“Nino non avere paura di tirare un calcio di rigore, non è da questi particolari che si giudica un giocatore…”.
Ma io ne ho, e anche tanta. L’allenatore mi ha preso da parte e mi sta parlando serio.
Ho solo 9 anni ed è la prima volta che mi capita di trovarmi in una simile situazione; sto per giocare la finale del torneo che hanno organizzato “in network” la scuola elementare (faccio la IV) e l’oratorio parrocchiale (a giugno mi aspettano Cresima e Prima Comunione). Stiamo tutti al centro di quello spiazzo che è uguale preciso a come, in quel periodo di inizio anni ’60, ce ne sono tanti in tutt’Italia: abbastanza stretto, con i portici incombenti ed il terreno di gioco… è lastricato coi cubetti di porfido che se malaguratamente cadi mentre corri ti devono ricostruire le gambe e non solo quelle! Ho addosso la maglietta del Modena, gialla ovviamente, e non la sento mia perché da quasi due anni sono ufficialmente tifoso del Milan e poi quel color canarino proprio non mi piace e forse sarà perché, da adulto, mi darà spesso dispiaceri e mi farà pure piangere di rabbia!
Non divaghiamo accidenti. Il mio allenatore non si mette in ginocchio per pareggiare la differenza di statura, ma è piegato su di me, immanente ed opprimente, e mi dice che gli devo marcare, ma proprio appiccicato addosso, la mezzala sinistra avversaria. Ascolto quasi in silenzio, gli dico solo cheè troppo più veloce di me e non mi passa nemmeno lontanamente per la testa di dire “no!”. Mio padre sta in aeronautica, so cos’è la disciplina e l’ho imparato a casa che non si discutono le decisioni degli adulti, si ubbidisce…e basta!
Entro in campo terrorizzato e continuo a ripetermi…perché proprio io…perché proprio io…perché proprio io? La conosco troppo bene quella mezzala, si chiama Daniele Bottura il mio avversario; è il più forte del torneo, è velocissimo, non lo prendi mai e, come se non bastasse, ha quel dribbling che ti ubriaca a cui fa seguire sempre un tiro o un passaggio imprevedibile: lo odio. E poi, per completare il capolavoro, ha pure addosso la maglia dell’Inter! Ci distruggono 4 a 1 e Daniele mi…distrugge: fa doppietta con un sinistro all’incrocio e una “foglia morta (il suo idolo è Mariolino Corso)” su punizione guadagnata sempre da lui per un fallo fatto dal sottoscritto nel vano tentativo di fermarlo. Vabbè parliamo di ere geologiche fa, quando i tornei dell’oratorio erano pane quotidiano ed a pallone ci giocavano tutti, ma proprio tutti, dal figlio del primario a quello del disoccupato. Le mamme non avevano la macchina e non si sognavano neppure di accompagnarti a fare “attività fisica” dopo la scuola. Non c’erano né il Tennis né il Nuoto a tua disposizione; non erano nemmeno ancora arrivati alla fruibilità di massa il Volley  e il Basket e di quest’ultimo solo pochissimi super informati avevano rare notizie limitate alle gesta dei favolosi Harlem Globetrotters, squadrone a stelle e strisce. Tutti gli altri sport, forse, li riuscivi a vedere alle olimpiadi e quindi ogni quattro anni. In poche parole, lo sport da praticare era sempre e solo il calcio.

Bei tempi comunque, semplici e ricchi di speranza che però anche allora era difficile concretizzare. Giocare a pallone e tifare per una qualsiasi squadra era del tutto normale, scontato, uno sbocco obbligato per non sentirti emarginato e poi…costava poco. L’unica spesa indispensabile da far fare ai tuoi era portare dal calzolaio le scarpe “di tutti i giorni” (non quelle da calcio, non le aveva quasi nessuno) perché le avevi distrutte! Tutto molto semplice, banale!
Banale. Anche se mi sono scivolate addosso ere geologiche mi ribolle sempre il sangue quando mi capita di vedere il branco che dà addosso al singolo inerme (o reso tale da forze soverchianti) e sto raccogliendo le firme per ridare dignità al vituperato aggettivo: BANALE. Caro il mio “banale” voglio spezzare una lancia a favore tuo! Ma che lo fai a fare? E’ banale! Lo fanno tutti: è banale! Banale (da Treccani): “privo di originalità o di particolare interesse, quindi comune, ovvio, scontato…piatto, uniforme, inautentico (nell’esistenzialismo), di scarso rilievo…insignificante”. Sarà pure una banale pratica quotidiana “ovvia e di scarso interesse” ma se mi usi (e sono felicemente consenziente) come appoggio e ti metti fra le mie braccia mentre leggi un libro e lasci che ti passi le dita fra gli stupendi capelli che hai, in quella specie di carezza che è “solo nostra”…continuiamo ad essere banali per un bel po’ che mi piace! Però, però; poi anche la Treccani apre uno spiraglio e ci dice che, in matematica, una soluzione “banale” è una soluzione sotto gli occhi tutti, EVIDENTE, ed evita, opportunamente, di specificare se siamo stati “noi” (quelli di turno) ad averla riconosciuta e mostrata per primi agli altri.
Sì, la soluzione era così scontata e talmente evidente… che nessuno l’aveva vista ancora o, peggio di peggio, l’aveva vista, non evidenziata e non fatta adottare agli altri. Perché? Per paura di sbagliare e di essere deriso e poi emarginato: sei banale! Ma vuoi vedere che alla fine abbiamo pure, in parte, ragione? “Penso a delusioni, a grandi imprese a una thailandese, ma l’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale”.
Allora decidiamoci: il concetto lo vogliamo banalizzare o no? Non si tratta né si ha la presunzione di offrire un giudizio definitivo, non si pongono interrogativi di nessun genere preciso però credo sia consentito farsi almeno una domanda, magari ponendola con serenità, sugli aspetti concreti del quotidiano. Perché, se andiamo a restringere la discussione, anche non estremizzandola, ci rendiamo conto che pur immersi nel caos più totale, siamo costretti, da che nasciamo, a prendere “sempre” una decisione; sono giunto al bivio: vado di qua o di là?
La nostra vita ed il nostro futuro, con le infinite possibilità che ci vengono offerte, i castelli in aria che ci costruiamo quotidianamente nel cervello, il cercare di spezzare la monotonia e la noia, alla fine della giostra dovremo pur sempre affrontarli e, obtorto collo, saremo costretti a preferire un'opzione per giungere, scelta dopo scelta, alla conclusione del tragitto, alla certezza.
Certo, ognuno di noi, volente o nolente sarà un personaggio pirandelliano e molto probabilmente scarterà, perché considerate banali, soluzioni ovvie e scontate andando ad adeguarsi ed a posizionarsi proprio lì dove gli indica il dito proteso della “folla”, diventando egli stesso…il più banale dei banali! E quando arriverai a quel punto, però, la soluzione non sarai più in grado di vederla, risulterà offuscata come una fotografia sovraesposta.
E’ sempre la solita musica ammuffita: a furia di doverosamente discutere e ripensare il mainstream, qualunque esso sia ed in qualsiasi campo lo andiamo ad analizzare, finiamo per riprodurlo tal quale senza veramente fare passi avanti decisivi. Forse, a ben guardare, è solo una questione di cultura; nel senso che la revisione/rivoluzione, in cui ci chiedono di interpretare un’attiva parte attoriale, va proprio rovesciata come un  calzino e se questo è irrimediabilmente rotto “dobbiamo” prenderne atto e sostituirlo ex-novo. E basta!

Ripenso a me stesso, ed a tutti quei ragazzini di sessant’anni fa, su quel campo di oratorio, e all’assoluta mancanza, all’epoca, di altri sport praticabili in alternativa. Penso, per non so bene quale associazione di idee, allo stato deprimente del calcio italiano e, sempre di default, mi convinco che ormai, per risorgere, ci vuole unicamente una “rivoluzione calcistico/culturale”. Mi sembra BANALE. Ma è possibile che nessuno c’abbia ancora pensato? Per salvare il “mio calcio” devo proporre per forza di cose una rivoluzione del tipo succitato; lo devo fare per rimodernare e rendere contemporaneo il calcio in un mondo, quello dello sport, che ti offre e ti spinge verso performance sempre diverse ed estreme e pure economicamente attraenti ed aggiornate (insomma lo show-biz) e che erodono, day by day, gigantesche porzioni di guadagno all’attuale asfittico calcio italico.

Certo digerire lo smacco della “repetita iuvant (?)” seconda eliminazione ai mondiali sarà durissimo; ma se le mie orecchie hanno inteso bene ed il cervello ha finalmente smesso di friggere non mi pare proprio che “chi comanda nel calcio” stia pensando di far tabula rasa e proporre, di conseguenza, un modello di calcio italiano attualizzato. Dobbiamo ripartire dalle “scuole calcio” e dai vivai delle società? Va benissimo. Ma se il nostro scopo è far ridiventare irrinunciabile Catullo (si fa per dire) è il caso che ai nostri pargoli,  gli facciamo imparare a memoria, per prima cosa, il V carme ed i suoi mille baci…o magari è meglio se li “stuzzichiamo” con le “Nugae” (si hai tradotto benissimo, le parolacce le dicevano anche loro). Capito?
E quindi, se dev’essere rivoluzione, che lo sia sino in fondo. Niente più barriere di razza; includiamo senza restrizioni gli italiani di seconda generazione e, soprattutto, senza l’ipocrisia della “purezza” che, con popoli che ormai migrano da un continente all’altro, non ha proprio più nessunissima giustificazione di esistere. I procuratori e gli intermediari per i giovanissimi? Squarciamo definitivamente il velo e mettiamo il loro lavoro sotto la lente d’ingrandimento della trasparenza a 360° ed i loro limiti d’influenza ancor di più stabiliti alla luce del sole. Il calcio non è non potrà mai essere considerato uno sport estremo, ma se gli diamo regole certe può senza dubbio diventare un’attività remunerativa come altre e, ai massimi livelli, un grande show atletico.

Booster, steso ai miei piedi, muove contemporaneamente testa, orecchie e coda per comunicarmi a modo suo le molte perplessità: guarda che ci sono da abbattere Lobby, interessi da distruggere, connivenze… collusioni! E’ troppo sedimentato, cristallizzato, non sarà possibile, vedrai; a volte, pur essendo io il cane e tu il “sapiens” sembri proprio appena uscito dalla penna di Cervantes!
E che…non ce lo so?
Lo so che ”Essere tifosi, (è) un’esperienza di passione senza mediazioni” ed io aggiungo… anche quando la maglia è quella azzurra e dobbiamo prendere atto che tutto scorre.
A pensare alla nazionale ed ai suoi tormenti mi è tornata la gastrite,
“il Whisky mi ritorna su… divento letterario
Perché non vai dal medico?
E che ci vado a fare, non voglio mica smettere di bere e di fumare
” (cantava “qualcuno” un po’ d’anni fa)
A proposito… spero di essere stato abbastanza banale. O no?