Vi giuro che vorrei cambiare tematica, ma è praticamente impossibile. Nonostante i palesi miglioramenti rispetto a qualche mese fa, il covid-19 continua a prendersi il proscenio anche a causa delle conseguenze che determina e la situazione dev’essere gestita nel migliore dei modi. Sono una persona piuttosto organizzativa e di solito cerco di pianificare dettagliatamente gli eventi della mia esistenza. Mi rendo conto perfettamente, però, che ciò non può sempre avvenire. L’emergenza coronavirus, ma pure altri aspetti della realtà hanno insegnato come non esistano certezze. Joseph Campbell affermava che: “noi dobbiamo essere disposti a lasciar andare la vita che abbiamo pianificato, in modo da vivere la vita che ci sta aspettando”. L’imprevisto è sempre pronto a subentrare. Se desideriamo non restare in uno stato di costante ansia, è necessario riuscire a concepire la possibilità di accettare gli eventi così come il mondo li propone. Alessandro Manzoni descrive perfettamente questa situazione con lo strumento della Divina Provvidenza. Nel momento in cui l’uomo si trova in estrema difficoltà, Dio interviene e lo salva. Il cristiano crede che ogni accadimento nel quale è coinvolto sia la manifestazione della volontà dell’Onnipotente. Il Signore conosce l’individuo e, se questi si affida a Lui, sarà costantemente protetto. Le sue decisioni, infatti, risulteranno determinate dal libero arbitrio guidato dalla sapiente mano dell’Altissimo. Quello che non dipende dall’uomo, invece, sarà proprio determinato dal Divino. E’ giusto e corretto sia a livello filosofico che concreto. Ammesso questo, si dice: “Aiutati che il ciel ti aiuta”. Occorre avere capacità di problem solving. Il dizionario di un noto motore di ricerca definisce tale locuzione come: “il complesso delle tecniche e delle metodologie necessarie all'analisi di una situazione problematica allo scopo di individuare e mettere in atto la soluzione migliore”. Si noterà come in tale disamina non esiste il termine “programmazione”. E’ assolutamente scontato, però, che sia da considerarsi sottinteso. Non si può navigare a vista. Penso sia un’impostazione fallace nella sua essenza. Quando ci si determina in tal modo significa che un allarme è già scattato. A quel punto si conosce la situazione in cui si versa ed è necessario pensare a cosa potrebbe accadere per porre in atto le strategie volte a contrastare il caso. Nel periodo più difficile dell’emergenza, forse, si sono attesi un po’ gli eventi. Quando il coronavirus è comparso a livello planetario e nell’istante in cui si è palesato dalle nostre parti, è servito troppo tempo per decifrare la vicenda. A mio avviso, non eravamo sufficientemente pronti pur avendo notato qualche avvisaglia importante. Un intervento più repentino e deciso avrebbe, forse, potuto evitare un dramma così cocente e una risposta tale da mettere in ginocchio l’economia. Dopo aver pianto le vittime di questa orribile catastrofe, si inizia, come prevedibile, a fare i conti con la sofferenza dovuta alle conseguenze economiche che hanno ricadute sulla salute. Il riferimento non può essere soltanto all’Italia, ma viene allargato anche ad altri Paesi. In ogni caso, non voglio addentrarmi nuovamente in questi ragionamenti. Anzi, noto che l’approccio istituzionale del Belpaese si sta modificando rispetto al passato. Ora si conosce leggermente meglio il nemico e non si rischia né una sua sottovalutazione, né l’ipotesi contraria. Occorre rispettare i protocolli onde evitare di ricadere nel pieno del problema. Questa volta non si avrebbe scampo. Il dualismo tra sanità pubblica ed economia sarebbe deleterio e definitivamente distruttivo. Esiste una pianificazione basata sull’utilizzo dei DPI, sull’igiene personale, sul distanziamento sociale e sul controllo dei focolai. Sono risposte concrete al problema. E’ logico che si possa discutere sulla bontà dei protocolli e che vi sia la chance di “limare” la situazione, ma ciò rientra in un’ottica maggiormente legata ai dettagli. Dopo la gravità della vicenda nella quale eravamo piombati, il sistema sta lentamente ripartendo. Urge porre ogni attività nella condizione di riuscire a riprendere per salvaguardare posti di lavoro e di conseguenza famiglie.

Questo è valso anche per il calcio. Prima di tutto si è cercato di tutelare il settore facendo ripartire il professionismo. Occorrerà lavorare al meglio per fornire le medesime chance anche a dilettanti e amatori. Non è semplice, ma il pallone ha una valenza socioculturale ed economica importante a tutti i livelli. Si pensi ai proprietari dei centri che consentono la pratica di tale sport tra amici e ai loro dipendenti. Si osservino anche i tanti giovani che vengono letteralmente “tolti dalla strada” grazie a questa forma di aggregazione. Gravina si è dimostrato un grande riuscendo a barcamenarsi tra infinite difficoltà e, ottenendo un ottimo risultato sul livello più elevato del sistema, ha salvaguardato pure la base della struttura che lentamente si riavvierà.
Chapeau. Il 29 aprile scorso, il Presidente della Figc dichiarava di non voler essere “il becchino del calcio italiano” e ha mantenuto diritta la rotta fino al raggiungimento dell’obiettivo che, molto probabilmente, gli donerà la palma di migliore numero 1 della storia federale. Non va dimenticato pure il contributo di Dal Pino, leader della Lega Serie A, dei Presidenti di alcuni club e di tanti giornalisti che hanno sostenuto l’opera di tali personalità. Chi si è opposto a una simile soluzione avrà certamente avuto le proprie ragioni e non è di sicuro il sottoscritto che cerca di convincerlo a modificare il suo parere. I fatti, in ogni caso, sono piuttosto palesi. Con la grande speranza che la situazione prosegua su questa falsariga, lo sport ritenuto da tanti come uno dei principali untori del recente passato non ha provocato alcun nuovo focolaio. Questi, purtroppo, si sono accesi in altre attività professionali. Era tutto molto prevedibile e comprensibile. Il pallone ha la fortuna di poter gestire somme di denaro che gli consentono protocolli ben più severi e rigidi. Esistono sempre 2 facce della medaglia. E’ logico che la quantità di moneta circolante in tale ambiente è estremamente grande, tanto da essere considerata da alcuni persino immorale. E’ la medesima, però, che concede livelli di sicurezza molto importanti.
Il prossimo passo sarà quello di permettere ai tifosi di riappropriarsi del proprio habitat, lo stadio. In questo caso, purtroppo, si entra nuovamente in una seconda fattispecie. In primis, l’importante era salvare il settore. Ora occorre avere pazienza e rischiare il meno possibile perché è logico che le linee guida rispettate dalle società diventano molto complesse per i supporter. Risulta, infatti, impossibile sottoporre a test sierologico o molecolare chiunque si presenti all’evento. Direte: “basta meno”. E’ vero, ma le problematiche sono comunque rilevanti. Si pensi anche solo agli impianti più piccoli e meno frequentati della serie A. In un’arena da 25mila posti bisognerebbe riuscire a inserirvi almeno 5-6mila individui soltanto per notare la loro presenza. Com’è possibile consentire un così elevato numero di ingressi senza creare assembramenti e con i controlli del caso? Spalmandoli nel tempo. Il rischio, però, è quello di un’attesa eterna per i primi che vi entrano. Non si può pensare di lasciare persone bloccate per ore all’interno di uno stadio vuoto. Potrebbero essere intrattenute come accade prima dei concerti, ma esiste una differenza di fondo. Solitamente si tratta di pubblico con esigenze diverse.
Un ulteriore dilemma è legato alla possibilità di circolare per la città. I tifosi avrebbero necessità di mangiare, bere ed espletare i propri bisogni primari così come dormire se provengono da lontano. Ristoratori e albergatori gioirebbero, ma gli scienziati? Per il momento, forse, meglio consentire l’ingresso solo ai residenti della Provincia d’appartenenza della compagine di casa o del teatro dell’evento. Anche in questo caso, però, sorgerebbero alcune difficoltà. Si pensi, per esempio, alla Champions League e alla Juventus. Quanti supporter bianconeri vivono a Torino? Davvero pochi… A Lisbona, la Vecchia Signora si troverebbe praticamente sola. Come si sceglierebbero, inoltre, i tifosi che avrebbero la fortuna di poter essere presenti all’evento? Allo stato dell’arte, la questione relativa al pubblico all’interno dello stadio appare alquanto complessa. Ci si lavorerà… Dal genio di Ceferin e Gravina, però, è lecito attendersi il meglio.

Mi ricollego, così, all’aspetto più tecnico del gioco. In tanti sostenevano che, senza gli appassionati, il calcio non avrebbe avuto senso. E’ giusto. I supporter sono il sale del pallone. Sono i fruitori e in loro assenza il sistema si autodistrugge. Detto questo, siamo nel 2020 e le televisioni trasmettono le gare. I tifosi hanno così modo di osservarle. Peccato che il Ministro Spadafora non sia riuscito nell’iniziativa di concedere qualche sfida in chiaro. Lo scopo primario sarebbe stato quello di evitare gli assembramenti nei locali, ma lo trovo alquanto particolare. Esistono, infatti, normative scritte all’uopo per regolamentare la situazione all’intero degli esercizi ed è necessario avere la forza di verificarne il rispetto. L’obiettivo raggiunto, invece, sarebbe stato quello di agevolare chi ha meno potenzialità economiche e, magari, non può permettersi un costoso abbonamento alla paytv. In ogni caso, lo spettacolo è garantito. Non ditemi che non vi siete divertiti durante queste ultime giornate di campionato perché non vi credo. Nonostante il caldo e l’afa, i match sono assolutamente godibili e i gladiatori del nuovo millennio stanno gestendo al meglio il forcing delle gare ogni 3 giorni. Si guardi alla Juve che, tolta la mezz’ora di blackout contro il Milan, pare avere trovato una quadra ed essere migliorata rispetto a prima del lockdown. Il sarrismo sta emergendo e ora il pubblico bianconero si diverte. L’Atalanta di Gasperini è straordinaria e ha raggiunto i 100 gol stagionali. Anche il Napoli di Gattuso viaggia ad alta velocità alla stregua dei ragazzi di Pioli. Altre compagini come Lazio, Inter e Roma hanno rallentato il loro ritmo, ma il dato che emerge sostiene la teoria per cui non tutti hanno sofferto la ripresa. Comprendo perfettamente il Presidente del Lione, Aulas, quando si lamenta del fatto che la Ligue 1 non sia ricominciata. I transalpini dovranno affrontare gli uomini di Sarri in Champions dopo 5 mesi senza partite ufficiali. E’ chiaro che, iniziando dal vantaggio provocato dall’1-0 dell’andata, potrebbero pure avere la meglio, ma non sarà semplice. L’unica pecca del ritorno estivo del calcio sono i tanti infortuni occorsi agli atleti. Non è un problema di poco conto, ma si tratta di malanni superabili se freddamente confrontati ai rischi di una mancata ripresa.

Il nostro pallone, così, si è mostrato forte ed è riuscito a tenere il passo dei migliori. Anche Germania, Inghilterra e Spagna hanno adottato le medesime soluzioni. In Italia si è giunti al traguardo con troppe polemiche e qualche scontro eccessivo tra tale disciplina e la politica. Questo non ha contribuito a lanciare messaggi positivi soprattutto verso l’estero e nei confronti dei protagonisti del sistema, ma il tempo può essere utile più di quanto pensassi a dimenticare i fatti. Macchiavelli sosteneva che “il fine giustifica i mezzi”. Potrebbe essere davvero così.
Non è, però, tutto oro ciò che luccica e il furto subito da Ribery rimarca ulteriori, importanti problemi. Il francese è stato chiaro e su Twitter non ha nascosto i suoi dubbi sul futuro alle Nostre latitudini dopo “i bei anni passati a Monaco”. Occorre sottolineare che il sito del giornalista Gianluca Di Marzio riporta in proposito un chiarimento operato da Frey. L'ex portiere specifica che Frank non sia intenzionato a lasciare la Toscana. Qualche settimana fa anche il milanista Castillejo ha vissuto una brutta avventura a causa dei rapinatori nel Capoluogo Lombardo e non è trascorso troppo tempo da quando alcuni uomini fecero irruzione nella casa torinese di Marchisio alla presenza del Principino e della moglie. Durante i duri mesi del lockdown non si faceva altro che giustificare le possibili paure dei giocatori affermando che sono primariamente uomini. E’ vero. Proprio per questo occorre comprendere la loro ansia determinata dal vivere in un Paese dove sono sottoposti a certi rischi. L’Italia non è questa. E’ necessario che lo capiscano. Urge spiegarlo a parole, come espresso da Firenze dopo quanto accaduto a Ribery, ma pure con i fatti. I dilemmi non finiscono qui. La ripresa del pallone ha prevedibilmente portato enormi ascolti al mondo dei media che si occupa del settore. In questo segmento vi sono anche le televisioni. Pure alla luce dei recenti accadimenti tra Sky e la Lega Serie A, continuo a ribadire che sarebbe il caso di valorizzare tale sistema. Credo che il servizio offerto dai mezzi di comunicazione sia di elevata quantità e ottimo standard. Si potrebbe migliorare il modello di fruizione e forse ne gioverebbe anche l’aspetto economico di ambo le parti interessate che non sembrano vantare rapporti propriamente idilliaci. Sotto questo profilo urge migliorare. Importanti “capitali esteri” hanno gettato gli occhi sui diritti televisivi del nostro pallone. Sono anni che si discute dell’ipotetica realizzazione di un canale apposito per la Lega Serie A. Pure la citata paytv potrebbe essere interessata a una simile situazione e, a fianco alla normale fruizione satellitare, occorrerebbe sviluppare pure la trasmissione online degli eventi e quella legata al digitale terrestre. Questi strumenti non sono ancora al top. Si può lavorare per progredire il sistema, ma occorrerebbe procedere senza troppe polemiche o screzi.

Il nostro calcio si è rimesso in moto e credo sia stato un successo per tutti. La ripartenza pare aver rappresentato la scelta più corretta, ma la vita regala sempre nuovi traguardi e il lavoro è ancora molto lungo.