Oggi scattano le semifinali di Champions League e, purtroppo, dopo due anni di fila, non ci sarà alcuna squadra a rappresentare il tricolore.

In un decennio dominato dalle squadre spagnole, solo la Juventus è andata vicina alla conquista per ben due volte del tetto d’Europa, da quel 2010 in cui l’Inter divenne, ad oggi, l’ultima squadra italiana a portare il titolo in Italia.

Questo articolo vuole proporre alcuni elementi, tattici e non, che appaiono fondamentali per potere ambire ad alzare la Coppa dalle grandi orecchie, prendendo in analisi le ultime 20 edizioni della Champions League, dal 1998/99 fino a quella scorsa.

1) LA DIFESA A 4

Analizzando lo schieramento tattico tipico delle 20 squadre che hanno alzato il trofeo, emerge in modo palese che, se da una parte è possibile variare lo schema da metà campo in su, 18 edizioni su 20 (il 90%) sono state vinte da chi utilizza la difesa “classica”: due terzini e due centrali di difesa.

A confortare ulteriormente questa tesi, quasi universalmente riconosciuta, è il fatto che le uniche due volte in cui a trionfare sono state squadre con 3 uomini (o 5 mascherati) dietro, sono state il Real nel 1999/00 e il Bayern nel 2000/01.

Quindi, nelle ultime 17 edizioni tutte hanno vinto difendendo a 4, a prescindere dal modulo utilizzato (il 4-3-3 la fa da padrone visti i successi delle spagnole).

E’ anche vero, però, che la stragrande maggioranza dei tecnici utilizza tale meccanismo difensivo.

Tra i top manager che prediligono la difesa a 3 c’è Antonio Conte, uno dei pochi che potrebbe tentare di sovvertire quella che appare una tesi incontrovertibile in futuro.

 

2) ESPERIENZA DIFENSIVA

Una delle massime in ambito calcistico è che, mentre per un calciatore di movimento il periodo migliore della carriera va dai 25 ai 30 anni, per il portiere avviene in una fase più avanzata.

L’albo d’oro della Champions League sembrerebbe dare man forte a questa convinzione.

Over 30: 11 Edizioni

27-29: 5 Edizioni

Under 25: 4 Edizioni

Se togliamo l’exploit di un giovanissimo Casillas (che vinse nel 2000 e nel 2002, sebbene in questa ultima edizione non fu titolarissimo a favore del trentenne Cesar), del primo Victor Valdes nel 2006 e quello recente di Ter Stegen nel 2015, in tutti gli altri casi l’età minima del portiere titolare della squadra vincitrice era pari almeno a 27 anni; ancor più alta la percentuale degli over 30.

Dati alla mano, quindi, servirebbe avere tra le proprie fila un portiere di provata esperienza che dia affidabilità e sicurezza al resto del reparto difensivo.

Altro dato interessante riguarda l’età media dei centrali difensivi: la più bassa per il campione preso in considerazione è quella formata da Piquè e Mascherano nel 2009: 50 anni in due.

Quindi, l’età minima media per vincere è 25 anni; la media invece generale degli ultimi quattro lustri si aggira tra i 27 e i 28 anni.

Ergo, se si vuole dare fiducia ad una giovane leva, è importante affiancargli un valido supporto esperto e che sappia intervenire nei momenti topici del torneo.

Lo stesso Ajax, lodatissimo per la sua cultura, al fenomeno giovanissimo De Ligt spesso affianca Blind, terzino multitasking che ricopre anche il ruolo di centrale, che sulle spalle ha tanti anni di Premier e di esperienza internazionale acquisita con il Manchester United.

Il segreto è, come al solito, equilibrio tra solidità e freschezza.

 

3) TERZINI A TUTTA BIRRA

Scorrendo i nomi di chi ha governato le corsie laterali difensive, ci accorgiamo che nella maggior parte delle occasioni non servono terzini con poca spinta e difensivi o, addirittura, centrali adattati.

Un pilastro comune ai club che hanno vinto è la presenza di almeno uno, se non entrambi, terzini che abbiano spiccate doti in fase di partecipazione alle azioni offensive.

Salgado, Roberto Carlos, Lizarazu, Sagnol, Evra, Maicon, Dani Alves, Lahm, Marcelo sono i più noti esempi di treni necessari per conquistare la fermata europea.

 

4)LA COMPLEMENTARIETA’ DEL CENTROCAMPO

È evidente che la mente dei tifosi è sempre legata alle superstar e ai goal che strappano applausi.

Ma le statistiche ci insegnano che non basta una raccolta di figurine per vincere i trofei: gli esempi recenti di PSG e City, in tempi passati il Real “galattico” , sono piena dimostrazione che oltre alla fantasia servono muscoli e temperamento.

Servono i Nicky Butt, gli Hargreaves, i Gattuso, i Busquets.

Gente che nel gergo deve pensare a “fare legna”, a mordere le caviglie e a far percepire la presenza nel cuore del rettangolo di gioco.

Insieme ad un elemento con queste caratteristiche, è necessario affiancare almeno un piede buono, il riferimento costante dal quale devono passare tutti i palloni.

Non è un caso che abbiano vinto le squadre con in campo i seguenti architetti.

1998/99

Beckham

1999/00

Redondo 2000/01

Scholl

2001/02

Figo

2002/03

Rui Costa

2003/04

Maniche

2004/05

Gerrard

2005/06

Deco

2006/07

Pirlo

2007/08

Scholes

2008/09

Xavi

2009/10

Cambiasso

2010/11

Xavi

2011/12

Lampard

2012/13

Schweinsteiger

2013/14

Modric

2014/15

Rakitic

2015/16

Modric

2016/17

Modric

2017/18

Modric

Questa è l’alchimia vincente: classe operaia e ingegneria, che diventano combinazione esplosiva per il successo.

 

5) IL CENTRAVANTI

Il mito del “falso nueve” come nuova frontiera del calcio ha trovato terreno fertile nell’opinione pubblica; un nuovo modo di intendere l’organizzazione offensiva, un’innovazione votata al “tiki taka”, ai fraseggi nello stretto e alla circolazione palla a terra.

Eppure, il modello che vorrebbe una squadra priva di un centravanti non garantisce successi, anzi, i dati parlano chiaro.

Lo stesso Barcellona, che vinse la Coppa nel 2011 adattando Villa ad attaccante centrale senza possedere le tipicità della punta, ha vinto gli altri titoli prima con Eto’o (2006 e 2009, tra l’altro proprio con in sella Guardiola in quest’ultimo caso) e poi con Suarez nell’ultima edizione trionfale del 2015.

Un altro paio di eccezioni le troviamo nel Porto del 2004 e nello United del 2008, che schierava il tandem “leggero” Tevez-Rooney.

In tutti gli altri casi, il centravanti è sempre stato presente e decisivo: dal Morientes dell’era Del Bosque, al Filippo Inzaghi degli anni di Ancelotti, per poi passare ai vari Milito, Drogba, Mandzukic, finendo al più recente Benzema.

Ma anche elementi non propriamente illustri, quali Elber nel Bayern vittorioso nel 2001 o Milan Baros nel Liverpool di Benitez del 2005: grandi nomi o meno, la prima punta per definizione è sempre stata presente nelle formazioni tipo dei team che hanno vinto, pur con un’evoluzione del ruolo necessaria per adattarsi ai tempi e alla velocità di gioco,  che consenta di partecipare più attivamente alla costruzione del gioco di squadra.

 

6) LA STELLA

Raul, Zidane, Sheva, Ronaldinho, Kakà, CR7, Iniesta, Messi, Sneijder, Robben, Ribery, Neymar, Bale.

E’ innegabile: va bene il modulo, la difesa impermeabile, la spinta dei terzini, l’organizzazione di gioco e la presenza di una punta pesante.

Ma siamo onesti: niente si sarebbe potuto realizzare senza i giocatori citati, capaci di tramutare i sogni in realtà, capaci di accendere le fantasie dei tifosi e di essere decisivi come nessun altro.

La fantasia, l’estro, il guizzo che incendia gli animi delle folle, la giocata che concretizza il sentimento che proviamo: l’estetica del calcio, quando non è fine a se stessa, è un’arma letale per portare a casa il massimo dei risultati.

Perciò, ogni squadra che vuole ambire a vincere deve avere in rosa qualcuno oltre la media, che sia in grado di far cambiare le sorti di un match da solo.

 

7) LA BUONA SORTE

Sì, qualunque squadra abbia vinto l’edizione della Champions League ha avuto la sua dote di fortuna.

Ovvio, per vincere bisogna possedere le precedenti caratteristiche unite ad un ambiente favorevole, ad una società presente e ad un mister valido.

Ma la storia insegna che per arrivare in cima una botta di buona sorte è quasi fondamentale.

Esempi? La rimonta folle dello United divenuta leggendaria nel 1999; i rigori fatali al Valencia contro il Bayern nella finale di San Siro che fecero tornare al successo i bavaresi dopo 25 anni; il primo Milan di Ancelotti con il goal di Inzaghi/Tomasson all’ultimo istante nei quarti, seguito dal doppio derby passato con due pareggi e dalla finale contro la Juventus vinta ai rigori senza Nedved; il Porto di Mourinho che imbeccò un’annata in cui i top club sparirono presto; il Liverpool che in 6 minuti di delirio si è andato a prendere la coppa; il rigore fallito da Terry che fece piangere Londra e gioire Ferguson; il primo Barcellona di Guardiola che passò una semifinale segnata da decisioni arbitrali contestatissime; l’Inter che nei gironi contro la Dinamo Kiev fino al 90’ era quasi fuori dagli ottavi; il Real Madrid che nella prima finale contro l’Atletico pareggiò all’ultimo istante prima di dilagare ai supplementari e negli ultimi anni ha subito critiche per alcune scelte dei direttori di gara molto discusse.

 

Queste le linee guida per vincere la Coppa: ora, è il momento di assistere allo spettacolo.

 

Buona Champions a tutti.