La storia che vi racconto oggi è quella di un bambino appassionato di calcio, ma che per una vicenda o l'altra non riusciva mai a seguire il suo sogno.
Ho chiesto a questo signore che si è detto entusiasta di raccontare la sua vita e vederla pubblicata su un sito di calcio, sport per il quale ha vissuto per anni e anni con un discreto successo. Non farò il suo cognome per privacy.


Ho 99 anni e oggi cammino a stento, mi poggio tra il bastone e qualsiasi cosa mi trovo vicino. Quando mi sento stanco mi siedo e prendo fiato, già l'età... è l'età si fa sentire eccome.
Ringrazio il cielo che ho ancora una mente lucida e quando mi sento troppo stanco per camminare leggo dei libri o guardo la tv, ma quando non mi va di fare nulla e non ho sonno, chiudo gli occhi e ripercorro dei frammenti della mia gioventù.
Mi chiamo Felice e sono nato nella periferia di Roma, ma non quella che si vede oggi, con negozi, supermercati ogni due passi, no, sono nato in una casa, se così si possa chiamare, piccola, che dico piccola piccolissima.
I miei genitori erano due contadini, non esisteva la tv, c'erano al massimo due macchine in zona ed erano di due benestanti che potevano permettersela. Davanti a noi intere distese di erba, era tutta così un tempo la periferia, ma quali palazzoni, ma quali villoni, c'erano tutte casette basse, diciamo che si potrebbero accostare a quei seminterrati di oggi, quindi potete capire.
L'ignoranza era tanta, molti non sapevano né leggere né scrivere, io a stento mi ero imparato seguendo un ex professore caduto in disgrazia, era davvero un vantaggio per me, quindi imparai a scrivere e leggere, tentai d'insegnare anche mio padre e mia madre, ma non ci fu successo, loro purtroppo lavoravano dalla mattina alla sera, vivevano più per i campi che in casa, io e i miei fratelli li vedevamo soltanto la sera, mia madre per lo più quando rimaneva gravida, passavamo più tempo insieme.

Come vi dicevo non esisteva la tv e giocavamo a giochi inventati, al solito nascondino o acchiapparella, ma i giochi più diffusi in quel tempo erano il 'Cerchio', molte volte preso dalle vecchie biciclette rotte, come si giocava? Si metteva dritto e lo si lanciava per vedere chi riusciva a farlo restare più tempo in equilibrio. Poi c'era il 'Picchio' che era la Trottola quella con la corda. La corda andava intorno alla troppola e poi tenendo il finale della corda si lanciava in avanti la trottola e si dava una secca botta indietro con la corda in mano e si vedeva girare e girare che ipnotizzava tutti i bambini, ma anche avere una trottola in quei tempi non era facile a meno di avere un padre che sapeva farla con le proprie mani, mio padre - fortuna - mia riuscì a costruirmene una, forgiata nelle domeniche di riposo, che alla fine erano tutt'altro che di riposo.
Poi c'era la campana, già forse una delle cose rimaste intatte da allora.
Un giorno ricordo venne un bambino, ben vestito, si vedeva che era dell'alta borghesia, ci guardava come se stesse vedendo dei retrogradi, già avevamo un vestito, beh un vestito, era una maglietta della salute e un paio di pantaloni consumati dal tempo e le scarpe aperte, davanti si aprivano spesso e mio padre ogni volta le rincollava o ricuciva con quel che aveva.
Questo bambino però era restio all'avvicinarsi
. Ricordo ancora aveva un vestito blu a scacchi, delle scarpe nuovissime e non aveva nessun segno di sporcizia in dosso, era lindo e pinto. Sotto il braccio aveva una sfera, una sfera di cuoio, tanto che non capivo se era un gioco o una parte dell'abbigliamento. Così io e i miei fratelli (quattro fratelli e tre sorelle) lo guardavamo mentre tentavamo di continuare a giocare.
Lui era un palo, fermo, continuava a fissarci, forse vedeva qualcosa di strano in noi, come noi lo vedevano in lui.
Così da lontano il papà di quel bambino lo richiamò e gli disse "Cosa fai lì, vieni subito qui!". Il bambino corse verso il padre che lo stava retarguendo, anche il signore era ben vestito e aveva una macchina bellissima, aveva se non ricordo male una Alfa Romeo 20-30 H una macchina da ricchi, quali erano.
Così i giorni passarono e quel bambino ogni volta lo vedevo nelle vicinanze, ma sempre a debita distanza da noi. Il mio papà un giorno mi disse "Chi è quel bambino ?" e io gli risposi "Papà è un ricco, ma non capisco cosa fa da queste parti", mio padre fece una faccia strana, da malfidato qual era degli altri, lui aveva sempre paura che ci fosse qualche ladro nei dintorni, era così forse perchè quel poco che avevamo da mangiare era come un lingotto d'oro dopo giornate e giornate di lavoro estenuanti.
Mio padre aveva 25 anni, ma per la fatica vissuta sembrava un vecchio del periodo, che non era un novantenne di oggi, prima a 40 anni erano già anziani, il lavoro di prima era molto ma molto pesante per chi faceva i lavori di campo: patate, grano, frutta in generale, orti ecc.

Un bel giorno questo bambino si presentò davanti a noi, così che avvicinandomi gli dissi "Vuoi giocare con noi?", lui ci guardò e disse "Ma perchè siete tutti sporchi?", noi non capivamo davvero cosa stesse dicendo, al quale gli dissi "Sporchi? Ci siamo fatti la doccia due giorni fa!", il bambino ci disse "Due giorni fa ? Io mi lavo tutti i giorni", così gli dissi "Tutti i giorni... beato te". Guardandoci ci chiese "Volete giocare alla palla con me?" noi guardavamo quella palla come qualcosa di strano, non ne avevamo mai vista una prima, così da ignorante quale ero gli dissi "E come si gioca a palla?", lui ci guardò e rispose "E come vuoi giocarci? Con i piedi o con le mani".
Mise la palla atterra ed esclamando "Pronti...via!" partì con quella palla al piede e mentre correva diceva dei nomi "Amadei, salta l'avversario e la passa a Losi, che scarta il terzino e la passa a Ghiggia che..." intanto noi gli correvamo dietro, ma non riuscivamo a togliergli quella palla, così mia sorella Maria prese la palla con le mani e lui esclamo "Punizione!", così che mia sorella si mise a piangere e disse "Perchè dovrei andare in punizione ?" e lui avvicinandosi le disse "No, è punizione perchè la palla con le mani non si può toccare a meno che tu non sia il portiere. Tu sei il portiere?", mia sorella per non essere 'punita' disse "Sì, sono il portiere" e lui "Allora adesso passala a qualcuno di noi. Maria la passo mio fratello Pietro che la passo a Fausto, che la passò a me, in quel momento provai ad imitare quel bambino, ma inciampai sulla palla e caddi a terra sbucciandomi il ginocchio, ma mi rialzai come nulla fosse con il sangue che colava su tutta la mia gamba sinistra.

Tutto sembrava nuovo, ma una voce ruppe il silenzio "Franco! Vieni subito qui, ti ho detto che non devi andare là". Il bambino da felice sembrava impaurito dalle parole del padre, chissà perché non voleva che stesse con noi.
Ma da bambino ci pensi in quell'istante e poi passa, anche se il vuoto lasciato da quella palla ci portò a non saper cosa fare, ci aveva stregato, mi aveva stregato.
Io e i miei fratelli provammo in tutti i modi a ricostruire una palla, dagli stracci sporchi buttati nei secchioni, da qualsiasi cosa che trovavamo per le campagne, ma nulla riusciva a dare lo stesso risultato. Franco tornò due settimane dopo, ma se aveva la sua palla solita, ne aveva portata una nuova, io rimasi ancora più ammaliato da quella palla, lui mi disse "Felice questa è per te!", io non la presi e gli dissi "Non posso prenderla, mio padre non me la può comprare", Franco mi disse "No Felice, ma quali soldi, te la regalo", la presi e la tenevo stretta a me come una pietra preziosa.
Proprio in quell'istante il padre arrivò davanti a noi e guardandoci con un aria strana disse al figlio "Lo vuoi capire che qui non devi venire?", dal buio della casa uscì mio padre davvero arrabbiato "Voi chi siete?" rivolgendosi verso il padre di quel bambino "Forse c'è qualcosa che posso fare?", il padre di Franco disse "No, sono venuto a prendere mio figlio che viene sempre qui, e non voglio", così mio padre gli disse "Non sarà mica perchè siamo poveri?", il signore era in imbarazzo e mio padre forse lo fece andare più in difficoltà di prima, quando gli disse "Si siamo poveri, e quindi? Questo non significa che siamo gente sbagliata, anzi forse gli sbagliati siete voi, che avete tanto e volete di tutto e di più. Se non è di vostro gradimento non siete i benvenuti".
Franco prese posizione con un "Papà, loro sono miei amici", il padre però lo riportò con i piedi atterra "Loro non possono essere tuoi amici. Loro hanno i loro amici", mio padre quindi si avvicinò e con uno sguardo che avrebbe impietrito il più temibile fuorilegge gli disse "E quali sarebbero gli amici dei miei figli? Forse crede che i poveri che rubano un tozzo i pane siano ladri? No signore, sono poveri che non possono mangiare. Noi siamo poveri, ma non abbiamo mai toccato nulla a nessuno e non lo faremo mai", queste parole fecero cadere nell'oblio il papà di Franco, che tirando fuori un fazzoletto bianchissimo dal suo taschino disse "Franco andiamo che è tardi".
Franco però sembrava non volersi muovere da lì, anzi disse al padre "Papà a me non interessa come siano vestiti, non interessa se sono ricchi o poveri, loro sono miei amici", il padre in difficoltà sotto lo sguardo di mio padre e di noi bambini chinò la testa e andò via. Io e i miei fratelli ci divertimmo tutto il giorno con quel pallone, e piano piano imparai a gestirlo, ripetevo all'infinito le movenze di Franco, e dopo essermi sbucciato all'infinito le ginocchia alla fine riuscii a imparare tutto.

Passarono ben 5 anni, e di Franco non se ne ebbe più notizie, forse il padre gliela aveva fatta pagare cara, forse non sarebbe più venuto e chissà non l'avremmo più visto.
Un bel giorno mentre giocavamo per strada si avvicinò un signore distinto, anch'esso si vedeva che era benestante, mi disse "Senti un po' te", indicandomi con il dito indice, "Chi io?" risposi "Si proprio te". Così mi avvicinai e mi disse "Ti piacerebbe giocare con una squadra di calcio?" io gli dissi "Una squadra di calcio ? Devo chiederlo a mio padre", lui mi disse "Allora andiamo da tuo padre, dove sta?". Così lo portai da mio padre, che era intento a rattoppare qualche falla del soffitto di casa dove filtrava l'acqua e gli disse "Buongiorno voi siete il padre del ragazzo?", mio padre scendendo da un mobile usato come scala gli disse "E voi chi siete? E che volete da mio figlio?", questo signore gli disse "L'ho visto giocare al pallone e sembra essere molto bravo, quindi volevo portarlo a giocare con la mia squadra". Mio padre lo guardò con aria rude e gli disse "Dove vuole partare mio figlio? Non ci pensi minimamente, mio figlio deve restare qui". Ma il signore non sembrava appagato dalla risposta e rincarò la dose "Suo figlio è un talento e diveterà un grande calciatore". Mio padre gli rispose "Mio figlio è un talento e lavorerà la terra come abbiamo fatto noi, ha capito?". Io allora gli chiesi "Papà andiamo insieme, voglio giocare al pallone, e se non riesco lavorerò i campi, va bene?". Così mio padre dopo molti rifiuti si decise, ma non prima di aver detto al signore estraneo "Che sia ben chiaro mio figlio va dove vado io, quindi io sarò sempre presente. Secondo poi soltanto di domenica perchè la settimana lavoro i campi", il signore rispose "Certo, non glielo vogliamo rubare, tranquillo".
Così dopo una settimana il signore si presento a casa e vedendoci ci disse "No, vestiti così non ci si può presentare" e da una valigia di pelle tirò fuori due vestiti "Ecco a voi indossate questi"; mio padre non aveva mai visto un vestito nuovo e nemmeno io, quindi fece un sorriso e disse "Signore io accetterei anche, ma non ho i soldi per pagare i due vestiti", e il signore "Ma quale soldi, sono i miei", mio padre "E' uguale, ho paura che si rovinino, preferisco mettere qualcosa di mio", dopo varie insistenze alla fine ci vestimmo come disse lui.
Mio padre non era mai uscito dalla nostra abitazione se non per lavorare i campi, quindi si ritrovò a bordo di un carro trainato da un cavallo con davanti il signore che ci era venuti a prendere, mentre io e mio padre eravano dietro nella parte del trasporto dove si metteva il fieno, per intenderci. Mio padre mentre ci dirigevamo verso il luogo da raggiungere mi disse "Copriti bene, mettiti questo fazzoletto" tirandolo fuori dalla tasca dei pantaloni e me lo avvolse intorno al collo. Arrivammo quindi a destinazione, sembrava tutto così strano ma bello. Entrammo, e questo signore parlando con un altro gli disse "Questo ragazzo è Felice, ha un buon tocco di palla, guarda se può andare bene per la nostra squadra".
Io ero rimasto ammaliato dal campo, un campo con due porte enormi, mio padre disse "Sei contento ?" io risposi con un sorriso gigante, lui mi disse "Però ricordati che se non va...", lo interruppi "Si papà, non mi dimentico la promessa".
Avevo 14 anni e la possibilità di giocare al pallone in un campo vero, di terra, tanto che mio padre fece una battuta "Sai che bel campo di patate che uscirebbe qui?", e fece una risata che non aveva mai fatto in vita sua.
Mio padre quindi parlò con un signore che chiamavano 'Presidente' e io fui invitato a cambiarmi ed entrare in campo, mi venne dato tutto maglia, pantaloncino e 'scarpini', mi dissero non potevo giocare con le mia scarpe, ma dovevo indossare gli 'scarpini', "che strani... sono alti come degli stivali" pensavo "Hanno queste sporgenze sotto chissà a cosa servono. Ma se ha detto d'indossarle le indosso". Quindi entro in campo e vado verso gli altri, tra loro c'era Franco: "Franco! Che ci fai qui?", al quale alzando lo sguardo rispose "Felice!".
Erano passati 5 anni, e pensavo di non rivederlo più. Allora mi disse "Quando mi hanno chiamato a giocare qui, gli ho detto che c'era un mio amico che era innamorato del pallone e gli ho chiesto di andare da lui", io quindi gli dissi "Sei stato tu a mandarlo?", "Si" rispose.
Mio padre intanto fuori aveva ancora una volta incrociato lo sguardo del papà di Franco, stavolta ci fu una stretta di mano tra i due, forse mio padre aveva lasciato scivolare addosso tutto quel che successe cinque anni prima.

Da quel giorno facevo casa campo di corsa, mio padre alla fine decise che era il momento di crescere e mi mandò da solo a fare gli allenamenti, mentre non mancava una partita, che fosse sotto la pioggia e il nevischio raro da queste parti.
Tutto andava a gonfie vele, e mi trovavo molto bene, quando sul più bello... mio padre un bel giorno tra un acciacco e l'altro decise di chiudere con i campi, non era più in grado di lavorare la terra, quindi non c'era più nessuno pronto a portare il companatico a casa.
Il mio sogno poteva dichiararsi chiuso, la mia famiglia aveva bisogno di me ed io avevo promesso a mio padre che avrei seguito il suo consiglio qualora non fossi riuscito ad impormi nel calcio, ma qui c'erano delle bocche da sfamare e il calcio mi divertiva, ma non dava soldi.
Ricordo ancora, era il 1931, una giornata d'inverno, forse Gennaio se la mente non m'inganna, presi il mio sacchetto dove riponevo i miei vestiti e a testa bassa guardai ancora una volta il campo e gli 'amici' di squadra, e tra una lacrima e l'altra e tornai a casa.
Da quel giorno tra il lavoro al campo e i sogni spezzati, ripercorrevo le partite.
Un bel giorno però si ripresentò quel signore che anni prima si presentò per portarmi a giocare al calcio, Achille per la precisione, che era tornato con una proposta "Felice, prepara tutto che è pronto un contratto per te", "Un contratto? Stai dicendo che mi pagheranno per giocare?", "Sì, certo. Non dovrai più lavorare i campi".
Alla soglia dei 20 anni sentire quelle parole mi riaprì il cuore, da quel giorno la mia famiglia poteva vivere con i soldi di una cosa che a me piaceva fare e divertire. Firmai un contratto per 20 lire per un anno, tanti soldi, tantissimi all'epoca, ci mangiavamo e ci vestivamo tutta la famiglia erano tanti, ricevetti anche 5 Lire per mantenere la mia famiglia per i mesi antecedenti lo stipendio.
La mia famiglia da allora riuscì a vivere bene gli anni a seguire. Dopo due anni riuscii ad aprire un piccolo negozietto di rattoppi a mio padre, che si reinventò restauratore di mobili, mia madre potè restare a casa ad accudire i miei fratelli più piccoli.
La mia carriera calcistica iniziò a divenire importante e mi trasferii in alta Italia dove strappai un contratto da 50 Lire l'anno, dei quali 20 li giravo alla mia famiglia per i miei fratelli. La mia carriera si chiuse a 30 anni per un infortunio subito che non riuscii a superare mai del tutto. Il resto della mia vita poi fu un salire di emozioni, dalla mia fidanzata conosciuta nella mia amata Roma, che divenne mia moglie e che mi diede 3 figli che non seguirono la mia passione, ma scelsero altre strade e ben per loro.
Mentre io ho visto passare questi miei anni con la serenità e con la consapevolezza che non si deve mai dimenticare da dove si parte, da quali sono le nostre radici e soprattutto di non vergognarsi mai di dire che si era poveri o che si versava in situazioni critiche, ma che si balza al parlare sempre da quando si è cominciati a stare bene, non bisogna mai e dico mai cancellare il passato, anzi il bello sta proprio nel raccontare la nostra vita per tutta la sua interezza e non a metà.
La vita è una e se non c'è nulla da nascondere perchè non raccontarla?


Poi ritornando al presente mi disse:

Non mi era mai successo d'incontrare un 'giovane' che non fa parte del giornalismo italiano, ma che si diletta come te a farmi una intervista così, te ne sono grato, anzi stimo più la gente come te, che quelli che se la tirano e sono solo 'importanti' perchè vanno in tv o fanno i professoroni che poi non sono.
Spero di aver fatto passare alcuni minuti di vita vissuta ai lettori di VXL.
C'è un modo per sapere il pensiero dei lettori? "Sì certo, sotto l'articolo si può dire la propria".
Quindi sono un vecchietto quasi centenario, anzi spero di arrivarci per dire di aver vissuto 100 anni su questa terra, martoriata da tutto e di più, ma pur sempre un bel vedere almeno agli occhi.
Siete tutti giovani in questo VLX? "Diciamo che si varia con l'età, dal giovincello all'esperto e ce ne sono più di uno".
Sì nella scrittura non c'è età, quindi credo che si possa descrivere 'diversamente giovani' dal più giovane al più vecchietto senza contare l'età, e se lo dico io a 99 anni credo nessuno si possa offendere.

Un abbraccio a tutti i lettori, e a chi si sente di lasciarmi un messaggio sarei davvero felice di leggere i vostri commenti e perchè no, di rispondere alle vostre domande.
Ciao