Un po’ di tempo fa scrissi un pezzo relativo alla miglior formazione del secolo che stiamo attraversando. Lì sostenni la difficoltà nel paragonare le varie versioni di un qualsiasi oggetto o situazione. La soggettività, infatti, diviene elemento determinante per l’analisi e sono molto grato che essa esista perché consente di evitare un universo formattato o tutto uguale, non concede un mondo di automi senza idee. Non siamo robot e fortunatamente vantiamo una mente pensante. E’ chiaro, però, che esistono alcuni generi di raffronto molto più considerabili rispetto ad altri. Se vi chiedessi chi è l’individuo di maggior ispirazione sulla terra, quale sarebbe la Vostra risposta? Beh… magari otterrei più risultati su un’unica personalità. Non so… immagino che chi è cristiano possa segnalare Papa Francesco o altri santi significativi per la nostra esistenza, ma mi sembra una ricerca assurda e non conducente ad alcun risultato veritiero. Lo stesso vale in tutti i settori: il politico più capace, l’architetto più abile, la modella maggiormente affascinante…. “De gustibus non disputandum est” dicevano i latini. “I gusti son gusti. E’ proprio così, ma quando, per esempio, si domanda quale sia la migliore squadra possibile attualmente al Governo, il discorso è diverso. Per carità, nessuno intende sostenere che vi sia un dato incontestabile. Ma si può operare in una rosa di soluzioni certamente più ristretta e meno aleatoria rispetto ai precedenti quesiti. Qual è il Paese che sta gestendo meglio l’emergenza pandemica? Dove si adotta la più abile politica economica? Sono interrogativi plausibili perché si fondano su fattori concreti e su dati. Lo stesso vale per lo sport e per il calcio. Diventa difficile indicare il giocatore più bravo di tutti i tempi. Come si fa? Esistono ruoli differenti e competenze diverse. E’ possibile, invece, affermare quale sia la formazione preferita della storia o, come cercherò di analizzare, la Juventus che più mi è piaciuta degli ultimi 10 vincenti anni. Attenzione, però, ho parlato al singolare. Non ho certo l’ardore di voler determinare un’analisi oggettiva nel senso che sia valida per chiunque. E’ una mia idea in quanto non può esserci, anche in questo caso, un “giusto” e uno “sbagliato”.

DIECI MAGNIFICI ANNI CON ANDREA AGNELLI, E ORA?
Siamo alla decade di regno della Vecchia Signora. Dal 2011-2012, i bianconeri hanno sempre conquistato almeno un titolo per stagione e anche in questa è così. Il successo contro il Napoli, infatti, ha concesso loro di aggiudicarsi la Supercoppa Italiana. Il fatto è stato rimarcato pure da un Tweet del Presidente Andrea Agnelli:Sono dieci anni di fila che vinciamo un trofeo… pas mal, ma il più bello sarà sempre il prossimo #finoallafine”. I “più attenti” si concentrano sull’ultima parte del messaggio lanciato dal numero uno dei sabaudi. Sì, perché è noto un vociare che spinge il vate di questo glorioso periodo lontano dalla sua creatura. L’assenza al Mapei Stadium per la sfida ai partenopei non ha chiaramente fatto altro che alimentare questi pensieri. La mancanza si riferisce essere dovuta a un evento importante in Stellantis, nuova società legata alla famiglia, di cui il rampollo è parte della governance. La squadra, però, giocava una sfida davvero importante. Non solo si assegnava la prima competizione dell’annata, ma la Juve era chiamata a rispondere dopo la grave debacle di San Siro e un periodo non propriamente esaltante. E’ logico che l’eventuale addio di una personalità così fondamentale potrebbe ricordare ciò che accadde al Milan con Berlusconi o all’Inter quando Moratti salutò. Sono stati necessari circa 2 lustri per tornare sui livelli di competenza. Il magnate di Arcore, infatti, abbandonò ufficialmente i rossoneri nel 2017 ma, già dalle cessioni di Ibra e Thiago Silva, la musica era cambiata e la tendenza sembrava piuttosto palese. Alcuni tifosi della Vecchia Signora temono di vivere un simile periodo e di vedere smantellata la compagine dei loro sogni. Tale pensiero, però, cozza abbastanza con la realtà. Come si potrebbe pensare a investimenti così importanti durante la scorsa estate se l’idea è quella di lasciare? Agnelli ha rifatto il gruppo spendendo una cifra esorbitante in considerazione del periodo pandemico e delle casse non proprio sorridenti del club. Arthur, Kulusevski, Chiesa, Morata… sono colpi determinanti e piuttosto ricchi. E’ altrettanto vero, ahimè, che durante questa sessione invernale di calciomercato, non sta giungendo alcuna novità e, a ben vedere, servirebbe come il pane sulla tavola. Continuo a riferirmi all’attaccante. Attenzione, quindi, a possibili cambiamenti immaginati in autunno... In ogni caso, il cinguettio del Presidente tranquillizza presentando concrete volontà future di successo.

La Juve ha replicato e ha fatto la voce grossa. Dopo 3 giorni di dure critiche piovute a causa della sconfitta milanese contro l’Inter, i bianconeri hanno risposto presente suonando il Napoli. Oddio, non è stata una prestazione esaltante ed è avvenuta contro una compagine che non ritengo nel lotto di chi possa competere per lo Scudetto, ma è comunque una delle grandi. I supporter sabaudi si godono, quindi, questo moto d’orgoglio e auspicano che gli ultimi 9 anni e mezzo vincenti possano proseguire con Agnelli al vertice.

TIFOSI BIANCONERI, PREPARATE I FAZZOLETTI
Ma qual è stata la squadra più forte? E il ciclo migliore? Innanzitutto, occorre ricordare che la magia iniziò il 31 maggio 2011 quando Antonio Conte pose la firma sul contratto che lo avrebbe legato ai sabaudi. Pare sia stato scelto proprio da Andrea Agnelli in persona, sbarcato sul pianeta juventino un anno prima insieme alla coppia composta da Marotta e Paratici. Quello Scudetto fu certamente uno dei successi più libidinosi della superba striscia. Nessuno si aspettava la Signora e, invece, la fame trasmessa dal salentino al gruppo, coadiuvata dalle sue grandi capacità tattiche e da innesti che hanno arricchito la squadra, condussero al trionfo. Pirlo, Vidal e Vucinic erano le espressioni migliori della novità. La crescita di Bonucci e Chiellini, favorita dall’esperienza di Barzagli, ha fatto il resto. Marchisio si è trasformato da Principino a Re. Tutto ha funzionato a meraviglia. Durante l’annata successiva, il Milan si è indebolito. Asamoah, invece, ha rappresentato un acquisto piuttosto azzeccato. La Vecchia Signora ha centrato il secondo titolo consecutivo in Italia ed è tornata in Europa dove, però, è apparsa la più forte tra i deboli. Non appena si è alzata l’asticella, la caduta è stata fragorosa e il Bayern non ha avuto grandi difficoltà a eliminarla nei quarti di Champions. Era il momento del salto di qualità internazionale. Per centrare l’obiettivo giunsero 2 attaccanti formidabili: Tevez e Llorente. Purtroppo, però, il target sfuggì. I bianconeri uscirono dalla massima competizione per club già al girone e l’avventura in Europa League si spense in semifinale contro il Benfica. La delusione era amplificata dal fatto che l’ultimo atto di tale torneo si sarebbe disputato proprio allo Juventus Stadium. In campionato fu raggiunto il record dei 102 punti, ma continuo a pensare che l’addio tra Conte e la sua truppa fu dovuto anche alle delusioni continentali macinate soprattutto in quell’annata.

Il 14 luglio 2014 è il giorno della svolta. Finì il primo ciclo vincente sabaudo. Il pugliese salutò la truppa lasciandola nelle mani di Allegri, esonerato 6 mesi prima dal Milan. I tifosi tremavano. Avevano paura che, separata dal Demiurgo, la creatura fosse distrutta. In realtà, il tecnico toscano e la società furono molto abili nell’utilizzare cautela. Non rinnovarono esageratamente. Non modificarono immediatamente le certezze del gruppo a cui si aggiunsero Morata, Coman e Pereyra. Il livornese non si scostò dal 3-5-2 di contiana memoria. La squadra partì benino. Tenne ottimamente il passo in campionato, ma arrancava in Coppa. E’ lì, però, che sarebbe servito il salto di qualità. Così, solo a novembre, Max scalfì i primi dogmi del passato varando il 4-3-1-2 che fu foriero di tanti successi. Si partì con l’Olympiacos e fu subito gloria. La vittoria sugli ateniesi pose la squadra in condizione di passare il turno in Coppa. Accedendo agli ottavi, la Juve se la vide con il Borussia Dortmund che, invece, pareva alla fine del suo ciclo. Demoliti. I quarti erano all’apparenza più semplici, ma il Monaco e un virus gastrointestinale che colpì pesantemente la rosa misero in difficoltà gli uomini di Allegri. Scampato il pericolo, i bianconeri compirono il capolavoro contro il Real prima della triste sconfitta di Berlino. La Vecchia Signora sfiorò il triplete conquistando lo Scudo e una Coppa Italia che mancava da circa 20 anni. Troppi.
A quel punto, per la dirigenza, la Juve aveva bisogno di rinnovarsi
. Questo fu probabilmente concordato con l’allenatore. Dopo 4 annate magnifiche, concluse con una quasi apoteosi europea, il timore forse era di aver terminato la fame di successi. Insomma, il gruppo poteva essere stremato. Via Pirlo, Vidal e Tevez. Dentro Khedira, Cuadrado, Alex Sandro, Mandzukic e Dybala. L’avvio fu molto complicato. Si percorse una strada piuttosto simile a quella dell’attuale stagione. In campionato, i sabaudi arrancavano mentre in Champions volavano. Ad agosto arrivò il successo in Supercoppa che ora è giunto solo a gennaio. Da novembre, però, partì la remuntada italica che forse tolse troppe energie. La Vecchia Signora si presentò a un ottavo improbo contro il Bayern completamente svuotata anche dagli infortuni. I bavaresi ebbero la meglio, ma non senza fatica. I bianconeri chiusero comunque la stagione con un successo in Coppa Italia e il solito, immancabile tricolore. Nell’estate dell’Europeo francese, Marotta e Paratici conclusero il lavoro iniziato un anno prima. Il 2015-2016, quindi, non fu certo male per essere un anno di transizione. Pogba partì per Manchester e Morata rientrò a Madrid. Dani Alves, scaricato dal Barca, Pjanic e Higuain fecero capolino sotto la Mole. Allegri ci mise un po’ a comprendere quale fosse l’abito migliore per i suoi, poi, nel mese di gennaio varò un formidabile 4-2-3-1. La Juve sfiorò nuovamente il triplete, ma a Cardiff qualcosa si spezzò definitivamente.

La dirigenza confermò l’allenatore e, forse, fu un errore. E’ troppo semplice, tuttavia, sostenerlo a ritroso. Nacque un nuovo ciclo? Nì. La squadra fu sostanzialmente confermata anche se Matuidi e Bentancur rinforzarono la mediana. Marchisio sparì completamente dai radar. Già nella stagione precedente, il Principino era stato praticamente riposto in soffitta. Fu un cambio di identità molto soft. L’addio di Dani Aleves venne compensato con gli arrivi di Douglas Costa e Bernardeschi che portarono a un nuovo modulo: il 4-3-3. Ronaldo fu ancora artefice di un’eliminazione bianconera dalla Champions. Questa volta, la Juve diede addio alla competizione durante i quarti di finale. L’ultimo atto fu contestato e clamoroso. I piemontesi riuscirono nell’impresa di vincere 3-1 al Bernabeu, ma “una rondine non fa primavera”. Le difficoltà erano palesi. Lo Scudetto sofferto e la Coppa Italia vinta in maniera egregia non nascondevano totalmente la polvere sotto il letto. Servivano cambiamenti importanti. Era necessario un ulteriore salto di qualità. Chi meglio del più forte per questo obiettivo? Agnelli regalò, ad Allegri, CR7. Target centrato? Macché. Il 2018-2019 fu peggiore dell’annata precedente. La squadra vinse la Supercoppa Italiana e il campionato, ormai gustosa e scontata prassi, ma l’eliminazione dalla Coppa per mano dell’Ajax era una macchia troppo evidente sulla tela. Max chiese il ringiovanimento della rosa che, forse, sarebbe dovuto avvenire 2 estati prima, cioè dopo Cardiff. La società glielo negò e le parti si separarono.

Ecco, quindi, Sarri e il suo staff. Ma nessun nuovo ciclo. Dal 2016 al 2020, la Juventus non ebbe mai il coraggio di cambiare il suo cuore. La radice era sempre la medesima. Variò il tecnico e qualche giocatore, ma non il concetto base. Il succo era lo stesso. Nessuna concessione al sarrismo, nota filosofia di gioco del tecnico figlinese, che doveva modificare il DNA della squadra senza avere la materia prima desiderata. Compito impossibile e, infatti, mancato. La Vecchia Signora vinse “solo” lo Scudo e, invece di favorire il nuovo mentore con acquisti a lui graditi, gli diede il più classico dei benserviti.Arrivederci e grazie. Il matrimonio è fallito per incompatibilità di carattere”. In effetti c’è poco da obiettare. Tra la Vecchia Signora e Maurizio esisteva un abisso forse insormontabile che sicuramente non fu ridimensionato dal lockdown. E’ palese che ogni rapporto sia stato frustrato da questa terribile esperienza. La Juve scelse Pirlo ed è parso un ritorno alle origini. Sì, perché Andrea rappresenta il contismo. Non mi riferisco all’aspetto tecnico-tattico, ma a quello mentale. Il lombardo sta compattando il gruppo e basti vedere i festeggiamenti per la Supercoppa al fine di comprendere quello che voglio sostenere. “Tutti per uno, uno per tutti”. Ciò è stato chiaramente favorito dall’addio a personalità che ormai avevano già dato troppo per la causa e forse non la sentivano più loro. Il riferimento è a Higuain, Costa e Matuidi. Vorrei capire, invece, cosa ne pensa Khedira che potrebbe persino tornare utile per il rash finale. Così il bresciano beneficia di quanto Allegri aveva chiesto 2 anni prima e che, probabilmente, avrebbe già dovuto essere eseguito nel 2017.

LA PRIMA JUVE DI MAX: UNA FAVOLA!
Tre o quattro cicli in 10 anni, ma qual è il migliore? Che Juve mi ha convinto di più? La risposta non è semplice anche perché subentrano le emozioni. Proverò a trovare un equilibrio tra ragione e sentimento. Direi la prima Vecchia Signora targata Max Allegri. L’undici titolare era così composto e veniva schierato con il 4-3-1-2: Buffon; Lichtsteiner, Bonucci, Chiellini, Asamoah; Marchisio, Pirlo, Pogba; Vidal; Tevez, Morata. Perchè ho scelto proprio questo? Beh, l’indecisione era con la rappresentante del secondo sfiorato triplete. Anche tale compagine appariva devastante. Il 4-2-3-1, guidato sempre dal toscano, aveva tali sembianze: Buffon; Dani Alves, Bonucci, Chiellini, Alex Sandro; Pjanic, Khedira; Cuadrado, Dybala, Mandzukic, Higuain. La differenza è nell’insieme. Se si guarda alla retroguardia, infatti, si nota come sui terzini non vi sia praticamente sfida a favore dell’ultima versione. Con tutto il rispetto per lo svizzero e per il ghanese, i due carioca hanno una marcia in più. Ma, come detto all’inizio del pezzo, non è il singolo a definire il tutto. Mandzukic, infatti, non ha nulla da invidiare a Tevez o Morata. Nutro, invece, qualche remora in più sul Pipita che non mi ha mai convinto sino in fondo. Se si analizza il rombo in mediana del 2014-2015 viene la malinconia, oltre che l’acquolina in bocca. Che bellezza! Il Maestro dirigeva l’orchestra in maniera perfettamente armoniosa. Il Polpo rappresentava la perfezione del tuttocampismo. Il Principino deliziava con i suoi inserimenti e donava grande equilibrio. Vidal spaccava le montagne come KP Boateng aveva fatto in una precedente versione milanista. L’Apache dominava e Morata finalizzava. Superbi. Era una squadra che si muoveva armoniosamente all’unisono. Difendeva per ripartire, ma lo faceva in una maniera coraggiosa e mai remissiva. Era compatta, solida e, nonostante partisse dal principio di non prenderle, finiva quasi sempre per dominare le ostilità. Tata roba.

La differenza principale tra le forme citate di Juventus e le successive è soprattutto una: non si è più trovata una quadra definitiva nei moduli, ma ancor peggio nella tattica e nelle scelte dei titolari. Non è solo colpa di Allegri, Sarri o Pirlo, piuttosto degli infortuni e della discontinuità degli elementi. Un esempio palese è Bernardeschi. Ogni bianconero si augura che Federico sia sempre quello visto nella sfida contro il Napoli o ammirato con l’Atletico Madrid. Se è riuscito in tali 2 opere, significa che può raggiungere il livello. Perchè non riesce a mantenerlo? Probabilmente è una questione psicofisica. Deve trovarsi al meglio della condizione atletica, altrimenti anche la testa sbava. E viceversa. Può essere. Ciò che si chiede al tecnico bresciano è proprio una scelta quanto più definitiva possibile. Se fossi in lui, mi aggrapperei a quel 3-5-2/4-4-2 fluido ammirato con Barcellona e azzurri.

UN MIX DEVASTANTE
Chiudo questo lungo pezzo, e mi scuso per l’estensione, con una chicca. Vorrei provare a costruire la Juve più forte di questi 10 anni mischiando gli elementi a disposizione. Onde evitare di distruggere il noto rombo di centrocampo, opto per il 4-3-1-2 di allegriana memoria con il toscano a dirigere l’orchestra. Non me ne voglia Conte, ma i due triplete sfiorati pongono Max all’apice di ogni possibile graduatoria. In porta, non ho dubbi. Buffon è l’eroe incontrastato della decade. Sczcesny è bravo, ma Gigi è unico. Nella retroguardia inserirei Dani Alves, Bonucci, Chiellini e Alex Sandro. Ripesco, quindi, completamente la difesa del 2016-2017. Mi spiace per Barzagli che resta busto irremovibile nel museo bianconero, ma devo essere freddo e lucido. I quattro prescelti, credo abbiano rappresentato il top. In mediana sposo completamente la linea di cui ho precedentemente tessuto le lodi anche se abbandonare Khedira è un colpo al cuore. Un’alternanza tra lui e Marchisio sarebbe perfetta. Auspico e prevedo un roseo futuro sia per Arthur che per Mckennie. In attacco, invece, sono certo: CR7-Tevez. E’ vero, mancherebbe una punta di ruolo ma, con il centrocampo scelto, penso si potrebbe ovviare a qualsiasi centravanti. La palla viaggerebbe a terra e gli inserimenti dalle retrovie compenserebbero l’assenza dell’ariete. Mi piange il cuore per le esclusioni di Mandzukic, Dybala e Morata così come quella di Cuadrado. Penso che ciò consenta di comprendere di quanta grazia hanno potuto godere i tifosi bianconeri nel recente passato e il plauso che debbano garantire alla loro società.