E alla fine è successo veramente...
Stasera sono stato costretto a fare i conti con molti dei fantasmi che popolano la mia mente, molti di questi legati a questa città: Napoli. Napoli tanto amata ma, devo dirlo, in questi ultimi vent’anni, anche tanto odiata.
Matera -città dove ho vissuto fino ai miei 18 anni- e Napoli non distano poi tanto, ma se al materano medio dici Napoli, scatta qualcosa.
Il materano, per tanti motivi, sicuramente anche per pregiudizi, non ama Napoli, e soprattutto non ama il napoletano medio.
Sono entrambe città del sud, neanche poi tanto distanti tra loro, ma mentre a Matera la criminalità è solo una parola sostanzialmente vuota, a Napoli criminalità è una condizione di vita permanente a cui, per comodità si dà un nome. Potrebbe essere camorra, o se questa parola fa paura, potremmo semplicemente chiamarla sopraffazione dei deboli da parte di qualcosa, un’organizzazione, un’entità, che si è (anche grazie ai sopraffatti) costituita, per essere più efficiente nella sopraffazione, nello stabilire chi, affidandosi alla paura, con la violenza deve qualcosa a chi incute paura e per questo sa di poter chiedere.

Ricordo la prima volta che con la mia macchina (una FIAT 127, color amaranto) ebbi il coraggio di andare a Napoli.
Una volta entrato in città mi fu chiaro come il sole che se fossi riuscito a tornare a casa, non sarebbe comunque stato senza piccole o grandi ammaccature alla macchina. E se ci fossi riuscito avrei dovuto considerarmi non bravo, ma fortunato. Posso affermare senza timore di essere smentito: in città non c’era un’auto, che fosse anche solo una, completamente priva di ammaccature.
Ero andato a trovare un’amica che abitava a Villaricca, e con la  sua auto decidemmo di andare a fare un giro in centro. Ricordo benissimo che tutte le vie del centro (l’area dei quartieri spagnoli) erano presidiate dall’esercito con soldati, mitragliette e tutto il resto dell’armamentario tipico delle località dove sono in atto azioni di guerriglia.
Ricordo quei vicoli dove da un palazzo all’altro erano stesi dei fili dove era messo ad asciugare il bucato. Con le macchine che passavano sotto, con gli scarichi che contribuivano, forse più del sole (che in quei vicoli neanche arrivava) ad asciugare il bucato conferendogli profumi di CO2.
Ricordo anche che il convivente della mamma della mia amica ci portò a fare un giro in città, e subito notai che la macchina con cui ci stava scarrozzando aveva uno spunto assolutamente incompatibile con la vettura, che era una semplice golf. Ciro, così si chiamava, quando gli chiesi come fosse possibile che una semplice Golf fosse così scattante, fiero che me ne fossi accorto e felice che glielo chiedessi, si fermò e aprendo il cofano mi fece vedere quello che non mi sarei aspettato. Mai visto niente del genere: dentro la Golf c’era un motore di una BMW M3. Anche i freni, naturalmente non erano certo quelli originali, così come sicuramente non lo erano le sospensioni, insomma... di originale c’era davvero poco. Avevo tra l’altro anche notato che la macchina era anche stata zavorrata per evitare di decollare in certe situazioni. “Non ti devi stupire -mi disse- qui si usa. Uno va dallo sfasciacarrozze, sceglie che cosa montarci su, e il meccanico ci pensa lui”.
Ricordo, sempre in occasione del tour offerto da Ciro, un nostro sorpasso tra due autobus, con spazio rimanente disponibile tra i due mezzi, per permetterci di passare, di pochissimi centimetri. I pullman non finivano mai: quella volta ebbi modo per la prima volta, di constatare che effettivamente, quando stai per morire ti scorre, come dicono, tutta la tua vita, come in un film. Situazioni assurde, quelle che vedevo, che facevano parte di uno “spettacolo” di cui mi sentivo spettatore assolutamente impotente. Uno spettacolo a cui non avevo chiesto di assistere, né tantomeno, di partecipare. Vedevo all’opera Ciro, e a veder lui, sembrava che tutto attorno a noi non fosse effettivamente reale, ma piuttosto parte di una finzione di cui noi eravamo inconsapevoli partecipanti.
Non avevo mai visto, nemmeno nei film, macchine procedere sui marciapiedi… e intendo completamente sopra il marciapiedi, non solo con una o due ruote…
Oppure di fermarmi al semaforo rosso e di vedere dietro di me l’intera colonna di auto con persone dentro che sbraitavano, alcune addirittura scese dalla macchina per venire ad “esortarmi”a ripartire immediatamente. La mia amica mi spiegò che a Napoli c’era, e forse tutt’ora c’è, una consuetudine particolare: col rosso si passa senza indugiare. Questo perché naturalmente, è di fondamentale importanza liberare il prima possibile l’incrocio. Col giallo si controlla che nessuno arrivi, e se sussistono le condizioni per farlo, si passa; col verde, invece, se si vuole stare tranquilli di essere dalla parte della ragione, se non si ha fretta, allora ci si ferma, altrimenti, con molta attenzione, si passa.

Questa, cari signori è Napoli.
Inutile cercare di edulcorare tutto ricordando i capolavori di Eduardo, o la sempre attuale “Napule è” di Pino Daniele, oppure il genio di Troisi o la filosofia partenope di De Crescenzo. Questa è la parte bella che tutti noi amiamo di quelle terre e di quella popolazione, ma esiste uno spaccato di vita quotidiana di ogni napoletano che è quella che ho molto velocemente con poche pennellate cercato di rappresentare.
Napoli è purtroppo e soprattutto quella di quegli energumeni che ieri sera, quando è finita la partita al Friuli, hanno letteralmente assediato i giocatori costringendoli a svestirsi, con logiche di prepotenza inaudita.
Spalletti preso a schiaffoni sulla sua pelata. Una persona seria in mano ad elementi della peggior fatta. Spalletti, per nulla sorridente, si vedeva costretto a essere protetto da dei gorilla che tentavano in tutti i modi di tenere alla larga la folla.
Modalità di festeggiamento di cui ogni napoletano che abbia ricevuto un minimo di educazione dovrebbe vergognarsi. Un peccato, l’ennesima occasione lasciata sfuggire.
Purtroppo Napoli è davvero la carta sporca di Pino Daniele, ma se non se importa nessuno, se non interessa nemmeno ai napoletani che sia così, a chi dovrebbe interessare?

Ieri sera Napoli, tra l’altro, è stata anche quella dei fumogeni che hanno impedito alla partita di andare avanti regolarmente e di respirare decentemente in città. Certo, conosco tanti napoletani, persone generose, creative e fantasiose, che quando è il momento del bisogno ti danno una mano, e questo punto dovremmo sempre ricordarcelo quando critichiamo Napoli e i suoi abitanti.
Il famoso cuore grande dei napoletani non è vuota retorica, ma qualcosa che non dovremmo mai mettere in discussione. Così come, ahimè, anche la maleducazione che tutti noi abbiamo visto. Essa rappresenta l'humus su cui la malavita trova facilmente terreno per prosperare. Le manifestazioni violente che ho visto ieri sera, quelle che Pardo ha voluto non vedere per lunghi tratti della telecronaca, ma che poi invece ha dovuto ammettere, quelle viste al Friuli, ma anche a Napoli, si sono verificate nell'Anno Domini 2023, non trent’anni fa.
Eppure siamo ancora ai festeggiamenti fatti in spregio di animali, in primis i cani, che in queste circostanze muoiono a centinaia per lo spavento, ma anche in spregio della salute e della sicurezza delle persone.

Se si parla di napoletani sparsi in tutto il mondo (quelli di cui ieri il sindaco parlava), bisognerebbe chiedersi perché queste persone hanno dovuto a malincuore lasciare la loro terra per cercare “fortuna”. La fortuna che milioni di napoletani hanno dovuto cercare altrove era lì… E’ già li. A patto di cambiare, di non accettare più lo schema della sopraffazione, schema che qualcuno vuole far credere convenga a tutti, ma che in realtà rappresenta il freno a mano tirato, con cui i napoletani sono costretti (da se stessi) a convivere.
Ecco il mio augurio per voi, amici napoletani: che sappiate liberarvi dal vostro freno a mano tirato!