La pubblicazione delle motivazioni della sentenza di condanna della Juventus per il "caso plusvalenza" dimostra, qualora ve ne fosse bisogno, l'assoluta arbitrarietà degli organi della cosiddetta giustizia sportiva; in realtà non vi sono motivazioni se non generici rimandi ad azioni fraudolente e truffaldine effettuate nella consapevolezza degli esecutori delle azioni medesime.
Per non sconfessare troppo le precedenti sentenze di assoluzione si è puntato soprattutto sulla violazione dei principi di correttezza, lealtà e probità, previsti dall'art. 4.

Che le società di calcio professionistico siano tutte o quasi tutte in grande difficoltà coi bilanci e che cerchino di far quadrare formalmente i conti con tutti gli stratagemmi possibili e immaginabili, è risaputo e non può certo scoprirsi ora con le intercettazioni telefoniche degli ex dirigenti juventini.
L'abuso delle plusvalenze è uno di questi stratagemmi, che cerca di risolvere almeno temporaneamente le difficoltà di bilancio, non risolvendo le difficoltà economiche, ma rinviandole agli anni successivi (infatti quando il calciatore sopravvalutato verrà ceduto si creerà una minusvalenza, pari alla plusvalenza).
Sicuramnete chi ha abusato di questi metodi va punito, ma soprattutto sul piano individuale e personale, soprattutto per tutelare i soci inconsapevoli, che vengono danneggiati da queste operazioni; ritenere però che questi abbiano alterato i risultati sportivi ottenuti sul campo, sembra un'affermazione apodittica e senza alcun riscontro.

Se valgono i principi dell'art. 4, andrebbero punite anche quelle operazioni che, pur formalmente regolari, sottintendono un comportamento truffaldino che va nella sostanza ad alterare i bilanci in modo analogo alle false plusvalenze; a questo proposito un esempio eclatante può essere la recente operazione di cessione del giocatore Malinovski dall'Atalanta al Marsiglia: Malinovski viene ceduto a gennaio 2023 in prestito che diventerà obbligo di acquisto in caso di permanenza del Marsiglia nella League 1. L'operazione è in sé formalmente più che legittima, ma siccome il Marsiglià è terzo in classifica con nessuna probabilità di retrocessione è evidente che ci si sia inventati questo stratagemma per spostare l'onere di acquisto del calciatore al bilancio successivo. Questo contraddice i principi dell'art. 4 e quindi la giustizia sportiva dovrebbe intervenire, cosa che si guarderà bene dal fare, come ha sempre fatto in precedenza per tutti i casi analoghi.  

Nelle motivazioni della sentenza non vi è nessun riferimento a come siano stati quantificati i 15 punti di penalizzazione; Cesare Beccaria ha scritto "Dei delitti e delle pene" oltre 250 anni fa, ma sembra che i giudici sportivi non ne abbiano contezza. Perché la penalizzazione è stata quantificata in 15 punti e non 30 o 20 o 10 o altro? Non si sa. 
L'unico elemento è stato fornito dal procuratore generale, che aveva richiesto 9 punti di penalizzazione, in quanto, a suo dire, la Juventus doveva essere retrocessa dietro alla Roma per impedirle la partecipazione alle coppe europee; sembra una logica aberrante, perchè significa che se il delitto lo avesse commesso il Napoli avrebbe dovuto avere una pena maggiore e se lo avesse commesso l'Atalanta avrebbe dovuto avere una pena minore, a seconda del vantaggio avuto in classifica sull'ultima partecipante alle coppe.
E' sicuramente una logica assurda e sicuramente da respingere, che avrebbe fatto inorridire il buon Beccaria, ma almeno era una logica; la sentenza e le motivazioni dei giudici non danno nessuna indicazione sul modo di quantificazione della pena, contravvenendo ai più elementari principi del diritto e facendo tornare il mondo, almeno quello del calcio, nell'assoluto potere di arbitrio dei potenti di turno.  
I 250 anni passati dalla pubblicazione di "Dei delitti e delle pene", sembrano trascorsi invano...