Scritto con la mia fidanzata Alice

Per chi, come me, sta frequentando un indirizzo scolastico dove si studia la stupenda (a mio avviso) materia del latino, la prima parte del titolo apparirà familiare, oltre che fondamentale nella comprensione della lingua: come tradurre, dopotutto, un’infinitiva o una narrativa, senza conoscere la consecutio temporum?
Per chi non abbia mai neppure aperto un manuale di latino, o semplicemente per chi non se la ricorda, la consecutio temporum è il valore temporale attribuito ad un verbo, per esempio, in italiano: se nella frase reggente avessimo un presente indicativo, nella subordinata vi sarebbe o sempre un presente (indicativo o congiuntivo, nel caso dei verba putandi) per esprimere contemporaneità rispetto alla prima azione, o sempre un passato remoto o passato prossimo per esprimere anteriorità rispetto alla prima azione, o sempre un futuro semplice per esprimere posteriorità. Così si ragiona anche avendo un tempo passato nella frase reggente. Ma visto che io non sono ne voglio essere un professore di lettere per nessuno, oggi non voglio parlare della consecutio temporum, bensì della consecutio Maldinorum (neologismo che mi permetto di coniare per l’occasione), che possiamo tradurre in italiano come la “continuità dei Maldini”: un nome, una garanzia, diremmo noi milanisti. Eppure in questa stagione, il Milan ha avuto tutt’altro che garanzie, sia in prima squadra, arrivata ad un passo dalla tanto agognata Champions League, sia in Primavera, retrocessa in Serie B dopo una stagione deludente.
Insomma, l’ennesima stagione sofferta dai tifosi rossoneri, di cui faccio parte, con orgoglio, anch’io, che ho vissuto in prima persona il psicodramma di domenica sera. Ma noi milanisti siamo famosi per non arrenderci mai, e guardando al futuro, sinceramente parlando, siamo una delle squadre più organizzate dal punto di vista della rosa e, in parte, anche della società, che, subentrata quest’estate al fantasma cinese Yonghong Li, ha subito cercato di costruire una forte base amministrativa, cappeggiata da Leonardo, ex giocatore ed allenatore proprio del Milan, e da Paolo Maldini, icona del passato più recente e anche del presente, presenza fissa nel cuore di noi tifosi. Il mercato estivo sembrava fosse vicino al botto Milinkovic-Savic, ma alla fine arrivò solo il colosso francese Bakayoko, che, seppur con grandi difficoltà all’inizio, si è saputo imporre con personalità. Ma soprattutto era arrivato Higuain e tutti avevamo sperato nella rinascita del, ormai leggendario, “numero 9”: dire che siamo rimasti delusi è poco, veramente poco.

In dicembre è arrivato Ivan Gazidis, uno degli amministratori delegati più famosi al mondo, che era riuscito a trasformare la MLS, un campionato sconosciuto fino a 30 anni fa, in una vera e propria macchina da soldi, oltre che in una sorta di pensione (non me ne voglia Dio Zlatan!) dorata per le stelle del calcio mondiale nella fase calante della loro carriera. Nel 2009 è passato all’Arsenal, consolidando il progetto della squadra londinese, oltre ad aumentarne I ricavi grazie ad una politica di grande successo basata sugli investimenti sui giovani. I trofei vinti (tre Coppe d’Inghilterra e tre Community Shield) sono pochi, ma i risultati prestigiosi sono molteplici: una semifinale di Champions League, un secondo posto e tre terzi in posti in Premier League e due finali di Coppa di Lega. E questo potrebbe essere fondamentale per il Milan di oggi, alla ricerca di piazzamenti che possano riportarlo nella massima competizione europea. Tuttavia, affiancare ad un egocentrico come Leonardo una figura di grande importanza mediatica come Gazidis si è rivelato un azzardo: I due si sono spesso “pestati I piedi”, andando ad ostacolare il cammino di Gattuso e squadra. L’unico che ha cercato, con il suo carisma, di tenere alto il morale della compagine è stato Paolo Maldini, che ad oggi non è sicuro della sua permanenza in rossonero. Ma analizziamo più nel dettaglio la contemporaneità del mitico 3 del Milan.

La contemporaneità di Paolo

Se dovessimo illustrare ad uno spagnolo, o ad un tedesco, o ancora ad un inglese il concetto di “bandiera”, inteso nella sua forma prettamente calcistica, faremmo veramente fatica a non citare Paolo Maldini: il ragazzo (ora uomo) di Milano è rimasto fedele ai colori rossoneri per 32 anni, 7 nelle giovanili e 25 in prima squadra. Le offerte dell’estero non sono mancate per uno dei più forti difensori della storia del calcio, ma lui aveva già deciso da giovane: volevo essere una “bandiera” del Milan. Ma quindi, cosa vuol dire, per noi italiani, questo termine, che lentamente sta scomparendo dalla nostra cultura? Bene, la “bandiera” è un giocatore, un uomo, che decide di legare indissolubilmente la sua anima ad un unico club. Di conseguenza, anche la sua carriera si legherà a questo club. Ma cosa rende questo concetto così romantico ai nostri occhi nostalgici? Beh, sicuramente il fatto che un uomo, con tutti I nostri pregi e difetti, decida di rimanere fedele per tutta la sua vita ad una singola realtà calcistica, non soccombendo al dio denaro o alla possibilità di gloria in un altro club, è un concetto eticamente intoccabile, che a suo volta tocca il nostro cuore, smuove le nostre emozioni ed evoca in noi ricordi del calcio che fu. E che, probabilmente e tristemente, non sarà più. Recentemente, due delle ultime grandi bandiere italiane hanno annunciato il loro ritiro dal calcio giocato, con modalità, tuttavia, diametralmente opposte: Daniele De Rossi, mediano romanista fino al midollo, dopo uno scontro con la società, si è trovato abbandonato, solo, privato dell’unica squadra per cui abbia mai giocato. Dall’altra parte, attraversando il Tevere e l’Arno, e arrivando fino alle sponde dell’Adige, troviamo Sergio Pellissier: lo so, la sua carriera non si è sviluppata solo in una squadra, ma, secondo me, passare 17 anni in un singolo club, un club che fino a 20 anni fa era sconosciuto ai più, un club reso grande e competitivo proprio da questo calciatore, è un merito. Un merito chiamato “Bandiera del calcio”. Lui, tuttavia, non si è mai scontrato con la dirigenza, nonostante negli ultimi anni abbia giocato poco. E lo dico sinceramente: se avesse giocato di più, con la sua fame, avremmo visto un altro Chievo. Perchè Meggiorini e Stepinski non valgono un mignolo del mitico Pellissier, secondo miglior marcatore di sempre dei clivensi. Ma torniamo a Maldini: 902 presenze con il Milan in tutte le competizioni, 126 presenze con la Nazionale italiana, 26 trofei di squadra vinti. Oltre che bandiera del Milan, bandiera dell’Italia. Uno dei difensori più forti della storia, capace di combinare una buona tecnica di base con doti atletiche e fisiche eccezionali. L’erede di Baresi, in pratica. Che ad oggi aspetta ancora il difensore degno di ereditare la mitica “3”. E quasi sicuramente non sarà un altro Maldini a riceverla.

Ma la storia del “Maldini di mezzo” con il Milan non si conclude nel 2009, quando ha affisso gli scarpini al chiodo. Un ricordo amaro per il giocatore milanese, perchè alla fine dell’ultima partita giocata a San Siro, un Milan-Roma finito 2 a 3, durante ultimo giro di campo nello stadio della sua infanzia e della sua vita, venne contestato duramente da un gruppo di tifosi, che con uno striscione ricordavano con nostalgia Baresi, considerato il vero capitano del Milan. Tutto questo avvenne perchè qualche tempo prima, durante un’intervista, Maldini aveva dichiarato la sua lontananza dal tifo organizzato, dichiarazioni confermate anche nel dopo partita. Per questo, inizialmente, si pensava che difficilmente I destini di giocatore e club si sarebbero riincontrati. Infatti il Chelsea lo aveva subito chiamato per completare l’area tecnica “made in Italy”, dove avrebbe rivisto l’amico ed ex- allenatore Ancelotti. Offerta declinata con garbo.
Un anno dopo la società rossonera gli aveva proposto un contratto a breve termine per far fronte alla pandemia di infortuni: ma anche qui, offerta declinata. Nel 2015 ha fondato il Miami FC, primo e unico club professionistico della città americana, fra il grande entusiasmo dei media oltreoceano. Peccato che nel 2018 la NASL, una sorta di Serie B a stelle a striscie, sia stata tristemente annullata, con la promessa che per l’anno 2019 sarebbe ritornata. Chissà...

Ma arriviamo finalmente al 5 agosto 2018, pianeta Milan.
Leonardo affida a Paolo Maldini il ruolo di direttore sviluppo strategico area sport. Nemmeno un anno dopo, Maldini e Leonardo, che dovevano ridare ai rossoneri il lustro del passato, o almeno l’idea di “il Milan ai milanisti”, sono tristemente stati esclusi dal progetto, o meglio, si sono tirati fuori. Leonardo per contrasti con Gazidis, che aveva un ruolo troppo invadente, mentre Maldini per prendersi delle settimane per pensare: ad oggi, sembra proprio che Maldini ritornerà in rossonero, con un ruolo più ampio e preciso. Ad esempio sceglierà il tecnico che dovrà riportare il Milan in alto: di conseguenza, il mercato. Sta portando avanti la trattativa per Sensi. Probabilmente venderà Suso e terrà Calhanoglu. Insomma, una linea di continuità che spezza, almeno parzialmente, il caos creatosi nell’ultimo anno. Speriamo, noi milanisti fiduciosi e giovani, con speranza e forza nell’animo, di riuscire, finalmente, a vivere un anno dignitoso, che ci riporti dove meritiamo: in alto. Anche se, ad oggi, il cielo è più nuvoloso che altro.

 

L’anteriorità di Cesare

Chi potrebbe essere l’emblema della difesa rossonera degli anni Cinquanta e Sessanta, se non Cesare Maldini? Maldini senior, in poche parole. Uno dei difensori- liberi più forti della storia del calcio italiano, divenuto tristemente noto per le “Maldinate”, ovvero svarioni difensivi dettati da troppa sicurezza nei propri mezzi. Perchè, in fondo, è questo il difetto dei grande campioni: possedere dei mezzi eccezionali, ma che, essendo mezzi umani, possono anche sbagliare. Ma oltre all’essere un grande calciatore, fu anche un grande uomo, un vero “signore” del calcio, come non ve ne sono più. Un uomo che va ammirato, anche se magari si tifa una squadra avversaria, perchè, parlandoci sinceramente, come si a non ammettere che un Cesare Maldini lo avrebbero voluto tutti come capitano, ma proprio tutti. Carismatico, eppure capace di ascoltare I suoi compagni di squadra: un secondo allenatore in campo, ma non solo, come lo definiva Nereo Rocco, che con il suo “parlè con il capitano” ha fatto entrare di diritto Cesare nella leggenda.

In casa Maldini l’essere una “bandiera” è un carattere ereditario: il padre, Cesare, ha giocato per ben 12 stagioni con la casacca rossonera, un’enormità considerando l’epoca. Ha portato la fascia da capitano con grande onore e regalità, contribuendo alle molteplici vittorie in campo nazionale ed internazionale del Milan di Nereo Rocco. Il suo leggendario palmarès, composto di ben quattro Scudetti, una coppa Latina e la leggendaria prima Champions League per una s quadra italiana, vinta nel 1963 dopo un’emozionante finale contro il Benfica di Eusebio, detentrice delle precedenti due edizioni. La partita terminò 2 a 1, grazie proprio alle reti della leggenda portoghese, poi superate da quelle dell’attaccante oriundo Altafini. Esattamente 40 anni dopo, ad Old Trafford, il figlio Paolo vincerà la sesta Coppa dalle grandi orecchie, battendo la Juventus ai rigori. La genetica è incredibile.

Ma Cesare non è stata solo un fuoriclasse sul campo, ma anche un bravo allenatore: una Coppa Italia e una Coppa delle Coppe con il Milan, e ben tre Europei U-21 con gli azzurrini. Soprattutto con questi ultimi il suo lavoro è stato encomiabile: scoprire talenti delle nuove generazioni ed integrarli in una nazionale non bellissima da vedere, ma sicuramente fortissima. Nesta, Buso, Totti sono solo alcuni dei giocatori che riuscì a portare agli onori della cronaca. Nel 2002 assunse la guida della Nazionale paraguayana, portandola ai Campionati del Mondo in Corea e Giappone: avventura terminata con il raggiungimento degli ottavi di finale. Poi divenne un opinionista sportivo, fino al 2 aprile del 2016, nella cui notte si spense definitivamente il suo cuore rossonero, e la sua anima è finalmente arrivata dove deve stare: l’Olimpo calcistico. E visto che suo figlio, Paolo, è tornato in società, adesso riposa in pace. Per l’eternità. Campione, ma prima di tutto uomo.

 

La posteriorità di Daniel

Un millennial, con le sue passioni e I suoi difetti, nato da padre italiano e madre venezuelana a Milano, un solito e mite 11 ottobre. Ma cosa c’è di strano? Che questo ragazzino è nato in casa Maldini, è ragazzino non potrà rimanere per molto, come ha già dimostrato. Il suo comportamento, per l’età, è irreprensibile, come ha detto l’ex responsabile delle Giovanili rossonere Filippo Galli, mentre il uso percorso è stato a volte discontinuo, ma si tratta di un normale “cursus honorum” per un giovane talentuoso. Tuttavia, una caratteristica che ha stupito tutti gli addetti ai lavori è l’estrema somiglianza fisica e nei movimenti al padre Paolo, nonostante non debba difendere, ma offendere: embè sì, il piccolo di casa Maldini non è un roccioso difensore come papà e nonno, ma un trequartista di grande classe e qualità. Insomma, non potrà capire quello che proveranno I difensori di fronte a lui, di fronte al suo tocco delicato e alle sue finte con il corpo. Il suo compito sarà segnare e far segnare. Papà Paolo ha detto che in lui si rivede, anche perché è ambidestro.
Un’altra caratteristica importantissima nel calcio moderno: il dinamismo ha ridotto i tempi di reazione, e saper passare o tirare correttamente con entrambi I piedi è un ottimo requisito, soprattutto per un trequartista, che si trova nella zona nevralgica del gioco di una squadra. Per esempio, quando domandarono a Dembelè (quello del Barcellona, nda) se fosse mancino e destro, lui non seppe rispondere: poi l’avventura di quest’ultimo, ad oggi, non è stata esaltante, però avrà tempo di rifarsi se metterà da parte le nottate a giocare a Fortinite (problema che affligge molti giocatori, tra l’altro).

Tornando a Daniel, vediamo le sue prestazioni in quest’anno: 19 presenze e 7 goal in Primavera, una presenza in Coppa Italia Primavera e due goal in due presenze al prestigiosissimo torneo di Viareggio. Un giocatore, che per l’età, mostra numeri e giocate molto interessanti e anche se fino ad ora non ha avuto spazio in prima squadra, dalla prossima stagione, visto il progetto di Gazidis e Maldini (Paolo) che si baserà su giocatori di prospettiva da valorizzare, potrà dire la sua, con un allenatore come Giampaolo che è diventato famoso per aver fatto fiorire decine di talenti, e anche di averne fatti rifiorire, come Quaglierella. Inoltre, lo schema del tecnico ormai ex Sampdoria utilizza un trequartista, e un esperimento del ragazzino ci potrebbe stare. Perchè se si vuole tornare grandi bisogna anche rischiare. E buon sangue non mente, fidatevi.

Quindi: Paolo per la contemporaneità, Cesare per l’anteriorità e Daniel per la posteriorità. Facile, no? Il linguaggio rossonero è sicuramente più semplice del latino, ma se aveste difficoltà e vi piacesse la storia, fate così: Paolo l’apostolo, Cesare il dittatore e Daniel come... come Maldini.