Sono nato negli anni ’90, e per quelli appartenenti alla mia stessa epoca e successivi, sentir parlare di sponsor, diritti televisivi e quant’altro nel mondo del calcio è assolutamente all’ordine del giorno. Certo, che una piattaforma di streaming lautamente pagata stia passando alle cronache per un servizio a corrente alternata è un’altra storia, ma tutti siamo consci di quanto il calcio necessiti di tali strumenti per la propria espansione e, ormai, per la sopravvivenza del movimento professionistico stesso. Eppure, come è ovvio che sia, non è stato sempre così. Anzi, in un moto che oserei dire “olimpico”, la FIGC osteggiò fino all’avvento dei mitologici anni ’80 la pratica delle sponsorizzazioni commerciali, considerate il nemico della “purezza” dello sport (ad assistere allo spezzatino a cui è stato ridotto il campionato di Serie A oggi o alla struttura della Coppa Italia partorita come strumento di conciliazione del sonno fa veramente ridere, ma tanto è).
Sul tema vi furono numerosi tentativi di aggirare gli ostacoli, uno fra tutti il nome: nessuna norma vietava infatti di utilizzare una denominazione commerciale come identificativo della squadra. La pratica abbracciò alcuni casi nelle serie inferiori, con qualche eccezione la cui più nota è indubbiamente il Lanerossi Vicenza, squadra cult.
Solo negli anni ’70 si cominciarono a muovere i primi piccoli passi, con l’autorizzazione per le società partecipanti al campionato di poter apporre sulle proprie uniformi di gioco eventuali sponsor tecnici, cioè solo e soltanto aziende che fornissero materiale di gioco (divise o guantoni nel caso dei portieri), e senza che fossero invadenti, con indicazione di spazi, centimetri e compagnia cantante ben definite. Troppo poco: il calcio era diventato da tempo non solo lo sport più importante su scala nazionale, ma aveva assunto un ruolo sociale ed economico di cui non si poteva non tenerne conto anche in termini puramente commerciali. La Federazione, però, era irremovibile: ai nastri di partenza della stagione 1978/79 le regole non consentono ancora eccezioni. Ma qualcuno si ingegna…

Il personaggio: Teofilo Sanson, gelati e rivoluzione

Negli anni ’60 il “Re del gelato” era lui, Teofilo Sanson, nativo di Conegliano nel 1927 il quale, partendo da un chiosco aperto nella città di Torino, riuscì a creare uno dei marchi dolciari più importanti del settore, che condusse ininterrottamente fino al 1988 e poi in un secondo momento dal 1994 al 2000, prima di cedere l’azienda la quale finì infine nella galassia Sammontana, che la tolse definitivamente dal mercato nel 2012. Due anni dopo si spense a Verona.
Fondatore di uno dei grandi simboli del commercio italiano ed amante del ciclismo, nel 1976 decise di avventurarsi nel mondo del calcio, rilevando l’Udinese.
Tempo una stagione, e nel 1977/78 la squadra riuscì a centrare la promozione in Serie B, vincendo anche due trofei. In primis, la Coppa Italia di Serie C, in una finale di fuoco disputata a Reggio Calabria il 17 giugno 1978 contro la Reggina, vinta per 2-0 grazie alle reti di De Bernardi a fine primo tempo e di Bonora su calcio di rigore a inizio ripresa, prima della sospensione del match decretata al 77’ dall’arbitro D’Elia di Salerno a causa di lancio di sassi in campo: il Giudice Sportivo omologherà il risultato del campo. Undici giorni dopo, la squadra del Nord-Est colleziona un altro titolo, alzando al cielo la nostalgica Coppa Anglo-Italiana contro gli inglesi del Bath City, travolti per 5-0 dalle doppiette di Nerio Ulivieri (cugino del più noto Renzo) e di Pellegrini, e dal sigillo di Palese. Il Presidente è ambizioso, e se sul terreno di gioco la squadra fa faville, è a causa (o grazie, dipende dai punti di vista) della sponsorizzazione che la stagione seguente passerà definitivamente alla storia.

L’idea rivoluzionaria

Che Sanson fosse un uomo dalle mille risorse, capace di trasformare un chiosco in un impero, era sotto gli occhi di tutti. Questa sua lungimiranza lasciò il segno anche nel gioco del calcio. Dicevamo: nel 1978 la Federazione impediva di avere degli sponsor esclusi quelli tecnici e che tra l’altro non potevano essere esposti in modo esagerato ma solo in precisi punti.
Il Regolamento delle divise da gioco esprime un divieto di apporre sponsor commerciali sulle maglie. Sì, è chiaro, probabilmente con maglia ci si riferisce all’intera uniforme ma, stando alla lettera del regolamento, Sanson ha l’illuminazione: non inserirà il marchio della sua azienda sulla maglia, bensì sui pantaloncini, bypassando il divieto imposto dalle norme federali. Certo, alcuni studi dell’epoca rilevarono che l’apposizione del marchio o della ragione sociale sui pantaloncini fosse molto meno impattante di una maglia (si parlava di rapporto di 3 a 10 in favore della t-shirt), ma è già un buon inizio. Il Presidente paga 100 milioni di lire dell’epoca e l’8 ottobre 1978, in occasione di Udinese-Foggia, la squadra friulana (che vede tra le sue fila anche Gigi Del Neri) si presenta alla gara con la scritta Sanson sui pantaloncini. La gara, per la cronaca, finisce 2-0 con reti di Bilardi e De Bernardi, due grandi protagonisti della stagione, ma il giorno dopo i media non fanno altro che parlare della trovata del “Re del Gelato”. Neanche tre giorni, e il Presidente della Lega Renzo Righetti invia un telegramma con cui invita la società a rimuovere il logo dall’uniforme, considerando la materia troppo delicata per tali iniziative estemporanee: serve una regolamentazione collegiale. Tra l’altro, lo stesso Righetti ammetterà che Sanson gli aveva detto che avrebbe impresso il proprio marchio sulle proprie divise, ma l’aveva presa come una battuta: mai avrebbe ipotizzato che ciò sarebbe avvenuto alla terza giornata del campionato cadetto. La questione si concluse con una multa di 10 milioni di lire e con la scomparsa del logo sui pantaloncini, ma la pubblicità derivante dalla questione diede un contributo fortissimo alle vendite dei gelati Sanson, che incrementarono e fornirono la prova che sì, le sponsorizzazioni non erano necessariamente il male, anzi, permettevano di creare benefici a tutte le parti coinvolte. Il campionato si concluderà con la vittoria del campionato e il ritorno nella massima serie per i bianconeri dopo 17 anni, che l’anno dopo completarono il ciclo con la vittoria della Mitropa Cup e che più in là abbracceranno tra le sue fila uno dei calciatori più forti di sempre, Zico. Il successo, però, andava ben oltre il primo posto: la strada era aperta.

Epilogo

Nel 1979/80, il Perugia, sull’onda di quanto accaduto l’anno scorso, diede la scossa decisiva per un radicale cambio di rotta. Dopo aver sorpreso tutti con un miracoloso secondo posto da imbattuta dietro il Milan campione nella stagione precedente, aveva tesserato il rampante Paolo Rossi, soffiandolo alla concorrenza degli stessi rossoneri e della Juventus. La stagione non decollò dal punto di vista dei risultati, ma il Presidente Franco D’Attoma, proprio per finanziare l’approdo in Umbria del futuro eroe del Mundial ’82, ricorse ad un accordo col gruppo alimentare Buitoni-Perugina. Esisteva però il nodo del divieto di apporre sponsor non tecnici. Soluzione? Venne fondato un maglificio con il nome del pastificio, Ponte Sportswear. La Federazione si mostrò coerente con il trattamento riservato a Sanson e multò il Grifone intimando la rimozione del logo, ma la società non demorse e continuò ad apporre i loghi non solo sulle maglie, ma persino sulle reti dello stadio Curi. Alla fine, ci fu la resa: il 23 marzo 1980, il Perugia divenne la prima squadra con lo sponsor ufficialmente riconosciuto, che aprì la strada al futuro.
E pensare che tutto ciò avvenne a seguito dell’intuizione del “Re del Gelato”.

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