…Vedo stelle che cadono nella notte dei desideri
È una notte come tutte le altre notti
È una notte che profuma di avventura
Ho due chiavi per la stessa porta
Per aprire al coraggio e alla paura…

(La Notte dei Desideri di Jovanotti)

Canta così Jovanotti. L’eterno ragazzo che mette in musica i sogni. Quelli che la notte del 10 agosto (la notte di San Lorenzo) ci tengono con il naso all’insù, alla ricerca di una stella che, cadendo, raccolga i nostri più intimi desideri e li trasformi in realtà. Ma in un agosto di calciomercato, fatto di equilibrismi finanziari e promesse da marinaio, più che le stelle a cadere sono le certezze. La certezza di vedere Lukaku con la maglia neroazzurra difendere lo scettro (conteso con Ibra) di Re di Milano. La certezza di vedere, per la ventiduesima stagione consecutiva, Messi incantare il mondo con la casacca del Barça.

Gli addii di Messi e Lukaku. E invece no. Il belga, che all’indomani dell’addio del suo mentore Conte aveva affermato di star bene all’Inter e di voler accettare la sfida di tornare a vincere lo Scudetto, lascia Milano e vola a Londra (sponda Chelsea). L’argentino, per il quale tutti avremmo visto un finale lì dove tutto era iniziato, firma un biennale da 35 milioni di euro netti a stagione con il Paris Saint Germain. Azzardato paragonare le due vicende? Vero. Ma entrambi erano diventati simbolo dei colori che indossavano: Big Rom era il volto di una nuova Inter, tornata protagonista, la squadra da battere, pronta ad aprire un ciclo vincente; la Pulce era la stella nata, cresciuta ed esplosa nel cielo di Barcellona. Storie diverse quindi, ma stesso finale. Promesse tradite e addi dolorosi. Le ragioni? Il denaro. Già sempre lui. 115 i milioni che entrano nella casse boccheggianti dell’Inter che, dopo la cessione prestigiosa di Hakimi, lascia andare un altro pezzo pregiato (che solo il 25 luglio scorso era stato definito incedibile dal DS Marotta). 11 i milioni netti a stagione che Lukaku percepirà al Chelsea. Ma non sembra essere l’ingaggio ad aver pesato sulla scelta di Lukaku. Piuttosto la consapevolezza (già fiutata da Conte) che per la società neroazzurra il risanamento del debito sia prioritario rispetto ai successi sportivi. Zero, invece, alla voce “entrate” per il Barça che dalla cessione di Messi, andato via a contratto scaduto, non ha ricavato un euro ma ha risparmiato sul monte ingaggi. Già il famoso salary cap fissato dalla Liga che, per la società catalana si è dimezzato nell’arco di due anni.

Questione di… agosto volge al termine e lascia dietro di sé una scia di rammarico e illusioni infrante. Lascia dietro di sé la nostalgia di un calcio che non c’è più. Quello delle bandiere. Quello delle maglie che restano tatuate sulla pelle. Quello dei contratti siglati sulla parola data. E non ce ne accorgiamo solo oggi. Sono anni che assistiamo a finali simili. Ma ogni volta è come fosse la prima volta. Ogni volta è come se venissimo svegliati bruscamente dal nostro sogno, quello di tifosi. Ogni volta è come se la nostra dedizione venisse presa a schiaffi. Ed è giusto restarci male. Non per masochismo. Ma perché è nella natura delle cose. Perché i calciatori sono ormai prima di tutto professionisti (alcuni di loro delle vere e proprie aziende) e il pallone per loro è una questione di lavoro. Noi siamo tifosi e il pallone per noi è una questione di cuore.
Sì, quello che per fortuna tornerà a battere fra poche ore negli stadi della Serie A. Green pass, mascherina e disposizione a scacchiera permettendo i cancelli degli stadi si aprono ai tifosi che possono tornare finalmente a riabbracciare i loro idoli. Perché i tifosi sono così: gli ultimi dei romantici, innamorati testardi e inguaribili sognatori.

Chiara Saccone