Giacomo nasce a Reggio Emilia il 12 maggio 1991. E’ figlio di Mario, piccolo imprenditore della zona, e Marisa, avvocato. La sua è una famiglia benestante. Non vive nell’agiatezza assoluta, ma non le manca nulla. Anzi, si può permettere molti più benefici rispetto alle altre. Non risiede in Città, ma in un Paesino sulla collina a circa 20 km dal capoluogo. A questo punto occorre conoscere la geografia fisica e politica della Provincia Emiliana. A nord confina con la lombarda Mantova, a sud, invece, con la toscana Massa-Carrara. A est, si trova Modena, mentre a ovest ecco Parma. Questa lingua di terra è lunga all’incirca un centinaio di chilometri ed è larga una trentina. L’apparenza sulla carta è quindi di un territorio molto snello che, se non si differenzia granché attraversandolo in orizzontale, è totalmente diverso se lo si percorre in verticale. Partendo dal Po si trova la Bassa Padana. Avete presente Don Camillo e Peppone di Guareschi? Forse, i più giovani no! Ma quell’opera rappresenta alla perfezione tali zone. Piatte come una tavola, con qualche casolare sperduto tra faggeti e canali e alcune frazioni sparse simili a oasi nel deserto. Proseguendo si raggiunge la Città. Non è certo una metropoli alla stregua di Milano e Roma, ma è parecchio vivibile e rappresenta le tipiche caratteristiche dell’attuale melting pot. E’ specchio del suo territorio. E’ zona attiva, di grandi lavoratori che la sera sanno divertirsi, come si dice lì, “facendo baracca”. Man mano che si avanza il mondo inizia a farsi ondulato ed è qui che sta Giacomo. Sono le Terre Matildiche, riferendosi alla nobile che ospitò Papa Gregorio VII nella nota Umiliazione di Canossa. L’Imperatore Enrico IV attese fuori dal castello, nel freddo e nevoso inverno, per ricevere la revoca della scomunica. Inerpicandosi sempre più sull’Appennino si trovano le vere e proprie montagne. Non immaginatevi le Alpi. E’ una situazione abbastanza differente. Non esistono ampie e verdi vallate, ma spazi più angusti. Hanno un grande fascino. La fauna e la flora sono quelle del nord Italia, ma il paesaggio è sicuramente meno aperto. D’altronde, da queste vette si può ammirare il magnifico mare del Golfo di La Spezia.

Questo è il luogo che ha dato i natali a Giacomo. Il nido d’infanzia non è ancora frequentato come nell’attualità e, nella zona in cui vive il bambino, non era presente. I genitori possono permettersi di affidarlo alle cure dei nonni. Saranno molto importanti nella sua crescita come in quella di molti fanciulli perché sintomo di protezione. Non crescono soli come in altre realtà, ma accuditi da un caldo guscio che risulta vantaggioso sotto molti aspetti e meno per altri. Si gode di serenità e tranquillità così da avere la chance di aprirsi diverse strade. Resta, però, meno autonomia. Frequenta la materna e poi le elementari. Da lì inizia a sviluppare una grande passione per il calcio. Come? Beh… è semplice! In tali luoghi basta poco. Il papà è un grande fans dell’Inter e il nonno non è da meno. A scuola tanti suoi compagni praticano quello sport e la sua diventerà presto una “fissazione”. Giacomo è un bambino esile, quasi gracile. Da subito non mostra un fisico eccezionale, ma un’intelligenza sopraffina. Ama Roby Baggio e, per questo, decide di tifare Milan. All’epoca, infatti, il Divin Codino veste le effigia rossonere. E’ banale, ma altro sintomo del territorio. Il pallone è specchio della vita. Pur essendo molto legate e unite, le famiglie reggiane non costringono. Il figlio può fare ciò che meglio ritiene. Esiste, però, un punto su cui i genitori non transigono: percorrere il cammino con il massimo della volontà e dell’impegno. Giacomo cresce. Già dalle medie inizia a frequentare la scuola calcio. Non siamo in Sud America, in Africa o in un posto che, solitamente, presenta particolari situazioni. Non è Tevez che matura nel barrio. Ma non per questo affronta meno difficoltà. Sono soltanto diversificate. La mattina si passa sui banchi. Poi arriva il pulmino che lo conduce a casa perché il nonno potrebbe accompagnarlo, ma i genitori vogliono abituarlo alle fatiche della vita. Da quelle parti, funziona così. Comunque, la scuola non è distante e, alle 13-13.10, il ragazzo è già a casa. Mangia i tipici piatti che, durante la settimana, sono della zona. Pasta, riso, pollo, carne rossa, prosciutto, Parmigiano-Reggiano e verdura prima di rilassarsi con un po’ di tv. Alle 14.30 iniziano i compiti perché alle 16.30 c’è allenamento. Alle 19.00 è a casa. Cena, ultima definizione dello studio, poi un po’ di partita in diretta e alle 22.30 a nanna.

E’ un’esistenza assolutamente normale? Sì, ma dipende dal punto di vista. Spesso a queste vengono aggiunte ulteriori difficoltà perché è meglio tenersi aperte diverse strade. Non si sa mai. Allora Giacomo deve frequentare anche il corso di pianoforte. Lo farà per alcuni anni prima di abbandonarlo, ma la passione per lo strumento resterà nei meandri della sua mente. Iniziano le scuole superiori. Se prima la distanza tra la sua abitazione e l’istituto era circa 5 o 6 km, ora cambia. Adesso bisogna raggiungere sempre Reggio. Quando Mario e Marisa hanno la possibilità non esitano ad accompagnarlo. Altrimenti c’è il bus che arriva a casa alle 15.00. Not easy perché poi ci sono i compiti e l’allenamento. Insomma, occorre imparare a organizzarsi tanto più che dalla terza liceo viene chiamato dalle giovanili della Reggiana. Ha 15 anni. Ora cambia davvero tutto. Si alza alle 6.30. Non fa colazione. E’ impossibile avere appetito in quei momenti. Si prepara. Si dirige alla fermata della corriera. In inverno è freddo e buio. Sale sul mezzo dove cerca invano di fare l’ultimo sonnellino. In 50 minuti è in Città. Scende e si dirige a piedi verso la scuola. E’ un tragitto di un quarto d’ora. Ha fame. Prende una merendina alla macchinetta con un succo di frutta prima che inizi la lezione. Alle 13.00 esce. E’ ospite a casa di un suo compagno che abita in Città o, in alternativa, va al campo dove mangia un panino attendendo che siano le 15.30 per iniziare l’allenamento. Alle 18.00 termina e il padre, uscendo dal lavoro, lo passa a prendere. Per giungere a casa, con il traffico, è un caos. Dopo 12 ore di assenza, arriva verso le 19.30. E’ disfatto. Cena. Si riposa 2 minuti davanti alla televisione e va a letto. Così succede il lunedì, il martedì, il mercoledì e il giovedì. Il venerdì, la domenica e qualche serata sono utili a recuperare il tempo perduto nel calcio perché l’istruzione è fondamentale. Il sabato, invece, se la Regia gioca in trasferta, Giacomo esce prima da scuola in quanto deve dirigersi in qualche meta non propriamente vicina del Nord Italia. Rientra stremato verso le 20-20.30, ma questo non gli impedisce di frequentare gli amici più cari. Ormai è l’unico momento in cui può permettersi un tantino di vita sociale. La domenica, infatti, serve per dormire, recuperare le forze e studiare. A proposito, in questo marasma di impegni, non si possono dimenticare alcune necessità tipiche dell’adolescenza. Ha una frequentazione, ma la fatica di vedersi non è certamente semplice. I due non abitano nemmeno vicini. Riescono, in qualche caso, proprio nell’ultimo giorno della settimana o quello prima se il match è in un luogo vicino. Poi ci sono i compagni di scuola che si lamentano perché il ragazzo salta alcune verifiche. Vengono puntualmente recuperate, ma anche più genitori dei "colleghi" non sono così soddisfatti. E’ sempre facile comprendere le proprie necessità. Lo stesso non vale per quelle altrui.

Giacomo è un ottimo centrocampista. E’ forte. A 18 anni passa in prima squadra. E’ fortunato perché milita nella compagine della Sua Città. Non è da tutti. In questo modo riesce persino a frequentare l’Università. Era il grande obiettivo dei genitori. Sceglie filosofia. La vita l’ha costretto da subito all’organizzazione. Il passaggio dalle scuole superiori allo step successivo è un enorme vantaggio. Ha più istanti da dedicare al riposo e alla socialità. Non deve nemmeno presenziare a tutti i corsi della facoltà nella vicina Modena. Lentamente sale sulla cresta dell’onda. Diventa titolare e noto in tutta Reggio. Lascia la sua vecchia ragazza. La motivazione non è da ricercarsi nella fama. Questa l’avvicinerebbe alle tante signorine che gli fanno la corte perché è una celebrità locale. Ricco no. Milita in serie C. Non ha certamente uno stipendio paragonabile a illustri colleghi. Quella passata era una storia piuttosto infantile. Ci sta. Sono le frequentazioni che nascono così, tra i banchi di scuola. Poi si matura e si comprende che non è la persona giusta. Giacomo trova una fanciulla normale. Carina, sì. Ci mancherebbe. Ma non la classica wags. Anche lei è universitaria. Studia medicina. Quali sono, quindi, le nuove difficoltà? La prima è rappresentata dai genitori che non hanno mai creduto troppo nel mondo del calcio. Avrebbero voluto che si iscrivesse a un corso, magari diverso da quello scelto perché non garanzia di un posto certo di lavoro, e si dedicasse esclusivamente a quello. La madre, chiaramente, sogna di lasciare la propria attività al figlio. Lui, però, non molla in quanto preferisce seguire la sua strada e la scelta è vincente. Ma che fatica! Dite che mi sto contraddicendo rispetto all’inizio del pezzo? Non è così. Il nostro non è un ostruzionismo talebano. Della serie: “o mangi sta minestra o salti la finestra”. Da queste parti, si soffre in silenzio. Ma chi ti è vicino percepisce l’ostilità. Non è facile. Sappiatelo! Il ragazzo prosegue nonostante i dubbi dei genitori e pure della nuova fidanzata. E’ solo. Ma ci crede. E poi? C’è la Città. Reggio non è Napoli o Roma che stremano l’animo dei propri rappresentanti calcistici. Per carità. Giacomo non è Insigne e nemmeno Totti, ma… I tifosi granata sono “calienti”. Sanno soffrire e stare tanto vicini alla squadra, tuttavia chiedono un attaccamento ancora maggiore. Non ci sono le radio capitoline ma, dopo una brutta prova, il ragazzo legge i quotidiani locali, i blog, ascolta le tv e se fa una vasca in centro nota le facce della gente. Non può neanche divertirsi spensieratamente perché è un professionista e, se qualcuno lo vede bersi l’unica birra della settimana, lo lincia mediaticamente. In 4 anni diventa titolare inamovibile e capitano. Lo nota il Sassuolo e lo veste di neroverde.

Ha 22 anni quando cambia la maglietta. Sia mai! Un reggiano che gioca con il club di Squinzi, il “ricco usurpatore dello stadio”. Vade retro! Lui ama i colori granata, ma sa che quella è l’occasione della vita ed è convinto che la società gli sarà grata perché ci guadagnerà un bel gruzzoletto. Dopo tanti tentennamenti e nonostante l’ostilità che percepisce intorno a sé, accetta l’offerta. E’ un giocatore di serie A. Tutto cambia completamente. La Città è divisa. Una parte comprende la sua scelta. Un’altra non la digerisce. Per un’estate, molti tifosi hanno trattato del suo trasferimento. Anche gli amici mettono il becco e lui percepisce la loro disapprovazione o il sentimento contrario. La fidanzata è stanca perché la situazione è di difficile gestione. Il ragazzo è assente e spesso molto pensieroso. L’esistenza non è facile. Se avesse avuto altri generi di problemi sul lavoro, il risultato non sarebbe cambiato, ma qualcuno pensa che le “star” del calcio vivano nella bambagia. Il passaggio dalla serie C alla A è un’ecatombe. Non gioca mai. Per mezza stagione è perennemente in panchina. Poi si infortuna muscolarmente e trascorre 6 mesi ai box. Quasi quasi abbandona. E’ psicologicamente demolito tanto che questo gli impedisce di proseguire regolarmente i piani di studio e ritarda la tesi. Si fa aiutare da esperti del mestiere in quanto vuole lasciare pensando che avessero ragione i genitori. Ormai, però, questi si sono convinti del suo talento e quindi della strada da percorrere. Non si può gettare i doni che la Natura offre. La fidanzata fatica maggiormente a capire, ma accetta e resta un po’ in disparte osservando passiva il futuro. E’ una grande prova d’amore. Lui recupera. Vede la luce in fondo al tunnel, ma viene girato in prestito al Pescara che, in quel momento, è in “cadetteria”. La ragazza non ha ancora terminato gli studi e non lo segue. Con lui va solo la madre. E’ una stagione tanto dura. Ma supera brillantemente la prova e torna a casa con maggiore esperienza. Ormai ha 24 anni. Questa è la svolta. La fidanzata, più vecchia di un anno, prosegue in una facoltà che pare interminabile. Ma lui ha la fortuna di viverle vicino e presto decidono di farlo insieme. Dopo due temporade di assoluto livello, arriva la grande chiamata. Lo nota la Juve. Che fare? Ancora una volta, accetta. La compagna si sta specializzando e non lo può seguire. Resta lì, da sola. Mentre lui è in Piemonte. Avevano progettato un matrimonio, ma sic stantibus rebus è impossibile. Le tentazioni sono tante per entrambi. I momenti per vedersi, invece, sono rari. Resta a Torino per 3 annate dove vince Coppa Italia, Scudetto e Supercoppa Italiana. Poi arriva un mister che non ama troppo il suo modo di giocare. Così si trasferisce ancora. Questa volta, va all’estero. Militerà nel Chelsea. La ragazza è finalmente pronta per maritarsi e seguirlo a Londra dove cambieranno nuovamente tutte le abitudini e lo stile di vita. Purtroppo, non riusciranno mai ad avere il figlio tanto desiderato. La carriera di entrambi scorrerà, ma sempre rimarrà tale delusione nell’animo fintanto che non opteranno per un’adozione.

Vorrei dedicare questo pezzo a Eriksen.
E’ il mio modo di augurargli una pronta guarigione. Gradirei che fosse anche per Kjaer, il “Suo Angelo Custode”, ma pure per Sabrina Kvist Jensen. E’ la moglie del centrocampista nerazzurro. E’ lei la protagonista dell’immagine da me ritenuta più forte nella sua violenza. L’abbraccio con il difensore del Milan e Schmeichel è stato in grado di rompere la corazza di silenzio che mi impediva di piangere. Ero tremendamente spaventato e triste nell’osservare quel 29enne a terra che non riuscivo nemmeno a farmi scendere le lacrime. I fotogrammi della donna mi hanno sciolto come un ghiacciolo al sole. E’ stata una liberazione alla stregua della notizia della sopravvivenza del danese. Ero felice. Ero sollevato. Ma questo ha permesso a ciascuno di noi di comprendere miriadi di cose. Ognuno ha giustamente appreso una propria “lezione” o si è fatto una sua idea. Vi propongo la mia. Più o meno tutti sappiamo che la vita non è completamente nelle nostre mani. E’ un attimo fuggente. Basta un nulla anche per fermare un cuore forte e super controllato. Nessuno è perfetto. Nessuno è infinito. Ed è giusto che sia così. Vorrei che le persone, soprattutto i tanti “haters” di questi ragazzi e del calcio in generale, comprendessero di essere di fronte a uomini come loro. Alcuni appaiono ricchi, scontrosi e sfrontati, ma in tutte le categorie esiste ogni sorta di genere. La realtà è che soffrono e gioiscono come chiunque altro. Per raggiungere quelle vette hanno dovuto affrontare i medesimi sacrifici che supera un ingegnere, un astronauta, un professore, un fattorino, un segretario o un muratore. Nulla giunge da nulla. Niente è regalato a nessuno e serve maggior rispetto per tutti. Sul prato del Parken di Copenaghen non c’era il numero 10 danese o il centrocampista campione d’Italia, ma Christian aiutato dall’amico Simon a superare una delle prove più difficili dell’esistenza. Davanti a loro era presente Sabrina, una mamma qualsiasi che assisteva alla lotta del giovane marito per rimanere aggrappato alla vita. A un certo punto, pare avesse persino creduto di averlo perso, ma Kasper le ha comunicato che respirava e la sua mano cinta alla schiena dell’amico è qualcosa che non dimenticherò mai nella sua semplicità. Non esistono giocatori, atleti, artisti o politici. Sono uomini come noi. Voglio affermare che spesso pure io ho il dovere di togliermi l’armatura, abbassare la spada e cercare di fare un passo verso l’altro. Non è semplice.

Mi piacerebbe pure che il mondo del calcio guardasse attentamente a quanto accaduto. E’ un business e ciò non può cambiare. Non è un aspetto totalmente negativo perché, per esempio, proprio la ricchezza di tale ambiente ha salvato la vita a Chris. Occorre ammettere che se fosse stato un uomo comune, in un luogo normale, probabilmente non ce l’avrebbe fatta. La prontezza delle cure mediche è stata determinante. Ma è necessario che il pallone si ponga qualche domanda. Davvero ha senso non trovare certi accordi e compromessi che consentano di vivere sereni anche quando il nemico non è esterno e si dovrebbe remare nella stessa direzione?
La vita è già molto difficile perché complicarla ulteriormente?!