È dall’estate 2019, quella che pose fine al ciclo del primo Allegri, che la Juventus non trova pace.
A partire dalla stagione con Maurizio Sarri in sella, definita dallo stesso Andrea Agnelli “una stagione di merda”, proseguendo per quella targata Andrea Pirlo (prima stagione senza scudetto dopo nove titoli consecutivi) per arrivare ad oggi, con una Juventus collocata al sesto posto in classifica in compagnia di altre tre compagini, tra cui Bologna e Fiorentina, club che con tutto il rispetto nulla hanno a che fare con il blasone e le potenzialità economiche dei bianconeri.
E a metterci il carico da undici, l’inchiesta giudiziaria piombata come un fulmine a ciel sereno a Torino nello scorso fine settimana.
Una squadra e una società, quella bianconera, posizionata tra l’incudine e il martello con un futuro ad oggi difficile da delineare sia a livello giudiziario che sportivo.
In campionato la sconfitta subita dagli orobici di Giampiero Gasperini ha complicato terribilmente le cose riguardo alla corsa Champions, ridimensionando ulteriormente una squadra con evidenti limiti tecnico – caratteriali con il quarto posto (ultimo disponibile per entrare nell’Europa che conta) sempre più a rischio. E per una società che progetta la Superlega, uscire dalla Champions sarebbe un colpo pesantissimo, un disastro sportivo-finanziario che rappresenterebbe con buona probabilità il fondo del barile, la vera fine di un ciclo.
Quello di Gigi Buffon e della BBC, del centrocampo con Pirlo, Vidal, Pogba, Marchisio, dei grandi attaccanti come Tevez, Higuain e Cristiano Ronaldo nonché di grandi personalità come quelle di Pjanic, Matuidi e Khedira.
Un organico, quello odierno, alquanto sopravvalutato, non più di primissima fascia, a cui manca quanto meno un uomo d’ordine, una mezzala di livello internazionale ed un centravanti vero.
Locatelli è un ottimo giocatore ma non gli si può chiedere di sobbarcarsi per intero l’onere di far compiere a questa squadra il salto di qualità. Non ha le spalle così larghe da poter sostenere da solo tale peso. Per Manuel la Juventus rappresenta la prima grande squadra in carriera, tralasciando gli anni rossoneri nei quali Locatelli era nulla più che una giovane promessa che si stava affacciava al grande calcio. E per un giovane pur bravo, ma che arriva dal Sassuolo, male non sarebbe svezzarsi sotto le ali protettrici di qualche grande campione per poi prenderne il posto di leader negli anni a venire.

Ora la Juventus ha davanti a sé un ciclo di cinque partite abbordabili (Salernitana, Genoa, Venezia, Bologna e Cagliari) da monetizzare al massimo, anche se non bisogna dimenticare di come la Juve di questa stagione (così come quella dello scorso anno) abbia perso punti pesantissimi proprio con le squadre di medio-bassa classifica. Dimentichiamoci quindi i “punti sicuri” che la Juventus dei nove scudetti metteva regolarmente in cascina ogni qual volta incontrava una cosiddetta “provinciale”.
Così come sarebbe cosa saggia abbandonare inopportuni sogni di gloria relativi a scudetto, ormai poco più che un miraggio, o ancor peggio Champions League, perché questa Juve non se li può permettere.
Dovrà altresì ragionare come una provinciale, concentrando tutte le energie disponibili nel vincere (o quanto meno di fare più risultati utili possibili) tutte le partite mancanti da oggi a fine del campionato, sia che l’avversario si chiami Salernitana o Inter, per mettere in cassaforte il maggior numero di risorse possibili a colmare la siderale distanza di sette punti che oggi la separa dalla qualificazione Champions.
Come già detto mancare l’Europa che conta sarebbe una disastro, sia a livello di blasone, che da un punto di vista economico, dal momento che gli introiti provenienti dalla partecipazione a tale manifestazione rappresentano oggi per il club degli Agnelli veri e propri farmaci salvavita.

Credo che lo stesso Massimiliano Allegri, pur consapevole che in questa sua nuova avventura bianconera sarebbe andato verso un inevitabile processo di ricostruzione, abbia commesso qualche errore di valutazione, sia relativamente alle proprie capacità che al valore dell’attuale gruppo di calciatori.
E oggi, l’allenatore livornese, dà l’impressione di un sergente in cerca di motivare un plotone atteso ad una battaglia per la quale non dispone della forza necessaria a vincerla.
Massimiliano Allegri, pur essendo uno dei migliori allenatori italiani, non è scevro di responsabilità, soprattutto riguardo al non essere stato capace di dare una precisa identità ad un gruppo che sta lavorando insieme da ormai cinque mesi.
A sua parziale discolpa ciò che vedrebbe anche un cieco, e quindi la totale assenza sia in campo che nello spogliatoio di una serie di figure di riferimento come quelle del passato. Uomini avvezzi alla frequentazione dei più illustri palcoscenici nazionali e continentali, un tesoro di inestimabile valore che consentiva ai giovani bianconeri che si affacciavano alla prima squadra di accelerare il necessario processo di maturazione.
Servirà quindi un’abbondante dose di pazienza per veder sbocciare i futuri giovani talenti in maglia bianconera, e tutto ciò verrà semplificato se al loro fianco la Juventus riuscirà ad inserire qualche calciatore di qualità, personalità ed esperienza
Ecco perché sarebbe auspicabile affiancare ad ottimi prospetti quali Vlahovic, Zakaria, Tchouaméni, Rovella, qualche calciatore alla Witsel, solo per fare un nome più volte abbinato ai colori bianconeri nel corso delle ultime stagioni. Non dimenticando mai che la Juventus non potrà permettersi spese pazze sul mercato, la cui finestra invernale di norma non offre opportunità in grado di compiere salti di qualità.
Inoltre, la conditio sine qua non, per vedere a Torino qualche eventuale entrata è che Cherubini riesca a compiere altrettante operazioni in uscita, impresa non facile considerati gli ingaggi percepiti dalla maggior parte dei calciatori bianconeri.
Ecco perché non ci saranno grandi movimenti nell’immediato futuro, motivo in più per lavorare sulla crescita dell’attuale gruppo di calciatori, andando alla ricerca di una nuova pelle, di una nuova identità, condizioni che rappresentano l’unica via per tentare l’approdo a quel quarto posto che consentirebbe alla società di programmare l’inevitabile ricostruzione in maniera più serena e tranquilla.
Tempo, pazienza e consapevolezza.
Tre parole d’ordine che dirigenti, allenatore e tifosi bianconeri dovranno scolpirsi nella mente relativamente ad una squadra che si sta ricostruendo, che ha la necessità di ritrovarsi e che con ogni probabilità non potrà più essere la schiacciasassi del recente passato.

E poi, dulcis in fundo, esiste il capitolo legato all’inchiesta giudiziaria, che non solo avrà tempi lunghi ma per la quale è a tutt’oggi impossibile pronosticarne l’esito finale.
Nella storia del calcio italiano soltanto il Chievo è stato condannato per plusvalenza (con tre punti di penalizzazione) e quindi da questo punto di vista la Juventus non dovrebbe rischiare chissacché. Esistono però altri capi d’imputazione a carico della società bianconera. Reati, quelli ipotizzati dalla procura di Torino, purtroppo assai gravi, che qualora sentenziati potrebbero avere ripercussioni importanti sul futuro del club.
Ma l’etimologia del termine crisi parla anche di opportunità.
E chissà che questa crisi non possa rappresentare la più grande occasione per questa società di ripartire da zero, dando un taglio drastico alle tante cose che negli ultimi anni non hanno funzionato.
A partire dal “bubbone” plusvalenze (anche se la cosa non avesse risvolti penali), proseguendo per più scelte tecniche particolarmente discutibili (Rabbiot, Ramsey, Kulusewski, Morata e altri ancora), transitando per ingaggi mostruosamente gonfiati rispetto al reale valore di alcuni giocatori, per finire con l’improvvida uscita di scena di un grande dirigente sportivo quale Beppe Marotta.
È infatti, da quel 25 ottobre 2018, giorno nel quale è terminato l’incarico di Beppe Marotta come Amministratore Delegato dei bianconeri, manca nell’organico societario della Juventus la figura di un professionista a tutto tondo, con le competenze dell’attuale “Deus ex machina” dell’Inter.
Un matrimonio quello tra Marotta e la famiglia Agnelli durato ben otto stagioni ricche di grandissime operazioni di mercato, da quelle di Barzagli e Higuain, ai parametri zero come quelli di Andrea Pirlo e Paul Pogba.
Decisione, quella di poter fare a meno di un grande Amministratore Delegato, quanto meno azzardata.
Un male che sta divorando il club dall’interno ed un fattore a cui la Juventus di oggi (e forse del futuro) sta pagando una dazio particolarmente pesante.