Il calciomercato, si sa, è sempre stato un argomento che ha scaldato i cuori di molti e alimentato le speranze di tanti. Anche tra i tifosi di squadre apparentemente imbattibili, o di squadre che fanno della loro compattezza la vera ricetta per il successo, il momento del mercato è sempre atteso con trepidazione, nella speranza che arrivi un nuovo fenomeno, oppure per scongiurare la partenza di un proprio beniamino. Pertanto, ci si affidava a giornalisti esperti del settore, alle maggiori testate giornalistiche, ed ai servizi televisivi degli addetti ai lavori.

Che noia, vero?

Roba da anni '90, da anni 2000. Nell'epoca di Internet, dove tutti possono sapere tutto di tutti ovunque, attendere così tanto per una informazione è diventato sempre più duro. Gli appassionati di videogiochi, che prima dovevano accontentarsi di poche immagini pubblicate sui giornali di settore, adesso possono contare su video in anteprima, provare prima dell'uscita i loro giochi preferiti e toccare con mano il prodotto finale. Nel mondo cinematografico i trailer al cinema o nelle videocassette erano l'unico modo di conoscere il film in futura visione, mentre ora si possono guardare i backstage, vedere gli attori che sui social più in voga scattano fotografie sui set dove stanno dando alla luce la magia che verrà proiettata sul grande schermo e così via discorrendo.

E nel calcio?

Il calciomercato è ancora visto come un qualcosa di impenetrabile, ammantato di un tessuto spesso e scuro come la kiswa sulla Kaaba, ed è venerato con la medesima sacralità dai calciofili. Con la differenza che mentre la Kaaba è il simbolo della fede musulmana, il calciomercato rappresenta una sorta di universalismo calcistico, che unisce i tifosi più disparati, di ogni squadra, sesso, nazione, etnia e colore della pelle. Una simile, non imbrigliabile conoscenza è il tormento di molti, che vorrebbero sapere tutto prima di tutti, anticipare gli altri, conoscere prima di tutti quel che sarà. Tutto questo, nell'epoca dell'informazione di recente memoria, ha generato una ristretta categoria di persone il cui sapere a riguardo sembra pressochè sconfinato: gli insiders.

Ma cosa è, di preciso, l'insider? Termine anglofono che indica "colui che sta dentro", l'insider è una creatura mitologica, metà uomo e metà social network, che possiede ciò che i comuni tifosi possono solo sperare di possedere: le conoscenze giuste. La professione dell'insider non è necessariamente corrispondente all'ambiente giornalistico, che sovente schifa come il peggiore malanno. Le sue conoscenze sono di primissima mano grazie al suo network di conoscenze, che possono andare dal magazziniere fino al figlio del presidente della squadra, e perchè no, addirittura ad uno dei dirigenti stessi. Non si tratta di notizie artefatte dalla stampa o da giornalisti che puntano al loro personale tornaconto, le loro sono fonti certe, sicure. Chi meglio dei diretti interessati può fornire delle fonti certe?

Non è necessario che si utilizzino parole chiare e semplici per indicare quelle che sono le frasi udite dalle loro fonti. L'insider, spesso, non è un giornalista, non deve rispondere ad un editore, non è imbrigliato alle rigide logiche che stanno dietro la pubblicazione di una notizia, può pertanto esprimersi in un linguaggio criptico, oscuro. Ad esempio più dire questo: "Ho parlato con il signor Taldeitali e mi ha riferito solo questo: panino al prosciuttto con mattone alabastro", oppure "Ho per voi una succosa anteprima, posso solo dirvi una cosa: humus". Parole incomprensibili? Frasi sconnesse? Forse per i profani. Il tifoso non può certo fermarsi al lato letterale, ma deve compiere una operazione più complessa: trasformarsi in aruspice. Proprio come nell'antica Roma e tra gli etruschi esistevano dei sacerdoti che, indagando tra le viscere degli animali sacrificali, riuscivano a predire il futuro, come gli ornitomanti riuscivano a vedere frammenti di avvenimenti ancora da verificarsi semplicemente osservando il volo degli uccelli, anche i semplici tifosi, che possono avere al più conoscenze nei bar o nel frutta e verdura rionale, possono giungere alla verità. Una sorta di oracolo di Delfi moderno, con l'insider nel ruolo di pizia, e senza l'elemento magico, poichè le fonti sono certe, tangibili e appartenenti al mondo del reale

Chiedere la credibilità delle fonti è altrettanto impossibile. Esistono, ci sono e sovente vengono citate, anche se non vengono confermate dalla fonte primaria. Perché l'insider non necessita di spiegazioni, fornire prove ulteriori: bisogna crederci e fidarsi. Un vero e proprio atto di fede moderno. Mentre il giornalista, se riporta notizie infondate, viene screditato agli occhi della comunità sportiva e, perchè no, in caso di cattiva pubblicità alla testata per cui lavora può rischiare il licenziamento, l'insider può senza problemi svicolarsi da queste problematiche dicendo che le cose sono cambiate nel frattempo, che la sua fonte non era così affidabile, o che intendeva altro e che non è stato capito. Nel frattempo, ed è questa la cosa importante, la sua popolarità cresce, con tutto quello che deriva in termini di pubblicità personale. In questi anni dove essere social è tutto, avere followers che seguono e parlano di una determinata persona può fare assurgere alla popolarità individui alla quale non potrebbero accedere altrimenti, o che al contrario, perchè no, popolari lo sono già di loro e mantengono così inalterato il loro status sociale. Genera schiere di fedelissimi che difendono a spada tratta ogni cosa che esce dalla sua bocca o che sgorga dalle sue dita, tramutando la lotta contro chi non crede nel profeta ad una sorta di jihad mediatica contro l'infedele.

Avere informazioni di prima mano, nell'era dell'informazione, è una cosa bellissima, anche se sarebbe bello poter avere dall'altra parte fonti che possono confermare quanto detto in maniera tempestiva. Credere in persone che si dicono vicine alle dinamiche di un club può essere controproducente, poichè potrebbe generare false aspettative ed illudere tanti tifosi che in loro pongono cieco affidamento solo perchè come risposta possono ottenere solo un laconico "credete in me perchè si". Le squadre, che con fatica cercano di tenere dentro ogni segreto e i dirigenti che come lavoro dovrebbero impedire le fughe di notizie alla stampa, improvvisamente decidono di aprirsi a persone che sanno che la prima cosa che faranno sarà di esporre quanto appena udito al pubblico? Anche volendoci credere, si potrebbe giustificare questa logica senza necessariamente credere che siano solo delle persone che usano i tifosi per accrescere la propria popolarità. Potrebbe far parte anche questa di una strategia di un club: usare una cassa di risonanza enorme come quella dei social per lavorare nel mentre ai veri obiettivi del mercato, spostando l'attenzione su false piste.

Ecco, in questo senso allora siamo tutti parte del calciomercato, condizionando il mercato anche inconsapevolmente e contribuendo al bene del club. Siamo tutti dirigenti, anzi, #siamotuttidirigenti. E' l'era dei social, dopotutto.