A Pirlo quel che è di Pirlo. Dopo aver perseverato in gravi errori in campionato (contro il Crotone, la Lazio e l'Inter i più evidenti e gravi), finalmente il "Maestro" sembra aver imparato la lezione.

Che l'equilibrio passasse dal centrocampo era evidente, e da quando Pirlo ha definitivamente abbandonato l'infelice (e falsa) convinzione di non poter giocare a tre in mezzo, mettendo finalmente Arthur al centro con due mezzali, la Juve ha iniziato a girare e, soprattutto, a non prendere gol. Dopo aver toccato il fondo sul secondo gol preso dall'Inter a San Siro, con la difesa schierata a centrocampo e i due centrocampisti quasi a ridosso dell'area avversaria su palla scoperta giocata da Handanovic (!!), in campionato la difesa è stata blindata a doppia mandata non solo (e non tanto) dal rientro di Chiellini (che già c'era eccome a Milano), ma dal benefico ripensamento tecnico dello schieramento a tre a centrocampo, da tempo auspicato.

Nella partita contro la Roma, vinta agevolmente in casa, è poi arrivata anche la saggezza tattica. Se si vuol vincere, non si può giocare sempre allo stesso modo contro chiunque. Lasciare spazio agli ottimi palleggiatori della Roma, giocando con la difesa alta, avrebbe determinato seri e irreparabili guai. Ma stavolta Pirlo l'ha capita, perché finalmente, forse conoscendo meglio mezzi e limiti della squadra, li ha sfruttati a suo vantaggio.
E così, abbassando senza timore la linea difensiva, ma rimanendo sempre compatta grazie al centrocampo più folto, la squadra è stata in grado di gestire a piacimento il match, sfruttando a pieno l'enorme talento offensivo a disposizione, che per far gol non necessita di azioni a tamburo battente. Ma non ci si affretti a dire - come stanno facendo in tanti - che è tornato lo sèirito allegriano. Su questo non sono d'accordo... Allegri giocava così sempre, anche contro il Carpi, con Pirlo non è e non sarà così.

Tra tutte, secondo me vanno sottolineate le prestazioni di McKennie e Morata, quelli che in molte pagelle non hanno preso la sufficienza: il sacrificio continuo dello spagnolo, che ripiegava sempre a dar manforte al centrocampo, e la diligenza tattica dell'americano, meno propenso all'inserimento in avanti per asfissiare il centrocampo romano e guardare le spalle ad Arthur, hanno dato perfettamente il senso della ritrovata unità del gruppo.