“Bisogna avere il caos dentro per partorire una stella danzante”


Questa massima del celeberrimo filosofo tedesco Friedrich Nietzsche mi ha sempre colpito per il modo di sintetizzare ciò che credo appartenga ad ognuno di noi: la fantasia.

E di questi tempi, la fantasia, ci serve come il pane.

Serve a decidere come sistemare la stanza, rivoltandola come un calzino e tirando fuori tutto il vecchiume, ritrovando frammenti di vita universitaria, che ti ricordano le convivenze a ritmo di studio “matto e disperatissimo” alternate a serate di spensieratezza in cui credevi che quei momenti sarebbero durati in eterno.

E ci credevi per davvero.

Ripercorri con la mente i frangenti in cui sei stato più vero, più fragile, più sensibile, più severo.

Ricordi il battito del cuore nelle corse a mezzanotte per festeggiare l’esame sostenuto o i parchi presi d’assalto per un pic-nic fuori dall’ordinario.

Te ne stai a guardare un vecchio appunto, il quale, dietro quell’apparentemente statica nozione di microeconomia, nasconde pezzetti di vita incastrata nell’inchiostro di una bic nera trovata per sbaglio sotto il banco di un’aula in cui la lezione era terminata eccezionalmente fuori orario.
E nella tua testa, le voci dei tuoi colleghi, tutti alle prese con l’ingenuità delle prime volte. E rapidamente ti accorgi che di quel gruppo, come ti dicevano gli adulti quando eri adolescente e a cui tu non prestavi ascolto, è rimasto solo chi voleva (o poteva) esserci. E chi non ha voluto (o potuto) esserci più, rimane comunque piantato lì, in qualche quaderno che resiste nonostante tutto.

E nel frattempo scopri che rovistare tra carte e cianfrusaglie non è così noioso come avevi sempre creduto.

Spuntano fuori i biglietti del concerto di un cantante indie a cui hai assistito con una persona speciale, gli attestati di un corso realizzato a tempo perso “così lo mettiamo nel Curriculum”, briciole di cartelloni realizzati per il matrimonio del primo della compagnia che “ha fatto ‘sta cazzata”, la maglietta di Vieri ai tempi della Lazio, le foto di famiglia accompagnate dall’immancabile “ma chi è questo?”, prenotazioni di aerei mai presi, giuramenti mai mantenuti, conchiglie che ti promettevano “di sentire il mare ovunque tu sia”, filmini di periodi dorati eppure andati, città straniere entrate nel cuore in poche settimane, bozze di melodie mai completate, stralci di pensieri elaborati senza esperienza, crisi di nervi racchiuse in un manuale di 950 pagine scritto a caratteri microscopici, maglioni impregnati di tramonti inaspettati, t-shirt all’odore di kebab rigorosamente senza salse mangiato alle tre di notte e cappellini omaggio durante la “giornata di nonricordopiùqualeera”.

Figure di gioie incontrollate, relazioni sul futuro che non ci faceva mai paura, peluche da compagnia, portachiavi utilizzati per qualsiasi cosa tranne che per la loro funzione originale, ballerine di danza classica trasformate in acrobate del desiderio, rotelline staccate dalla sorpresa dell’uovo di Pasqua regalato da nonno, custodie di qualche apparecchio elettronico ormai superato, gomme per cancellare il dolore residuo, matite per disegnare palazzi ultramoderni con un terrazzo vista mare e un campetto da calcio di fianco la piscina, supereroi che non vanno più di moda, cartoni animati che ti chiedi “ma come ho fatto a guardarli?”, genesi di collere e sudore, sprazzi di genuinità, profumi privi della loro essenza, torce per vedere meglio o per spegnerle quando era il momento opportuno.

La divisa della squadra del quartiere, le illusioni di diventare ciò che non eri, i “per sempre” fino a domani, le coccole non richieste.

Le meraviglie in spugne di ghiaccio, spicchi di sole sfumati, lune derise da pianeti non riconosciuti, satelliti senza localizzazione, visuali dall’alto che “non può essere vero”, pillole di cultura a convenienza, malesseri quotidiani, articoli di giornale, fumetti responsabili della tua crescita giovanile, giocattoli intoccabili perché se no piangevi a dirotto, progetti incompiuti, disegni inspiegabili, scarabocchi sensati, ambizioni racchiuse in formato A4, bugie mascherate, verità ingombranti, commedie finite troppo presto, preghiere pensate, avventure dimenticate, litorali profumati che non sono mai stati esplorati a fondo, viaggi pianificati, sensazioni plastificate e sentimenti in lattice.

E mentre te ne stai lì a pensare a tutto questo marasma, sono trascorse diverse ore: la stanza, magari, la riorganizzerai domani.

Ma la fantasia non molla.

Fortunatamente, è sempre qui, non se ne va.

E allora puoi decidere di cominciare a prenderti tutto il tempo che vuoi per recuperare tutte quelle opere cinematografiche che non hai visto perché dicevi “quando ho tempo me le vedo”. E il cinema, come la lettura o il teatro, è uno dei mezzi di cui si serve Sua Maestà Fantasia per farti vivere in mondi diversi senza che tu ti muova fisicamente.

Ed accade che ti fermi un secondo, mentre osservi il film di Scorsese che stranamente ti era sfuggito o quella saga di fantascienza che per motivi vari non ti eri mai deciso ad iniziare, e pensi: ma quanto sono belle le storie?

Che siano su schermo, su carta o visive, la parte più bella della vita sono le storie.

Quelle che vivi, senz’altro, ma anche quelle che osservi da spettatore.

Perché, in fondo, che sia un lungometraggio, un disco, un manoscritto o anche una semplice partita di pallone, c’è sempre una parte di te che vive in quella narrativa.

Sei dentro qualcosa e qualcosa è dentro di te.

Ma, come al solito, sono giornate in cui davvero non fai caso all’orologio e ti accorgi solo ora che è tempo di pranzare. E sei in ritardo rispetto allo standard.

E allora scopri il piacere di poterti sbizzarrire ai fornelli, tirando fuori idee che farebbero rabbrividire i giudici dei talent più seguiti d’Italia.

Ringraziando il cielo, però, sei solo tu nella tua cucina e l’esito della sfida lo deciderà solo il tuo stomaco.

E a lui, di solito, quello che prepari va sempre bene.

Il riposino post-pranzo, che spesso regala incubi che non dimenticherai, precede la scrittura: il momento migliore della giornata.

Sì, perché magari non hai talento, magari sei pessimo, magari non interessa a nessuno ciò che batti sul tuo notebook ma… sei tu. In quello che scrivi, che sia un pezzo giornalistico o un racconto breve, che sia un romanzo o una tesi di laurea, sei comunque ciò che senti dentro le tue viscere. E, come Nietzsche insegna, se ti sforzi di vedere al di là della realtà, vedi che il tuo essere più profondo si traduce in quelle righe che scrivi e cancelli, che riscrivi e ricorreggi.

Non ti piacerà mai quello che fai.

Mai.

Altrimenti, se fosse così, smetteresti di inseguire ciò per cui vivi.

Ciò che ti spinge ad accendere il motore e a percorrere le nuove strade che la mente ti propone di seguire.

E allora, siccome ami tutti i tipi di storie, ma davvero tutti, ti adegui al nuovo trend e metti su qualche episodio di una serie TV (per quanto tempo le chiameremo ancora così?) senza però farti tentare da quel fenomeno strano che tutti chiamano binge-watching, a meno che il prodotto non si chiami Breaking Bad, Game of Thrones, Vikings, True Detective, Better Call Saul, Stranger Things, The Witcher, Locke and Key, La Casa de Papel… sì, devi ammetterlo, anche tu ogni tanto fai fatica a resistere!

Finché poi, rientrando nella tua stanza, l’occhio ti cade su di lei.

Lei è sempre lì.

Non se la prende.

Non se la tira.

Non ti snobba per andare in cerca di qualcun altro per fartela pagare se qualche volta preferisci altre forme di liberazione dei tuoi pensieri.

Sì. Lei non ti tradisce mai, anche se tu lo fai.

La chitarra sa quale è il suo posto.

Non esce di casa senza avvisarti, non ti disturba se sei impegnato col lavoro. Non ti fa preoccupare perché non fa tardi la sera e non mangia schifezze nei fast-food.

È lì, come da ogni giorno della mia vita che io ricordi.

E, costantemente, mi ricorda quanto è importante averla senza proferire verbo.

Quanto conta nella mia vita.

Più di ogni altra cosa.

Solo che, sebbene sia così buona, anche lei ha dei difetti.

Si scorda.

Non di te, chiaro, ma avendo costantemente bisogno di affetto, se non sente il calore delle tue dita e il battito del tuo pugno sulla cassa armonica, fa un po' fatica a restare così come l’hai lasciata la sera prima.

Occorrono un paio di minuti per metterla a regime ed è pronta.

Non richiede virtuosismi, non è necessario essere Van Halen: a lei basta che venga usata con cuore e passione per ricambiarti con un suono che diviene sentimento.

E allora, dedico la mia razione quotidiana a lei, rispolverando Kurt Cobain, passando per i Red Hot Chili Peppers finendo ai più attuali Coldplay.

Nulla di esagerato: bastano quattro accordi, per farti essere felice.

Così, mentre ti metti a letto dopo una giornata in cui l’immaginazione si è presa tutto lo spazio possibile, più di quanto lo possa fare normalmente, rifletti e crei nella tua testa ciò che sarà.

La semplicità è il segreto del successo.

E, mentre ripensi a tutto ciò che questa frase voglia dire, la tua testa ti proietta tra qualche mese, finalmente fuori, riunito con tutti i tuoi amici, davanti a un falò.

Pizza e birra per tutti, scherzi, risate, storie, bagni di mezzanotte, barzellette, brindisi, girotondi.

Fino al momento in cui prenderai in mano la chitarra.

Sappiamo già cosa canteremo tutti insieme: Ligabue, Vasco, Battisti, De André, Rino Gaetano, Grignani, Fabrizio Moro, Cremonini, Mannarino, Calcutta, Tommaso Paradiso, le brutte intenzioni, la maleducazione, la tua brutta figura di ieri sera.

Il mix ideale per le nostre serate.

Aspetteremo l’alba, abbracciandoci con le nostre metà.

La mia mi guarderà come se fosse il primo giorno e ci daremo un bacio che non conoscerà limiti o confini.

E anche la tua, ne sono certo.

E poi, quando tutti si saranno addormentati, prima che sorga il sole, prenderò la mia chitarra e arriverò da solo in riva al mare, cantando la mia canzone davanti l’infinito.

E ancora una volta, fin quando ne avrò, fin quando ne avrai, fin quando ne avremo, “certe notti son proprio quel vizio che non voglio smettere, smettere, mai”.

 

Link video: https://www.youtube.com/watch?v=EJqk5-S1u6s



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