Quando ero alle scuole medie, arrivò tra noi un ragazzone ripetente, fratello maggiore di un altro compagno di classe. Erano entrambi molto svegli, nonostante fossero completamente diversi. Il più grande venne a sedersi accanto a me. Il primo giorno di scuola la professoressa di lettere prese la parola all'inizio della lezione per introdurre l'anno scolastico. Dopo un po', lui si avvicinò all'orecchio e mi disse "questa è di sinistra". Io, che di politica sapevo molto poco a quell'età, chiesi come facesse a saperlo. Lui mi guardò e disse "sta parlando da dieci minuti e, a parte promettere che tutto cambierà, non ha detto nulla di significativo".

Devo dire che da lì in poi ho imparato a dare molta più importanza ai fatti che alle parole: "voler cambiare tutto" non vuol dire affatto "cambiare tutto".

La Juventus di Sarri, oltre a essere la più costosa della storia, è anche una delle meno convincenti degli ultimi anni. Per questo le parole diventano pericolose, in quanto prima o poi si confrontano con i fatti: dire alla vigilia "mi sto iniziando a divertire e l'obiettivo è la perfezione", per poi prendere la seconda sveglia in due settimane tirando una o due volte verso la porta, ha infatti un impatto terribile a livello comunicativo. 

Ha ragione Franco Melli a dire che, seppur la Juventus ragioni ormai in termini di brand planetario a livello finanziario e commerciale, sempre una figura di m.... ha fatto, per giunta a livello planetario. 

Andando ad analizzare la partita, presentarsi con De Sciglio, Demiral e Bentancur ad arginare le poderose discese di Lulic e compagni sulla sinistra, non è stata una grande idea. Quando il Djalma Santos bianco venuto dalla Bosnia ha imitato il gigante d'ebano Jordan Lukaku uccellando con una finta alla Di Livio il povero De Sciglio, era chiaro come la partita della Juventus fosse appesa a un filo. 

Troppo evidente lo scarto tra il centrocampo della Lazio e quello della Juventus, troppo evidente la differenza di organizzazione e determinazione tra le due squadre. 

Il filo a cui era appesa la Juve si chiama Cristiano Ronaldo, sempre motivato dalla sua battaglia personale contro i suoi stessi record e a favore della sua immagine cosmica, unitamente all'estro altalenante degli altri attaccanti.

La solita partita impalpabile di Pjanic e la prematura sterilizzazione agonistica del fabbro Matuidi hanno fatto il resto: una trama inutile di passaggi senza fare un tiro in porta. 

Tempo addietro, soprattutto al momento dell'epopea dei fratelli Elkann e di Jean Claude Blanc, ho chiesto al Signore di risparmiami l'arrivo di Zdenek Zeman sulla panchina juventina, su cui, salvo il disastro Maifredi e qualche mese di Zaccheroni, sono soliti sedere allenatori più attenti ai fatti che alle parole. 

Purtroppo una serie di impreviste congiunture gestionali, unitamente alle improvvide scelte di mercato, ha portato alla Juventus un altro teorico del calcio nel momento meno opportuno. 

Nonostante la stagione sia ancora lunga, al contrario di Sarri, giunti a Natale noi tifosi non ci stiamo divertendo e la perfezione ci sembra molto lontana.