Lo stress è una risposta biologica del nostro corpo a uno stimolo esterno. Ogni persona, almeno qualche volta nel corso della vita, ha provato una simile sensazione. Non è certamente piacevole. Non si riesce a spostare il pensiero dal fattore scatenante che ruba tutta la nostra mente andando a influire negativamente anche sull’umore. In quel periodo si rischia di essere negativi, scontrosi e si fatica a mantenere fluidi rapporti sociali. Chi sta accanto alla persona che vive un simile momento, facilmente percepisce la sensazione e il pericolo può essere pure quello che vi sia un contagio nella sensazione. Non si tratta di un virus che si trasmette da un individuo a un altro, detto questo, se una persona è molto emotiva o sensibile avrà maggiori capacità di captare lo stato altrui, ma al contempo rischia maggiormente di esserne influenzata.

Tutto questo nel calcio ha un valore fondamentale e ricade soprattutto sulla figura dell’allenatore. Questi deve essere la guida tecnica della squadra, ma nella sua opera diviene tremendamente importante l’aspetto psicologico. Lui deve mantenere l’equilibrio all’interno dello spogliatoio e nel gruppo. Il problema è che tale sistema si compone di tante persone e ognuna di esse ha un carattere diverso dall’altra. Il tecnico non si trova davanti ad automi, ma a individui con una mente pensante e un’anima. Per sentirsi a proprio agio ed esprimersi al meglio, ognuno di questi ha necessità di vivere sensazioni diverse. Esistono giocatori che hanno bisogno della responsabilità e dell’adrenalina che ne deriva per riuscire a fornire prestazioni di elevato livello. Al contrario, vi è chi percepisce troppo il peso della carica e preferisce rimanere in disparte. Esiste il calciatore che deve essere sempre mantenuto concentrato perché, per indole naturale, tende a non sentire pressioni e non riesce ad avere il corretto livello di ansia necessaria per fornire una buona prova. Allo stesso tempo, ci si può trovare di fronte al giocatore molto emotivo che non regge bene il peso dell’evento. In questo caso, occorre aiutarlo cercando di riportarlo al reale valore della situazione che andrà a vivere.

E’ chiaro che un allenatore è coadiuvato da un importante staff di collaboratori, ma lui è il loro responsabile. E’ il titolare della panchina ad avere l’ultima parola e a prendere la decisione finale. Il prezioso lavoro degli ottimi professionisti che lo aiutano è fondamentale, ma rimane sempre in un cono d’ombra. Il mister li rappresenta e, oltre ad avere l’incombenza dei risultati, percepisce pure quella data dalla necessità di far fruttare al meglio l’operato altrui. Insomma, è un mestiere incredibilmente stressante.

Si parla sovente della solitudine del portiere, ma forse ci si dimentica di quanto sia complesso il ruolo del tecnico. Non è un caso se molti di questi invecchiano velocemente. Quella dell’allenatore è una professione altamente stancate e i segni di questa fatica psicologica sono tracciati anche sul corpo. Sacchi ha smesso di allenare proprio perché lo stress lo stava logorando.

A tutto questo occorre aggiungere la pressione che deriva dal mondo esterno e dai media. Se fino a qualche anno fa tale aspetto era meno percepibile, allo stato attuale è assolutamente preponderante. Con lo sviluppo delle forme di comunicazione e la proliferazione dei mezzi è chiaro che non si riesce più a fuggire dalle critiche e dalle contestazioni. Ormai, l’allenatore ha il polso completo della situazione e può venire a conoscenza del pensiero di ogni singolo tifoso. Si guardi ai social e si pensi ad Allegri che è giunto al punto di chiudere il suo ormai celebre profilo.

Si è arrivati a un’estremizzazione davvero difficile da gestire per un singolo individuo che viene caricato di una responsabilità altamente stressante. Vi sarà chi contesterà dicendo che vi sono professioni il cui risultato è molto più importante. A questo punto si è sempre pronti a piazzare l’esempio del cardiochirurgo che deve operare a cuore aperto credendo così di giustificare in toto la propria tesi e di chiudere il contraddittorio. Non nego che sia assolutamente vero. Detto questo, non si tratta di una gara per decretare chi ha il mestiere più stressante. Si vuole solo rimarcare la difficoltà di svolgere l’opera dell’allenatore. Il secondo luogo comune che viene sempre alla luce è quello relativo ai lauti compensi che vengono percepiti da queste figure. E’ vero, basta una stagione da tecnico di una big e si può certamente smettere di lavorare per tutta la vita riuscendo a mantenere divinamente la propria famiglia per generazioni. Per chi vuole svolgere al meglio la propria professione e la ama, però, il soldo non fa la differenza.

Il problema è proprio che si vive all’interno di un mondo che è subito pronto a puntare il dito e criticare. E’ così in tutti gli ambiti e l’esposizione mediatica del calcio amplifica questa situazione in maniera esponenziale. E’ logico che non si possa piacere a tutti, ma non è corretto neppure essere costantemente alla berlina e non vedersi mai riconosciuto il risultato del proprio operato. E’ abbastanza avvilente.

Si pensi, per esempio, a Max Allegri. Solo ora che ha lasciato la Juventus si inizia a percepire l’importanza dei risultati che ha ottenuto sulla panchina sabauda. Il toscano, in bianconero ha svolto un autentico capolavoro vincendo 5 Scudetti, 4 Coppa Italia, 2 Supercoppe Italiane e raggiungendo in 2 occasioni la finale di Champions League. Tutto questo non è bastato perché la Vecchia Signora non esprimeva un buon calcio ed è uscita in 2 occasioni consecutive ai quarti di Coppa. E’ costantemente tra le prime 8 squadre europee, ma non è sufficiente. Si pensi anche a Gigi Di Biagio. E’ vero, la nostra under 21 aveva tutte le carte in regola per vincere l’Europeo Under 21. E’ uscita nella fase a gironi falcidiata dalle critiche. Ci si dimentica che gli azzurri hanno battuto la Spagna che ieri ha demolito 4-1 la Francia. L’Italia ha chiuso il suo gruppo con 6 punti che, in una competizione con un regolamento adeguato, avrebbero garantito certamente il passaggio del turno. La machiavellica e particolare normativa del torneo che si sta disputando alle nostre latitudini, invece, l’ha clamorosamente estromessa. La squadra di Di Biagio resta una delle migliori del continente, ma sul c.t. e sui giocatori sono piovute tante accuse.

Capita pure che quando si sottolinea al tifoso che commenta l’eccesso di critica ricordandogli che errare è umano, questo replica dicendo che si tratta solo di calcio. Si dimentica, forse, che il vituperato pallone rappresenta la professione di chi è bersaglio della sua momentanea ira sfogata sovente tramite social. E se fosse lui a essere colpito con cotanta veemenza per l’operato nel suo mestiere? Addurrebbe medesime giustificazioni per il suo “hater”? Senza il tifoso, il calcio non esisterebbe e si ringrazierà sempre tale figura fondamentale. E’ lui il protagonista, l’attore principale, tutavia deve cercare di limitare i suoi impulsi evitando di dare sfogo in tale modo alle sue più recondite frustrazioni. E’ anche vero che un allenatore o un calciatore difficilmente si lascia influenzare da certi fattori ma, come detto, è un essere umano dotato di cuore e sentimenti. Percepisce gli “stressor” e quanto lo circonda.

Ecco spiegata la situazione di partenza che attende Sarri alla Juventus. Tutto questo, poi, è assolutamente amplificato da molteplici altri motivi che rendono la sua avventura bianconera ancora più difficoltosa e potenzialmente logorante. Innanzitutto, arriva dopo Conte e Allegri. Significa sbarcare a Torino dopo 8 anni in cui la squadra che guiderà ha centrato un “en plein” di Scudetti, 4 Coppa Italia, 4 Supercoppe Italiane e 2 finali di Champions League. Dall’esterno della società si richiede, come minimo, un italico trionfo. I vertici della Vecchia Signora, però, avranno le spalle sufficientemente larghe per tutelare sempre e comunque la loro guida tecnica.

Il concetto prima espresso viene elevato all’ennesima potenza si si pensa che il toscano non ha mai vissuto l’ambiente bianconero portatore di un Dna molto particolare che si sintetizza nell’ormai celebre “stile Juventus”. Sarri sembra rappresentare l’opposto di tale tendenza, ma proprio questo aspetto potrebbe essere utilizzato dal tecnico come arma a suo vantaggio. Quando un fattore viene amplificato a livelli estremi diventa difficile mantenerne il controllo. Al contrario, se esiste uno strumento di contrasto, si potrebbe raggiungere un equilibrio fantastico e vincente. Se si mischia l’aforisma per il quale “vincere è l’unica cosa che conta” al concetto tipico del sarrismo per cui occorre, prima di tutto, esprimere un calcio empirico, si può davvero creare un qualcosa di metafisico. L’aspettativa è altamente affasciante. L’attesa è per una situazione che vada oltre la realtà del calcio sino a oggi conosciuto. Potrebbero raggiungersi condizioni mai precedentemente sperimentate e la Juve scriverebbe la storia. Il gioco dell’uomo di Figline mixato con il pragmatismo sabaudo. E’ davvero qualcosa di trascendentale che può chiudersi con un trionfo ineguagliabile o con un incredibile flop.

Sarri, poi, dovrà pure conquistarsi l’amore dei suoi nuovi tifosi. La situazione è completamente diversa da quella vissuta 5 estati fa da Max Allegri. L’accoglienza riservata al livornese fu di certo sgradevole, ma questi prendeva il posto di colui che era stato una bandiera della Juve e che l’aveva resuscitata dopo anni di anonimato. Il tecnico di Figline, invece, è erede di un allenatore che, ingiustamente, il popolo bianconero non ha mai amato sino in fondo. L’ex mister del Chelsea ha avuto sempre parole molto dure nei confronti della compagine di cui è attuale mentore, ma i supporter della Vecchia Signora ormai si fidano ciecamente della loro società e non hanno trattato Maurizio come fecero con il suo predecessore. Nonostante questo, è chiaro che se Sarri non dovesse ottenere risultati positivi, i tifosi ci impiegherebbero davvero poco tempo per rinfacciargli il suo passato.

A proposito: senza nulla togliere alle squadre che ha guidato in precedenza, la Juventus rappresenta l’apice della carriera di Maurizio e lui stesso lo ha rimarcato nella conferenza stampa di presentazione. Per un uomo che non ha avuto un curriculum importante da calciatore, scottarsi diventa ancora più pericoloso. Sarri ha dedicato tutta la sua vita al pallone rinunciando a una professione sicura come quella del bancario per coronare il sogno di divenire tecnico. Ora come mai prima, è il momento di raccogliere i frutti e non sarà certo semplice. Detto questo, le possibilità per farlo sono evidenti.

Se il rapporto con la Vecchia Signora non dovesse funzionare, il toscano avrebbe sicuramente altre chance. E’ chiaro, però, che i tifosi di altre compagini non lo accoglierebbero immediatamente di buon grado. In molti hanno visto la sua scelta come un “tradimento” nei confronti del mondo antijuventino e un eventuale ritorno al passato potrebbe rappresentare una “sconfitta”.

A 60 anni, Maurizio Sarri sta attraversando il momento più esaltante della sua carriera. Vi arriva meritatamente dopo una lunga gavetta iniziata dalla provincia toscana. Questa rovente estate che sta vivendo nella sua villa di San Benedetto del Tronto rappresenta un periodo altamente stressante. Anche se può sembrare il contrario, la scelta di accettare la corte della Vecchia Signora non è certamente la più semplice. Anzi, è la decisione più coraggiosa e rischiosa che potesse assumere.