Sognare è una magnifica attività. Durante il riposo e il sonno, la speranza è sempre quella che Morfeo ci conceda di vivere situazioni tanto desiderate che la realtà non permette di affrontare. Chi ha la fortuna di trascorrere simili momenti è sereno e felice, ma dopo qualche ora si rende conto che non vi era nulla di concreto. Solitamente il brusco risveglio capita proprio nell’istante migliore quando l’obiettivo era praticamente raggiunto. Tutto questo risulta davvero fastidioso e indisponente, ma non vi è altra soluzione che accettare la nuda e cruda verità con la speranza che un giorno quanto sognato diventi reale o, se impossibile, almeno di poter rivivere quella vicenda durante un piacevole pisolino. La pennichella, però, può pure accompagnare sgradite sorprese. In questo caso si parla di incubi. La situazione è completamente capovolta rispetto a quella descritta. Non sono un esperto e chiedo venia se sbaglio, ma i meccanismi paiono i medesimi con la differenza che sono opposti. L’improvviso risveglio avviene costantemente nel momento peggiore ed è salvifico rispetto a una circostanza molto negativa. La speranza è che quanto accaduto non si ripeta e le notti future siano più serene. Ci si concentri, però, sull’aspetto positivo del sogno. Non è detto che questa attività si debba sempre compiere tra le braccia di Morfeo. Può anche capitare di “viverla a occhi aperti”. Allora sarà ancora più bello. Avere la chance di concretizzare una simile visione è assolutamente stupendo. Sarebbe necessario che ogni persona godesse di tale opportunità. E’ stimolante e utile a motivare l’individuo che cerca di esprimere il suo lato migliore per raggiungere l’obiettivo. E’ la linfa che ci consente di vivere una realtà attiva ed energica. Senza l’aspettativa di centrare un target che rende felici, si rischia di cadere nei meandri di un’esistenza talmente piatta da divenire deleteria. Ognuno di noi dovrebbe cercare un proprio fine che, se lecito, può essere di qualsiasi genere e provare a ottenerlo a piccoli passi. Se anche irraggiungibile e mai pervenuto, ogni minima attività che conduca in quella direzione fornirà una carica fondamentale che permetterà di proseguire il cammino con la necessaria consapevolezza e serenità.


L’ambiente interista si trova esattamente in questa situazione. Ieri sono stato al “Mapei Stadium” dove ho assistito al match tra i nerazzurri e i padroni di casa del Sassuolo. Ho potuto toccare con mano quanto sopra riferito e l’esaltazione che sta vivendo in questo momento tutto il mondo che ruota intorno alla Beneamata. Per le gare dei neroverdi solitamente l’impianto reggiano assomiglia molto a un salotto. Ci si può recare al “Città del Tricolore” con estrema calma anche pochi istanti prima del fischio di inizio. Percorrendo una breve distanza a piedi, i molti parcheggi che circondano la zona periferica del confortevole stadio emiliano risultano quasi sempre accessibili anche durante le sfide con le big. Ieri era tutto murato. L’orda nerazzurra che camminava lenta verso il teatro della battaglia assomigliava tanto alla discesa degli Unni guidati da Attila. Non si offenda nessuno. L’immagine vuole intendersi in senso positivo. L’euforia, il coraggio e la compattezza che si manifestava nei tifosi dell’Inter è qualcosa di speciale che non si vedeva da anni e mi sento di scomodare il mito chiamato Josè Mourinho. Era dal periodo del triplete che questa società non mostrava tanto entusiasmo e quello che accade fuori dal campo pare essere esattamente ciò che si vive all’interno dello spogliatoio. L’eroe di questa situazione, il nocchiere dei sogni lombardi non può avere che un nome e un cognome: Antonio Conte. Il Demiurgo è sempre lui. E’ lui che raccoglie una squadra con buone capacità, ma non eccezionali, e la muta nella principale candidata alla lotta Scudetto contro la Juventus. E’ il Re Mida in grado di plasmare una discreta materia in qualcosa che oltrepassa di gran lunga l’effettivo valore. Se Aristotele diceva che occorre trasformare la potenza in atto, il pugliese riesce a fare in modo che il risultato sia ancora superiore rispetto quello che si avrebbe nella propria essenza. E’ un mago in grado di motivare l’ambiente come in pochi altri sono capaci di fare. E’ un allenatore dal carisma superiore e una guida praticamente spirituale per il suo gruppo, ma anche per il singolo calciatore. Sono convinto che se Conte dovesse far giocare un tifoso della sua squadra, per quei 90 minuti riuscirebbe ad avvicinarlo al valore dei professionisti in campo. Questo è il segreto del famoso “contismo” e la carriera del leccese ne è la prova concreta. Ha condotto la Juventus dal settimo posto della stagione precedente alla vittoria dello Scudetto, ha guidato una nazionale italiana lontana dai fasti del passato sino a un quarto di finale di un Europeo battendo Belgio e Spagna, ha raccolto il Chelsea in estrema difficoltà e ha vinto la Premier League. Il Condottiero è così. E’ un “aggiustatore” e questa definizione non vuole essere riduttiva. Osservando l’Inter ho notato come non mostri trame favolose o sia espressione di un calcio esteticamente straordinario, ma risulti tremendamente concreta nella sua semplicità. La passione, il cuore e la foga telecomandata dal Capitano in panchina sono l’arma vincente. E’ così che si arriva al sogno. E’ in questo modo che dopo 8 giornate di serie A, la Beneamata si trova al secondo posto solitario dietro a una Juventus invincibile da anni, con la consapevolezza che la classifica potrebbe restare simile sino al termine del campionato.

Come ricordato negli esempi precedenti, in situazioni vicine a quella attuale Conte non ha mai fallito e questa stagione rimarca alcuni aspetti che la rendono affine al 2011-2012. Quasi tutti ricorderanno quello che accadde. La Juventus veniva da 2 settimi posti consecutivi e, per risorgere, si affidava proprio alle cure di un giovane allenatore salentino che aveva recentemente guadagnato la promozione in serie A con il Siena. La Vecchia Signora si trovava a sfidare compagini più forti tra le quali spiccava il Milan campione d’Italia e assolutamente favorito per il bis Scudetto. In quella squadra giocavano calciatori come Nesta, Thiago Silva, Zambrotta, Gattuso, KP Boateng, Ibrahimovic, Pato e altri prestigiosi interpreti.
Alla guida di quel gruppo era un certo Max Allegri che in futuro avrebbe mostrato al mondo tutte le sue capacità. Già dal ritiro bianconero di Bardonecchia, Conte fornì i piemontesi del suo magico siero. Lentamente la squadra si modellò a sua immagine e somiglianza. Lo stesso fece l’ambiente intorno a essa. A metà campionato, con i rossoneri che guidavano la graduatoria e i sabaudi al secondo posto, Antonio decise che fosse giunto il momento di “guardare a chi sta davanti”.
Così iniziò la grande rincorsa che portò la Juve a un esaltante Scudetto.
 
Non me ne vogliano i tifosi del “Diavolo” e nemmeno chi sostiene questa tesi, ma a fare la differenza non fu la rete ingiustamente non convalidata a Muntari. Aggrapparsi a una simile giustificazione è utile quanto cercare di infilare le unghie sul vetro scivoloso di uno specchio onde evitare di cadere nel vuoto. E’ vero, si trattava di uno scontro diretto e con quel centro il Milan avrebbe posto 2 gol di scarto dagli avversari. E’ altrettanto realistico che vincendo quella sfida, poi pareggiata, la Vecchia Signora sarebbe stata spinta a 7 punti di svantaggio rispetto ai rossoneri. Questa, però, è pura aritmetica fine a se stessa. In un torneo con 38 giornate, a meno di clamorosi episodi che durino lungo tutto il corso dell’annata, la classifica finale è sempre lo specchio dei valori in campo.
Anche la Juve fu vittima di episodi arbitrali discutibili, ma riuscì comunque a vincere quel titolo che solo un clamoroso harakiri milanista con annessa capacità bianconera di non mollare mai condusse a Torino. L’Inter attuale ha lo stesso DNA di quella Vecchia Signora ed è simile pure nel potenziale. Handanovic è un grande portiere come lo era Buffon. Skriniar, De Vrji e Godin rappresentano un importante muro difensivo che unisce forza fisica, qualità ed esperienza ricordando la celebre BBC: Bonucci, Barzagli e Chiellini. Brozovic ricopre il ruolo che in quella squadra era del Maestro, Andrea Pirlo. Sensi e Barella sono i suoi scudieri pronti pure a inserirsi e usufruire della sua geniale inventiva. Lo stesso valeva per Marchisio e Vidal. Lautaro, Lukaku e Sanchez, invece, sono quegli attaccanti di cui forse la Juventus 2011-2012 non disponeva con un simile valore. Martinez ha molte caratteristiche che lo avvicinano a Tevez e ha tutto il potenziale per ripercorrere la grande carriera dell’Apache. Il belga ha il fisico di Llorente e, come mostrato anche ieri a Reggio Emilia, in serie A quest’arma può diventare fondamentale. Spendere aggettivi sul “Nino Maravilla” risulterebbe inutile esercizio di stile. A tratti il paragone tra le due squadre potrebbe risultare forzato perché, per esempio, per raggiungere i livelli di Pirlo, Brozovic dovrà lavorare a lungo, ma è molto utile per esprimere il concetto che si vuole manifestare. Dopo anni bui, è arrivato Spalletti e la Beneamata ha ritrovato la Champions. Con Conte si può cercare il successivo salto di qualità. A tutto questo si deve aggiungere una società che sta lavorando positivamente e che sta crescendo. Zhang, Presidente 28enne, mostra grande attaccamento alla maglia e buona capacità manageriale. Marotta è una garanzia così come Javier Zanetti e insieme fungono da importante guida per i colleghi. Anche quella Juventus viveva una simile situazione societaria con Andrea Agnelli che aveva da poco raccolto le redini del gruppo.

Il paragone, però, rischia concretamente di fermarsi qui. L’attuale Juventus è troppo forte e sembra rivale ben più ostica del Milan di allgriana memoria. E’ vero che i bianconeri hanno cambiato la loro guida tecnica e la speranza avversaria avrebbe potuto essere quella di una crisi di rigetto, ma la sostanza non sembra essere diversa. In 8 giornate, i piemontesi hanno conquistato 22 punti frutto di 7 vittorie e un pareggio. Sono primi in graduatoria e vincendo, con annesso dominio, lo scontro diretto di San Siro hanno manifestato chiaramente quali siano i valori in campo. La Juve è nettamente la squadra più forte della serie A, ma non penso fosse necessario uno studio scientifico per comprendere questo concetto. E’ impressionante sostenere che le ipotetiche “riserve” bianconere potrebbero tranquillamente giungere seconde in classifica dietro ai “titolari”. E’ una verità difficile da digerire per le rivali, ma è abbastanza evidente. Solo per esemplificare si pensi alla mediana di cui può disporre Sarri. Si immagini un rombo di centrocampo composto da Pjanic, Khedira, Matuidi e Ramsey. Ora, invece, si pongano al loro posto Bentancur, Emre Can, Rabiot e Bernardeschi.
Non si può non affermare convintamente che Conte è ancora dalla parte del vero quando rivela che la Vecchia Signora è troppo distante dalla sua Inter per potervi combattere alla pari. Il salentino ha già compiuto un passo avanti rispetto al passato e un autentico miracolo ringalluzzendo un ambiente piuttosto provato da anni difficili e da casi spinosi come quelli che hanno coinvolto Icardi o Nainggolan.
Ieri al “Mapei Stadium” udivo la curva nerazzurra cantare il noto coro: “Vi vogliamo così”. Erano davvero secoli che non si percepiva una simile soddisfazione. Non pare il caso di chiedere al Demiurgo pugliese di andare oltre le potenzialità umane. Le differenze tra il duello che nel 2011-2012 vide sfidarsi bianconeri e Milan e quello attuale tra l’Inter e la Vecchia Signora sono palesi. La realtà le ha già manifestate nella loro freddezza. Nove anni fa, proprio prima della sosta di ottobre, i sabaudi ospitarono i rossoneri per lo scontro diretto che vinsero 2-0 stritolando gli avversari. Nella medesima giornata di questa stagione, la Juve ha demolito la Beneamata a domicilio. Anche dal punto di vista psicologico una simile diversità non può essere sottovalutata.
Quella Vecchia Signora non doveva affrontare i difficili impegni della Champions potendo usufruire di tutte le energie sul campionato mentre l’Inter non può che onorare nel migliore dei modi l’impegno continentale e, se retrocedesse in Europa League, avrebbe comunque il medesimo compito. L’attuale campionato mostra valori molto elevati e, come rappresentato dai risultati, per la prima volta dopo tanti anni non esistono realmente partite semplici. E’ vero che, con l’eccezione della sconfitta allo Stadium, l’Inter ha sempre vinto, ma ha manifestato anche qualche lato debole. Si pensi ai 5 gol subiti nelle ultime 2 gare. Non è proprio sintomo del “contismo” che fonda gran parte della sua essenza sulla capacità di essere praticamente inviolabili. Da ultimo occorre considerare che al di là “dell’undici titolare”, i lombardi non dispongano propriamente di una compagine devastante. Contro la Juve e il Sassuolo, per esempio, l’assenza di Sensi è stata alquanto palese.

La grande euforia e l’entusiasmo che pervadono l’armata nerazzurra sono assolutamente positivi e rappresentano il “miracolo contiano”. Detto questo, il pugliese è molto abile nel cercare di evitare pericolosi voli pindarici e lo fa a ragion veduta. La Juventus resta la squadra nettamente favorita per il titolo. Solo un clamoroso harakiri dei piemontesi potrebbe portare la Beneamata sul trono d’Italia, senza considerare un possibile rientro del Napoli al momento più staccato. A meno di poco immaginabili colpi di scena, il grande sogno nerazzurro è momentaneamente destinato a rimanere tale. Ciò nonostante, non bisogna demordere perché i passi in avanti compiuti rispetto al passato regalano già importanti soddisfazioni e fanno sperare in un futuro vincente.