Ieri sera il Bayern Monaco ha battuto i Tigers UANL per 1-0 conquistando così il suo quarto titolo di campione del mondo, il secondo della Coppa del mondo per club FIFA sommate ai due precedenti trionfi in Coppa Intercontinentale, che de facto dava il titolo di miglior squadra al mondo di quella stagione. Partita anche tutto sommato abbastanza piacevole da seguire, a differenza di come si poteva pensare, giocatasi in un clima quasi anormale per come siamo abituati da quasi un anno a questa parte, infatti il governo del Qatar in accordo con la FIFA, ha fatto in modo che potessero essere accolti spettatori fino al 30% della capienza totale dello stadio. È stata la prima finale della competizione, partita nel 2005, con una rappresentante della CONCACAF, la federazione che controlla il calcio nel centro-nord America, segnale che ci dice come questo sport stia diventando sempre più importante sia in Messico sia negli USA. Tornando alla partita, nonostante la differenza nei tiri, 16 di cui 7 in porta per i bavaresi e solamente 2 equamente distribuiti tra fondo campo e specchio della porta per i messicani, a parer mio solamente negli ultimi 20/25 minuti di gioco si è visto il Bayern Monaco schiacciare gli avversari nella loro area di rigore per cercare con insistenza il secondo goal che avrebbe chiuso in anticipo la contesa, infatti il possesso palla è quasi pari, 55% a 45% per i tedeschi, anche se per i Tigers il solo Gignac non poteva fare tutto da solo, seppur abbia fatto a sportellate con tutti, fosse stato per lui anche con l'arbitro visti i frequenti diverbi avuti col signor Esteban Ostojich e non si sia mai arreso fino alla fine.

Il percorso dei Felinos fino alla finale è stato particolare perché al primo turno ha incontrato la squadra oggettivamente più debole tra tutte e sei le partecipanti, l'Ulsan Hyundai FC, rappresentante dell'Asia, che si è comunque fatta valere ed è riuscita anche a far passare qualche brutto pensiero nella testa dei giocatori in maglia gialloblù con quel goal di Keehee al 24esimo del primo tempo. In semifinale, invece, hanno affrontato la squadra che in partenza si pensava potesse essere l'unica seria pretendente al titolo, ovviamente molti gradini sotto ai vincitori strafavoriti, il Palmeiras, trionfanti in una finale storica di Copa Libertadores. La squadra capitanata da Felipe Melo era in un momento in cui doveva ricaricare le batterie dopo un calendario intasato a gennaio in vista della continuazione della Copa Diego Armando Maradona, il Palmeiras arrivava quindi inevitabilmente esausto a questo impegno internazionale che li obbligava anche ad un viaggio oltreoceano, la partita fu lo stesso molto equilibrata e alla fine i brasiliani si sono dovuti arrendere soltanto davanti ad un rigore del solito Gignac.

Lasciamo stare quanto scritto finora e concentriamoci sul vero tema del pezzo: perché non fa così tanto effetto come lo era vincere l'Intercontinentale negli anni '60? Sicuramente lo sviluppo storico della Coppa Intercontinentale tra il 1969 e gli anni '80 ha inciso molto, ma anche il modo in cui la FIFA ha voluto restituire popolarità al titolo di Campione del mondo dei club, ha fatto la sua parte. Come tutti sapete la modifica più recente al format della competizione prevede che partecipino 6 squadre, una per ogni federazione continentale, quindi una per l'UEFA, una per la CONMEBOL, una per la CONCACAF, una per l'AFC, e una dell'OFC che sfida in uno spareggio la squadra campione del paese ospitante. Si giocano poi 2 turni in partita secca per trovare i team che si contenderanno il trofeo in una finale anch'essa giocata in partita unica. Questo metodo, secondo me, forse non riduce la spettacolarità, visto il maggior numero di gare, condizionate però da un livello medio basso, ma sicuramente riduce l'interesse del pubblico a seguire la competizione, soprattutto allo stadio, siccome viene disputata in un Paese non proprio dietro l’angolo e non dà la possibilità a tutti i tifosi di tutte le squadre di seguire la propria amata. Poi se ci fosse un'italiana, noi da bravi avversari leali che riconoscono la superiorità degli altri e che seguono a fondo le vicende internazionali, quando uno juventino o un milanista che sia si vanta di essere campione del mondo, il primo di tanti sfottò che partirebbe sarebbe: "Eh vabbè avete battuto quelli del Qatar, cosa pensi che ci voglia a farlo?". Ciò non accadeva invece quando la Coppa Intercontinentale si disputava in una finale tra la vincitrice della UEFA Champions League e la conquistatrice della CONMEBOL Libertadores, organizzate dalle uniche due federazioni continentali esistenti all'epoca della creazione della coppa dei due mondi, in partite di andata e ritorno in casa di entrambe le contendenti, il che generava grande interesse, supportato dalla facilità di accesso allo spettacolo sportivo visto il luogo dove si svolgeva l'incontro e, questo valeva per i sudamericani, soprattutto all'epoca: per i campioni del Sudamerica, la possibilità di battere la squadra campione d’Europa era motivo di orgoglio, di rivalsa sociale, di rappresentazione a livello mondiale delle proprie radici, che spesso erano la povertà e una vita che non sembrava potesse regalare qualcosa di buono, anche perché all’epoca le squadre erano composte principalmente da giocatori della stessa nazione e quindi il sentimento era ancora più presente.

Le storie dietro alla Coppe Intercontinentale sono moltissime e per raccontarle tutte nei minimi dettagli ci vorrebbero giorni, ma alcune meritano di essere citate, come le due finali in due anni consecutivi che hanno coinvolto il Benifca di Eusebio, uscito sconfitto in entrambe le occasioni. La prima merita una menzione perché è successa una cosa che nel calcio di oggi potrebbe essere per noi inconcepibile: l'andata i lusitani hanno battuto 1-0 il Penarol ma al ritorno in Uruguay persero ben 5-0, però allora fu contato il numero di vittorie a squadra e siccome erano pari, si giocò la bella, vinta dagli uruguagi per 1-0. In quel Penarol c'erano giocatori come Nestor Gonçalvez e Alberto Spencer, due tra i migliori uruguaiani della storia, protagonisti anche del trionfo nel 1966 con la doppia vittoria per 2-0 contro il Real Madrid di Puskas, Gento e Di Stefano. Nel 1962 il Benfica fu invece sconfitto per un totale di 8-4 dal Santos di Pelè, che diedero vita a una delle doppie finali più spettacolari di sempre. Degna di nota anche l'imposizione dell’Estudiantes sul Manchester United di Sir Matt Busby nel 1968. Aprendo il capitolo sulle avventure italiane in questa competizione, partiamo dalla vittoria risicata dell'Inter contro l'Independiente, risultata vincitrice alla terza sfida, la bella, col goal del mio compaesano Mario Corso, durante i tempi supplementari, per l’esattezza al 110° minuto di gioco. Molto contorto è invece il rapporto tra il Milan e la Coppa Intercontinentale e per capirne i motivi bisogna tornare un anno indietro rispetto alla vittoria dell'Inter, infatti nel 1963 i rossoneri affrontavano il Santos di O'Rey. A Milano finì 4-2 per il diavolo, ma sembra che qualche giorno prima della gara di ritorno, l’arbitro del match del Maracanà, il signor Juan Brozzi, abbia proposto ai dirigenti milanisti di favorirli in cambio di 5 milioni di lire, offerta rifiutata. Il primo tempo in Brasile termina 0-2 per gli ospiti e pare che all'intervallo l'ufficiale di gara abbia fatto la stessa offerta ai dirigenti del Santos; non si sa se questi abbiano accettato, ma il secondo tempo fu una vera e propria caccia all'uomo, falli, falli e ancora falli, fino a quando il portiere Ghezzi non rimase stordito e a causa di questo subì 4 goal che obbligarono il Milan a giocare lo spareggio due giorni dopo, nello stesso stadio, con lo stesso arbitro. La cosa fece imbestialire il presidente rossonero Riva che espose ricorso, ma non fu ascoltato, ciò voleva dire che sarebbe stato un continuo della finale di ritorno e a quel punto anche giocatori importanti come il Golden Boy Rivera, si rifiutarono di giocare per evitare di assistere ad un altro spettacolo inconcepibile, come da lui stesso dichiarato a fine gara. Quella coppa la vinse il Santos e al Milan rimasero solo i biglietti per il ritorno in patria. Una situazione simile si verificò anche nel 1969, anno della decaduta della Coppa Intercontinentale, nella finale di ritorno, questa volta in Argentina, tra Estudiantes e Milan che, nonostante vide il Milan trionfare nel doppio confronto, fu anche peggio della partita contro il Santos di 6 anni prima e per gli argentini solamente la replica di quanto messo in scenda l'anno precedente contro il Manchester United, dove però uscirono vincitori. Troppi avvenimenti incettabili accaddero quella sera e raccontarli in un articolo uno a uno sarebbe complicato, meglio farlo con un video, a fine pezzo troverete un video realizzato da Gianluca Fraula incentrato su quella partita.

Come ho detto poco fa, l'edizione del 1969 fu quella che diede inizio al declino della Coppa Intercontinentale, infatti dopo quanto ebbe dovuto subire il Milan negli anni successivi le squadre europee rifiutarono di partecipare, lasciando così il posto agli sconfitti in finale di Champions League o addirittura all'annullamento dell’edizione. Nel 1980 arriverà poi la Toyota che proporrà un cambio di format, di nome, di luogo di svolgimento ma non del trofeo, Toyota Cup in gara unica a Tokyo, che rese la oramai vecchia Intercontinentale la prima competizione vittima delle sponsorizzazioni. A differenza di quanto detto nel mio precedente articolo sulla Champions League, stavolta sono convinto che un ritorno alle origini potrebbe portare nuovo interesse e popolarità alla competizione a discapito, forse, solo di quello a cui purtroppo si guarda oggi, i soldi.