Domenica 12 giugno 2022 a sei anni di distanza dall’ultimo referendum abrogativo tutta Italia è nuovamente chiamata ai seggi elettorali, anche se pure in quest’occasione si prevede non verrà raggiunto il quorum. In molti paesi, dai più piccoli ai capoluoghi di provincia o regione, si voterà pure per eleggere il nuovo sindaco e fra questi anche Verona è chiamata a nominare il suo nuovo primo cittadino. Tra la voglia di conferma di per un secondo mandato di Federico Sboarina, il ritorno dell’ex sindaco Flavio Tosi e la forte candidatura dell’ex giocatore di Roma e Hellas Damiano Tommasi, presento oggi i candidati al ruolo di primo e secondo cittadino della città scaligera provenienti dalla lista Hellas Verona.

A Verona, chi bene ha fatto sull’erba del Bentegodi, è spesso stato accostato ad una carica comunale per rimarcare l’importanza di quanto fatto per la squadra, la società e i tifosi. Partendo dalla carica principale di sindaco per poi scendere di grado ma incontrando anche chi una carica effettiva non l’ha avuta ma, senza troppa modestia, come è suo solito fare, si è posto addirittura al di sopra, le storie di tre grandissimi gialloblu.

Il sindaco che quasi vinse il pallone d’oro
Già solo pensare un’affermazione simile sembra un’assurdità, ancor maggiormente se pensiamo alle modalità con cui si sviluppò la vicenda ai suoi tempi e che oggi sarebbe assolutamente irreplicabile. Invece è tutta realtà, perché stiamo parlando dell’unico sindaco nella storia di Verona che non ha mandati o altri vincoli, per sempre sarà “Elkjaer Sindaco!”.

Preben Elkjaer Larsen comincia la sua carriera professionistica nella stagione 1975-1976 tra le file del Vanlose, squadra di uno dei quartieri di Copenaghen, sua città natale. Senza giocare più di tanto (15 presenze e 7 reti) si conquista la chiamata del Colonia con cui però gioca ancora meno ma si fregia del titolo di doppio campione di Germania con campionato e DFB-Pokal. In cerca di continuità nel 1978 si accasa in Belgio al Lokeren e qui comincia a scatenarsi la sua furia di cavallo pazzo, in sei stagioni gonfia la rete ben 98 volte in campionato con una media realizzativa superiore al gol ogni due partite finendo sempre in doppia cifra. Complice un ottima impressione fatta da tutta la Danimarca a Euro ’84, dove si fermò in semifinale ai rigori contro la Spagna con errore decisivo di Elkjaer, forse suo unico rimpianto in carriera, e la riapertura delle frontiere in Serie A, il pazzo di Lokeren sbarca a Verona in quella stessa estate, accompagnato da un altro straniero Hans Peter Briegel, ciò che accadde successivamente è storia del calcio. Quello che invece molti non ricordano, al di fuori delle mura veronesi, è che nella stagione dello scudetto Elkjaer andò ad un passo dal vincere il pallone d’oro 1985, vinto meritatamente da Le Roi Platini, con uno score che oggi definiremmo scarso per un attaccante di una squadra di media classifica, 8 reti in 23 partite che gli valsero la seconda posizione nella corsa al più prestigioso premio individuale. Né la doppia cifra né il titolo di capocannoniere della squadra, ma una meraviglia nata da un intervento mancato che gli tolse la scarpa e lui, senza preoccuparsene troppo, andò dritto verso la porta della Juventus e non ebbe pietà nemmeno in quella situazione.
Negli anni successivi continuò a segnare con regolarità anche nelle competizioni europee, top scorer di sempre dell'Hellas, fino a diventare una delle persone più amate nella storia del Verona, lo metto a pari merito con Osvaldo Bagnoli, il compianto Emiliano Mascetti e un altro grandissimo giocatore e personaggio che vedremo dopo. Tutt’oggi quando gira per la città viene ancora salutato come sindaco e a rinforzare il legame con la città e l’intero territorio veronese è arrivata la cittadinanza onoraria conferitagli da Federico Sboarina nel luglio del 2018.

Il vicesindaco numero uno
Per quello che ha fatto gli si potrebbe anche far condividere il mandato eterno con Elkjaer, ma Luca Toni sta leggermente al di sotto del danese, giusto di una scarpa, quella persa contro la Juve o quella d'oro vinta.
Partito dal suo Modena ha girato varie squadre la B e la C1 con buoni score anche nei primi approcci in Serie A con Vicenza e Brescia, dove però sembra non convincere del tutto così nell’estate del 2003 vola in Sicilia per vestire la maglia del Palermo, tornato in B da due stagioni dopo diversi anni in C1, col brivido pure della C2 evitata solo grazie al ripescaggio, ma già con ambizioni di promozione. A 27 e con una discreta gavetta alle spalle diventa il trascinatore di quella squadra, l’uomo più presente (47) e quello che segna di più (30) riconquistandosi dunque la massima serie e anche qui non tradisce, 20 reti in 35 partite che valgono alla squadra la qualificazione in Coppa UEFA e a lui la chiamata della Fiorentina. Non era la Fiorentina di Batistuta o quella che si giocherà gli ottavi di Champions League col Bayern Monaco, ma una società che rinasceva dopo la retrocessione in C2 e la tripla promozione tra l’estate del 2003 e quella del 2004, dal dover giocare la C1 a disputare la Serie A l’anno dopo.
Anche in Toscana Toni diventa il riferimento delle azioni offensive riuscendo al primo anno a vincere la Scarpa d’Oro grazie a 31 reti in 38 partite, nessun italiano ci era mai riuscito, Totti replicherà l’anno dopo.  Viene designato anche come numero 9 titolare della nazionale campione del mondo nel 2006 con la quale gioca quasi tutte le partite del mondiale impreziosite anche da una doppietta nel 3-0 contro l’Ucraina ai quarti di finale.
Dopo un’altra stagione a Firenze con la metà delle reti arriva la grande chiamata estera del Bayern Monaco. Nella prima stagione in Baviera fa impazzire i tedeschi, 39 reti in 46 partite, capocannoniere di Bundesliga, vinta e di Coppa UEFA, persa in semifinale. La seconda stagione vede il rendimento dell’attaccante emiliano abbassarsi notevolmente raggiungendo comunque la doppia cifra e a metà stagione esce la cover a lui dedicata della canzone Zuppa Romana degli Schrott Nach 8 realizzata dal comico e imitatore Matthias Knop “Numero uno”. Qui comincia la sua parabola discendente, prestito alla Roma nella seconda parte del 2009-2010 dove sfiora lo scudetto, poi esperienze con le maglie di Genoa, Juventus, Al-Nassr e ritorno alla Fiorentina. Siamo dunque all’estate del 2013, Toni viene considerato ormai bollito ma c’è una realtà di provincia che, al ritorno in Serie A dopo 11 anni decide di offrigli un contratto annuale, l’ex campione del mondo firma per l’Hellas Verona. Ammetto che probabilmente in pochissimi anche a Verona si sarebbero aspettati una rinascita così dirompente, ma già l’esordio con doppietta al Milan di Balotelli che perde 2-1 al Bentegodi faceva ben sperare. Con 48 reti nella massima serie in 3 stagioni diventa il giocatore gialloblu ad aver segnato più gol in A e con le 22 del 2014-2015 il primo giocatore del Verona a vincere il titolo di capocannoniere, oltre che primo italiano a vincere questa classifica due volte con due maglie diverse.
Il legame sviluppato con la tifoseria è passato dal goliardico coro “Chi è questo signore? Alè alè alè” del giorno della sua presentazione al titolo di vicesindaco del giorno del ritiro con cucchiaio su rigore a Neto per una vittoria 2-1 di un Verona già retrocesso e contro una Juventus già campione d’Italia, carica rimarcata anche nelle sue apparizioni come special guest alle feste della curva sud.

Quando essere sindaco non sarebbe abbastanza
Chi ha avuto la fortuna di vivere il calcio negli anni ’60 e’70 sicuramente questo nome non suonerà affatto nuovo, Gianfranco Zigoni, il Pelé de noialtri. Stiamo parlando forse del giocatore, non calciatore che potrebbe offendersi, più fuori dagli schemi che il calcio italiano abbia mai prodotto, il George Best italiano e proprio il nordirlandese era il suo idolo.
Nella prima metà di carriera ha legato il suo nome alla Juventus con cui ha esordito e realizzato la prima marcatura in Serie A nel 1961-1962 per poi passare in prestito biennale al Genoa dove segna 8 reti a stagione, di cui una tripletta al Milan del barona Liedholm in cui giocava un ancora giovane Trapattoni che a fine gara affermò che quel Zigoni era meglio di O Rei. Torna alla Vecchia Signora con cui in quattro anni conferma comunque le sue sconfinate qualità tecniche ma si rende protagonista anche di episodi come il diverbio finito malino con Helenio Herrera oppure in nazionale quasi acceca Boninsegna con una palla da biliardo perché, a suo dire, essendo appena arrivato in nazionale non poteva pretendere di battere tutti i calci da fermo e poi presentarsi pure in area per ricevere l’assist e doveva capire come stavano le gerarchie. Curioso anche il suo esordio in azzurro, rimasto anche come unico gettone con la nazionale, a Budapest il 25 giugno per le qualificazioni allo storico campionato europeo del 1968, primo tempo pazzesco, ma siccome c’era un po’ caldo e i suoi compagni giocavano principalmente sul lato della tribuna per avere l’ombra, decise anche lui di mettersi su quella fascia e non fare nulla. Nel 1970 passa alla Roma con ancora il tormentone del Pelé bianco sulle spalle e avrà anche l’occasione di incontrarlo in amichevole, era convinto che avrebbe dimostrato di essere il più forte dei due, quel giorno O Rei gli diede una lezione di calcio da lasciarlo a bocca aperta e fargli pensare al ritiro, ma dopo che il suo portiere parò un rigore a Pelé, pensò che in fondo era umano e continuò per altri dieci anni, d’altronde ha dichiarato che gli unici immortali sono Cristo e Che Guevara.
Dopo il biennio romanista passa in quella che diventerà la sua seconda casa, dal 1972 al 1978 gioca col Verona. Qui gioca e si diverte, è la star indiscussa della squadra, il giocatore con la classe per risolverti la partita da un momento all’altro con una giocata da capogiro, eppure non raggiungerà mai la doppia cifra, la sfiora soltanto l’anno in Serie B, ma le vicende extra campo e alcune sue dichiarazioni fanno più notizia delle prestazioni in campo per due ragioni, la prima è che ha sempre detto di aver giocato al 30% delle sue possibilità e di aver più o meno tradito i suoi amici tifosi, la seconda è che fa veramente delle cose assurde. Nel triennio 75-78 il Verona è allenato da Ferruccio Valcareggi, l’uomo che l’aveva fatto esordire in nazionale e che poi vinse l’europeo nel ’68 e arrivo in finale proprio contro Pelé nel ’70. In campionato arrivano buoni piazzamenti, ma l’immagine impressa in tutti i calciofili anche non veronesi è quella di Zigoni in panchina il primo febbraio del 1976 con pelliccia e cappello da cowboy perché lo Zio Uccio non lo fece partire titolare. Gli vennero accordati permessi di potersi svegliare quando voleva nei ritiri, cosa che hai compagni piaceva poco, una negoziazione per il rinnovo del suo contratto finì con lui che puntò una pistola contro il presidente Saverio Garonzi e dopo un incidente d’auto si finse morto per fare uno scherzo ai suoi soccorritori che erano i medici del Verona. La sua carriera finì nel 1987 a 43 anni giocando l’ultima gara con la maglia del Piavon in 2a categoria congedandosi semplicemente con un poker, tutto nella norma. 

Negli anni post ritiro vennero fuori altre dichiarazioni in pieno stile Zigo: sembra che nei ritiri sparasse ai lampioni con una colt 45 quando era annoiato, risposta che diede su cosa ne pensava delle balotellate, diede nuova linfa al fatto di essere il più forte di sempre elevando Maradona al suo livello e non il contrario, in realtà non ne è o era convinto ma per un periodo ci credette pure lui, ritenne che se Elkjaer era stato inneggiato a sindaco lui doveva essere sicuramente qualcosa di più e nel 2002 pubblicò il libro “Dio Zigo pensaci tu” scritto da Ezio Vendrame, altro personaggio clamoroso.

Se qualcuno non avesse ancora capito il soggetto in questione, chiudo con una sua frase storica: “Sognavo di morire sul campo, con la maglia del Verona addosso. M'immaginavo i titoloni dei giornali e la raccolta di firme per cambiare il nome allo stadio: non più Bentegodi, ma Gianfranco Zigoni. La radio avrebbe gracchiato: "Scusa Ameri, interveniamo dallo Zigoni di Verona...”.