della squadra, quello su cui il buon Max può basarsi in ogni momento.


Con l’auspicio di vedere sempre più spesso il buon Max gioire come l’altra sera, col sorriso a 32 denti delle grandi occasioni, e cioè quello derivante da una vittoria ottenuta vincendo 1 a 0, con tutta la squadra racchiusa per tutti i 90 minuti nell’area del proprio portiere, e con un possesso palla del 10% ottenuto sommando il tempo necessario per battere i falli laterali, un caloroso saluto vi giunga dalla redazione di Piccio News.